The Suicide Squad – Missione Suicida, un cinecomic tra horror, ironia e satira politica

James Gunn racconta la storia della Suicide Squad col piglio di un film di serie b ad alto costo. Preoccupandosi poco della coerenza narrativa e puntando all’accumulazione bulimica di stili, toni e personaggi. Violentissimo, ma pieno di idee

The Suicide Squad – Missione Suicida

INTERAZIONI: 723

James Gunn mette da parte il fallimentare prototipo di David Ayer del 2016 e con The Suicide Squad – Missione Suicida (The Suicide Squad, 2021), ritorna al punto di partenza riscrivendo dalle fondamenta la storia, tratta dai fumetti Dc Comics e distribuita dalla Warner, della banda di reietti “metaumani” assoldati dal governo americano per garantire la sicurezza nazionale.

Il film di Ayer cercava di rispettare le esigenze di continuità del macroracconto Dc innestando, sul modello del Marvel Cinematic Universe, la storia della Suicide Squad nella linea narrativa della saga di Batman, Superman e Wonder Woman. E insieme puntava sul tono adulto e problematico delle pellicole Dc, creando personaggi ambigui che si muovevano in una zona grigia morale e psichica, però pure anche con un lato graffiante e scanzonato alla Deadpool (ancora Marvel). Il risultato però fu un racconto sfilacciato incapace di fondere i vari registri, con personaggi che facevano ridere quando dovevano risultare seri e una vicenda che, invece di raggiungere l’agognato tono da noir supereroistico, finiva per scadere nella parodia di sé stesso.

Ecco, quello che invece sa fare meglio James Gunn, uno che s’è fatto le ossa nel cinema indipendente della Troma con film esplicitamente di genere, è proprio mescolare i toni, con horror come Slither in cui lo splatter va di pari passo con l’ironia, e dietro le efferatezze fa capolino il graffio sarcastico e, moderatamente, politico. Perciò, messa da parte momentaneamente l’esperienza alla Marvel col dittico dei Guardiani Della Galassia – celebrato e però, potremmo dire, girato con il freno a mano satirico tirato – una volta sbarcato alla DC Gunn ha potuto realizzare con The Suicide Squad – Missione Suicida un film che, nel bene e nel male, gli assomiglia davvero.

Il punto di partenza resta lo stesso: il crudelissimo agente Amanda Waller (Viola Davis, che anche qui è la vera carogna) compone una squadra di criminali metaumani male assortiti, ricattati senza ritegno. Guidati dal letale killer Bloodsport (Idris Elba), il team è composto dal supermercenario Peacemaker (il wrestler John Cena), una donna col repellente potere di controllare i ratti, Ratcatcher (Daniela Melchior), uno psicopatico alla Norman Bates che lancia dischi colorati assassini, Polka Dot Man (David Dastmalchian), un colonnello tutto d’un pezzo (Joel Kinnaman) e un uomo squalo cannibale, King Shark. Della partita, per tortuose vie, finirà per far parte anche l’unico personaggio superstite del prototipo, la Harley Quinn di Margot Robbie. La missione consiste nel penetrare nell’isola di Corto Maltese e lì distruggere tutte le prove, contenute in una prigione superprotetta, del misterioso progetto Starfish, ideato da Thinker (Peter Capaldi), con degli strani diodi conficcati sulla testa rasata che lo fanno assomigliare a Hellraiser.

Scienziati pazzi, esperimenti genetici folli, nazisti, dittatori sudamericani sanguinari, alieni, zombie, guerriglieri, gigantesse assassine col volto di vostra madre. James Gunn riprende la storia di supercattivi della Suicide Squad, e l’affronta col piglio di un film di serie b ad alto costo, preoccupandosi poco della coerenza narrativa e puntando piuttosto all’accumulazione bulimica di stili, toni e personaggi. Un film pieno di deviazioni, andirivieni temporali, infrazioni di racconto, con didascalie ironiche che appaiono in ogni dove scandendo una struttura, più o meno, a capitoli.

The Suicide Squad – Missione Suicida è, soprattutto, cadenzato dal basso continuo della violenza e del sangue che scorre copioso, in cui però l’orrore flirta con l’ironia e tutte e due insieme puntano alla satira politica che guarda a Carpenter e a Romero e a quei racconti in cui le masse e i popoli finiscono tutti per essere pericolosamente eterodiretti. Carpenteriano è anche l’espediente del supporto su cui sono immagazzinate tutte le tracce di un innominabile complotto. E nell’olocausto fracassone dell’epilogo, Gunn trova anche lo spazio per dettagli fulminei e sorprendenti, che descrivono la malinconia dei mostri alieni, chiamati a combattere una battaglia che non hanno cercato. Giungendo alla fine sempre alla conclusione che i veri mostri siamo noi.

The Suicide Squad – Missione Suicida non è certo un film per palati raffinati. Eppure, proprio nella rozzezza tranchant di un cinecomic che invece di scimmiottare la presunta serietà da film d’autore alla Joker si muove nel registro basso e farsesco del cinema di serie b, trova una scrittura incisiva, pieno di idee distribuite generosamente alla rinfusa, con un gusto della prodigalità e della dissipazione – a partire dal prologo che cancella in pochissimi minuti un sacco di personaggi promettenti – che è il segno più vistoso della sua intelligenza.