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Home Cinema

È morto Ettore Scola, l’ultimo maestro della commedia all’italiana

A 84 anni si spegne uno dei grandi protagonisti del nostro cinema, sceneggiatore e poi regista, a cui si devono tanti film indimenticabili, da "C’eravamo tanto amati" a "Una giornata particolare".

di Stefano Fedele
20/01/2016
INTERAZIONI: 59

INTERAZIONI: 59

È morto Ettore Scola maestro della commedia

È morto la sera del 19 gennaio a 84 anni Ettore Scola. Con lui se ne va uno degli ultimi grandi protagonista del nostro cinema, soprattutto in quella sua particolarissima declinazione che è stata la commedia all’italiana. Era nato a Trevico, in provincia di Avellino nel 1931: aveva cominciato, ancora studente, come disegnatore al “Marc’Aurelio”, poi era stato battutista per i personaggi radiofonici del giovane Alberto Sordi (Mario Pio, il Conte Claro) e, a partire dagli anni Cinquanta, sceneggiatore.

Un apprendistato che sarà fondamentale per il futuro regista: Ettore Scola si affermò firmando una cinquantina di sceneggiature (in collaborazione con altri, su tutti Ruggero Maccari), tra cui Un americano a Roma di Steno (1954), che lanciò definitivamente Sordi, Anni ruggenti di Luigi Zampa (1962), tante pellicole di Dino Risi, fondamentali per definire il carattere della commedia all’italiana, singolare impasto di toni agrodolci e scandaglio critico a vocazione sociologica. Per Risi, Scola firmò tra gli altri Il mattatore (1960), lo straordinario Il sorpasso (1962), l’imbarazzante campionario antropologico de I mostri (1963).

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Da sceneggiatore l’altro suo grande sodalizio, ancora più sentito e caratterizzante, fu quello con Antonio Pietrangeli: insieme lui e Scola (e Maccari, ancora) scrissero un nuovo, diverso capitolo della vicenda del nostro cinema, raccontando l’Italia da un altro punto di vista. Adua e le compagne (1960), La parmigiana (1963), La visita (1964): storie che osservano il paese e soprattutto il maschio italiano attraverso lo sguardo delle donne, assurte per una volta a protagoniste di un cinema che era diventato profondamente maschilista (mentre negli anni Cinquanta i ruoli femminili erano centrali, soprattutto nel melodramma). E il giudizio che emerge sugli uomini è abbastanza demoralizzante, come, meglio di tutti, racconterà il capolavoro della collaborazione tra Pietrangeli e Scola, Io la conoscevo bene (1965), con al centro una giovanissima Stefania Sandrelli, fragile aspirante attrice alla mercé di individui meschini.

Con quel film Ettore Scola vinse il Nastro d’Argento per la migliore sceneggiatura. Intanto l’anno prima, aveva esordito come regista, per un film a episodi ancora acerbo, Se permettete parliamo di donne (1964), con Gassman protagonista, che nonostante il titolo guarda più al modello Risi che a quello Pietrangeli. L’apprendistato continuò con L’arcidiavolo (1966), poi il primo grande successo al botteghino, Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l’amico misteriosamente scomparso in Africa, con Sordi e Manfredi (1968), avventuroso viaggio esotico di un ricco borghese, che è il modo, nel contatto col Terzo mondo, per misurare gli effetti che il benessere ha comportato su un italiano medio via via più arrogante; e Il commissario Pepe (1969), in cui Tognazzi delinea sornione un funzionario della legge che indaga su piccole e grandi meschinità (molte a sfondo sessuale) di una ipocrita provincia.

Negli anni Settanta Ettore Scola firmò i suoi capolavori: C’eravamo tanto amati (1974), ricapitolazione di trent’anni di storia patria, dalla Resistenza in poi, che attraverso i personaggi di Gassman, Manfredi e Stefano Satta Flores descrive con amarezza le illusioni perdute di una generazione che era quella del regista stesso. E che, attraverso la centralità del personaggio della Sandrelli, la donna desiderata da tutti e tre gli uomini, ritrovava la lezione sensibile di Pietrangeli. Dopo questo film, che è una sorta di apice e canto del cigno della commedia all’italiana, Scola riflette molto su questo genere, firmando una serie di pellicole che in qualche modo segnano lucidamente la fine di quell’esperienza. Brutti sporchi e cattivi (1976, Palma d’oro per la regia a Cannes), che descrive un mondo grottesco di personaggi, Manfredi su tutti, repellenti, diversi dai vecchi caratteri da commedia, meschini ma accattivanti; Signore e signori, buonanotte (1976), film a episodi firmato con Comencini, Loy, Magni, Monicelli, che anticipa il paese della corruzione prossima ventura; I nuovi mostri (1977), che ha la struttura di un ilare avvicinamento alla fine (e infatti tra gli episodi Scola firma L’elogio funebre); La terrazza (1980), ritratto collettivo di un gruppo di intellettuali di sinistra evidentemente in crisi, che deve molto agli umori degli sceneggiatori Age e Scarpelli.

Tra questi film si incastona l’altro suo capolavoro, il sensibilissimo e pluripremiato Una giornata particolare (1977, che ebbe una nomination all’Oscar come film straniero), con i divi Sophia Loren e Marcello Mastroianni (anche lui candidato alla statuetta come miglior attore) utilizzati in una chiave molto diversa dai loro classici ruoli degli anni Cinquanta e Sessanta, un ritratto giocato sulla sottrazione e sul sottinteso che resta uno dei più convincenti sguardi obliqui del nostro cinema sul Ventennio fascista.

Gli anni Settanta furono l’apice della sua carriera, segnati anche da un’attività documentaristica legata alla sua vicinanza alla sinistra, il cui frutto più significativo è la singolare docufiction Trevico-Torino… Viaggio nel Fiat-Nam (1973), girata coi fondi dell’Unitelefilm, la casa di produzione del Pci (alla fine degli anni Ottanta Ettore Scola fu anche ministro dei beni culturali del cosiddetto “governo ombra” del Partico comunista di Occhetto).

Gli anni Ottanta furono ancora un decennio significativo, con esperimenti quali Ballando, ballando (1983), che racconta cinquant’anni di storia francese solo attraverso la musica e la danza, chiuso dentro una sala da ballo; Maccheroni (1985), un incontro in toni più dolci che agri tra i due maestri della recitazione Mastroianni e Jack Lemmon; La famiglia (1987, col quale ottenne la quarta e ultima nomination all’Oscar), nel genere che forse più gli si addiceva, il grande affresco collettivo disteso sulla lunga durata; e un altro incontro d’attori, quello tra Mastroianni e Massimo Troisi in Splendor (1988) e Che ora è (1989), a testimoniare la voglia di dialogare con generazioni diverse dalla sua.

Dei film diretti a partire dagli anni Novanta più che le ulteriori variazioni sul genere corale, come La cena (1998), le prove più interessanti sono quelle che recano ancora traccia di uno sguardo sulfureo: Romanzo di un giovane povero (1995), con un eccellente Alberto Sordi, e Concorrenza sleale (2001), con Diego Abatantuono e Sergio Castellitto, di nuovo ambientato negli anni del fascismo, al tempo delle leggi razziali. La sua carriera da regista si è chiusa, appena l’altro ieri, nel 2013, con Che strano chiamarsi Federico, scritto insieme alle figlie Paola e Silvia, dedicato a Federico Fellini, conosciuto ai tempi del “Marc’Aurelio”. Mentre è appena dell’ottobre scorso, presentato all’ultima Festa del Cinema di Roma, Ridendo e scherzando, il documentario-ritratto di Ettore Scola firmato dalle due figlie, omaggio all’artista e all’amore della sua vita, il cinema.
https://youtu.be/XDU0kN9Hc4w

Tags: C'eravamo tanto amaticinema italianoEttore ScolaNino ManfrediUgo TognazziVittorio Gassman

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