Angelo, cane simbolo dei roghi in Sardegna, ha chiuso quei suoi immensi occhi e ha spento quell’ultima domanda. Perché?

Ci piace pensare a un Dio che adesso se lo tiene vicino, seduto sul suo trono, e l'accarezza

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E Angelo non resiste più. Non esiste più. Era troppo bruciato, le cure non potevano più riportarlo indietro. Ha chiuso quei suoi immensi occhi e ha spento quell’ultima domanda. Perché?
Una domanda da cane, pastore di creature terrorizzate, pastore che vedeva il gregge ardere, urlare e cadere mentre cercava scampo all’inferno senza via d’uscita. Angelo, come il veterinario che lo aveva recuperato, Angelo come quello che era. Una presenza che senza un lamento subisce il martirio. E senza più carne addosso, senza più polmoni per l’aria, solo un Getsemani di ferite, ha reclinato la testa e ha chiuso gli occhi.
Perché?
Ma perché, Angelo, gli umani non sono come te. Loro sanno cosa è il bene e cosa è il male e scelgono invariabilmente. Sono disposti a tutto, sono capaci di cancellare la natura che Dio gli ha regalato con un fiammifero e lo fanno per soldi, per vendetta, per dispetto, per noia. Per la disperazione di essere quelli che sono. In Sardegna come in Sicilia, come in Calabria, in Puglia e su, su, dovunque sia un bosco, un terreno, qualcosa da bruciare.
E poi si sa come funziona: a volta è una faida personale, tra pezzenti di confine, altrimenti una faida di Stato, tra divise, tra istituzioni: bisogna dar segno di sé, far vedere che si è necessari, arrotondare con gli straordinari, mandare ricatti, far volare i canadair che se no arrugginiscono negli hangar, bisogna bruciare un concorrente, una carriera, bisogna trovare il modo di fare soldi con crimini nuovi, prima i sequestri, adesso le devastazioni, c’è fame di terreni, l’affare colossale del fotovoltaico, delle energie verdi giustifica tutto, anche scatenare anidride carbonica con la scusa di combattere l’anidride carbonica, e poi, si sa, ovunque sono le mafie che decidono tutto, che organizzano, predispongono… Cose che si dicono, si mormorano sempre, anche nelle caserme, anche tra le divise, di corpi diversi o della stessa famiglia.
Allora si prende un perdente, un rifiuto umano, lo si compra con un bottiglione di vino scadente, una dose, un biglietto da cento euro, ecco, tieni, vai, fa’ il tuo lavoro. E il lavoro è la devastazione. Sempre quando soffia più forte il vento. Solo che, delle volte, il lavoro scappa di mano e nessuno più riesce a fermarlo, neanche i canadair. Allora, siccome si dice, si mormora, si sa che la catena delle colpe è lunga e pesante, conviene fermarsi all’ultimo anello dell’ubriacone, del miserabile. Passerà l’estate, e poi tornerà, portando nuovi roghi, nuove stragi di boschi e di monti, di terreni e di campi, di ricchezza e di greggi e di cani pastore che non si muovono, che restano anche se sono delle torce.
Adesso il veterinario dice: no, Angelo non ha resistito consapevolmente, non è un cane eroe, non mettevi strane poetiche idee in testa. Forse vuol dire che lui ha agito di puro istinto, o magari che era terrorizzato, lui come le pecore, non sapeva dove fuggire. Angelo senza un nome né un padrone, uscito da non si sa dove per bruciare e restare e poi reclinare il capo e chiudere gli occhi immensi come l’incendio, e non si ha il coraggio di vederli quegli ultimi occhi, definitivi occhi, eppure bisogna, colmi come sono dello sgomento di una domanda.
Perché?
Perché mi hai fatto questo? Perché ci hai fatto questo, cosa ci hai guadagnato, quale era il tuo scopo?
Ma che ne sa un cane pastore della miseria degli uomini che più è contorta e più è banale, è bassa, è meschina. Umani che non pensano e non credono, non tremano e non amano. Non provano rimorso, non temono un Dio, ma saranno sempre pronti a giudicare i loro simili. A ferirli. A bruciarli. No, forse Angelo, un cane da bruciare, non sarà stato un eroe ma a noi piace ricordarlo così. Credere con tutta la nostra angoscia che lui sapesse, sì, lo sapeva bene cosa faceva, e che l’amore è stato più del volere. Che il suo esempio possa ancora contagiarci. Farci sentire quelli che siamo, se non quelli che potremmo essere. Non eroi, ma umani davvero. Uomini da bruciare alla fiamma dell’amore. Anche ci piace pensare a un Dio che adesso se lo tiene vicino, seduto sul suo trono, e l’accarezza.
Perché se in questo mondo così brutto ci togli anche un cane da bruciare, se ci neghi anche l’ultima favola, se non ci lasci più immaginare che un sacrificio sia sublime, e che anche il puro istinto, in fondo, è figlio di un Amore che non si spiega ma si sa, si conosce, si sceglie, se ci privi di tutto questo, allora cosa ci resta, Signore?