L’Italia Campione d’Europa: forse non era la squadra migliore ma ci ha insegnato l’amore

Mancini eterno giovanotto ha fatto di una squadra una famiglia e ha vinto contro tutti, anche contro la sua storia di calciatore


INTERAZIONI: 1011

Gli anglosi, meschini, si tolgono la medaglia degli sconfitti. Gl’italiani levano la coppa colle braccia di Giorgione Chiellini, l’omone che sorride, ma sono una cosa sola, un mostro da 26 paia di braccia e 27 di gambe contando le stampelle di Spinazzola. Esattamente trentanove anni fa Bearzot il Vecio faceva di una squadra una famiglia, e vinceva contro tutti; oggi Mancini eterno giovanotto ha fatto una famiglia di una squadra e ha vinto contro tutti, anche contro la sua storia di calciatore che in azzurro è sempre andato in bianco. Invece in bianco ci sono andati i bianchi, discretamente stronzi. Se la sono voluta. Avevano vinto dopo un minuto e non c’era niente da fare, neanche il tempo di sognare. E allora guardo una partita triste triste triste triste, triste triste triste, triste triste, triste come Mattarella. Poi dice che ogni Paese, e ogni Nazionale, ha il Capo che si merita. Però questa finale non l’andava perdendo l’Italia, la buttava Mancini, con pervicacia: ogni Cittì patisce almeno un innamoramento sciagurato e il Mancio ha Ciro Immobile: in semifinale gli andò bene, alla resta dei conti stava mandando tutto a puttane: abbiamo giocato in 10 per quasi un’ora. Non un’idea, non un coraggio. Palle sgonfie. Improvvisamente, tornava l’Italia di (s)Ventura. È uscito il peso morto e l’Italia ha pareggiato. L’Inglaterra non ha fatto molto: un tiro in porta, il primo e l’ultimo, dopo 110 secondi, per una cappella mostruosa, strana da una difesa quasi vergine di ferro; dopo, tanta eleganza, scioltezza, velocità, ma stringi stringi tutta robetta sterile, tutta posa.
E l’Italia però niente, una squadra di tricchetracche e per favore non tirate in ballo “la bolgia di Wembley”: sono professionisti (a proposito: fischiare l’Inno di Mameli è stato da sonori coglioni). Kane sul supponente narcisista, Sterling un emerito imbecille – e se il BLM se ne ha a male, è un problema suo. Sterling è palesemente insopportabile e lo è, imbecille, perché con quei tuffetti ladruncoli eccita sessantacinquemila persone già invasate.
Ma passano i minuti e gli azzurrini non tirano manco ad ammazzarli: ma che hanno, paura di offendere la Vecchia, la Regina? L’unico degno è Chiesa che rotola, arranca, resiste, non perde un duello, non perde una palla e s’inventa tre quattro giocatone in una partita dove i suoi compagni sembrano anchilosati. Nella mente, più che altro. Quando Mancini capisce che deve smetterla di prendersela coi ragazzi anziché con se stesso, o forse glielo fanno capire Oriali e Evani, più plasticosi del solito, e fa i cambi che deve fare, e con ciò riassetta la baracca, la musica cambia. Subito, di botto, come uno stacco ritmico. L’Italia sfiora il gol, lo fa, se ne magna almeno un altro. Britannia evapora.
Perché questi, se li aggredisci, rinculano e si pigliano paura. E invece l’Italia per un’ora gioca da fighetta, troppo indietro, slegata, tremila tocchetti e mai uno che tira, ma tira, maledetto, e provaci, boia d’un lader.
Quando gli azzurri si ricordano chi sono e pigliano il sopravvento, al diavolo le riverenze, la partita diventa una rissa, fanculo il british fair play (tutte cazzate, sono sempre stati delle carogne). Ovviamente cercano di storpiare Chiesa, il più letale, e ci riescono; mancano dieci minuti alla fine, l’attaccante nostro si rialza, ma non ce la fa. Bastardi d’inglesi, così son buoni tutti. Ma è troppo importante Chiesa, si raccomanda alla Madonna e si ributta dentro. No, non ce la fa, non ce la fa, lo rimpiazza Bernardeschi, bastardi di english. Falli si sprecano da tutte le parti, Jessica Rizzo, che è delle parti del Mancio, sarebbe gioiosamente a suo agio. Arriva pure il solito pirla in cerca d’autore, una invasione invisibile alle telecamere, che ci vogliono 3 minuti e 4 nerboruti a stroncare (perché non usano il taser per ‘sti morti di fama?). Sterling cerca con ostentata insistenza il rigore, fiducioso che caschi maturo come pera. Niente, proprio odioso, sarà per la faccia da spocchia falsotta e vagamente teschiosa che ricorda quella di Sugar Ray Leonard, il pugile anni ’80. Beh, il tempo standard è andato, 6 di recupero compresi, la tanto esaltata Inglaterra in tutta la partita ha fatto un tiro in porta e lo ha fatto al primo minuto. Piove, governo ladro, piove sul campo allagato, sul volto stremato dei giocatori migliori e anche i peggiori, piove sugli spalti pieni di stronzi, sui corpi pallidi o bronzi, e sempre ‘sto Sterling si tuffa e io rimpiango di non averlo avuto davanti in certe giovanili partite rusticante al Parco Lambro, che so io come l’avrei mandato a casa. Kane, bastonato un po’ da Chiellini, un po’ da Bonucci, non morde più. Insomma arrivano i supplementari e la sensazione è che quelli più attrezzati, se solo ci credono, siano i pastaioli tricolore. Ce l’avessero detto appena tre quarti d’ora fa. Ma stravagante è il calcio, a misura della vita e a volte molto di più. Finisse ai punti, ha fatto schifo una squadra per tempo, ma i numeri son fatti: il Paese dove fioriscono i lockdown tre quattro palle gol le ha cacate, la Terra delle varianti è stitica a livelli duca conte Semenzara al casinò.
Quanto a dire che se l’Italia non avesse avuto paura di giocare, avrebbe prevalso. Senza meraviglia mostrare, magari, ma avrebbe. Invece per poco non ci scatta il gol bianco perché quel pirla d’un arbitro fucsia non si leva da’ coglioni e confonde la difesa blu. C’è un tiraccio di Phillips, credo, che sembra Nigiotti e per poco non piglia un sintòmo. Maguire, che mi ricorda il Giulio, un amico d’infanzia, si randella cordinalmente con Belotti; un altro cambio inglese ed entra, credo, uno dei Take That. Adesso comanda ancora Brexit e Italy si difende alla maniera di Mexico ’70: muro e spazzate, perdio.
Partita legnosa. Al 103′ sembra fatta per l’Italia, ma è pia illusione ottica. Quel bigolo olandese concede una punizione in articulo mortis del I tempo supplementare: nada, anche se Bizzotto, telecronista triste triste triste triste, mena rogna: “E’ bello essere arrivati fin qui, aver costretto l’Inghilterra ai supplementari” eccetera. Perché, chi è l’Inghilterra? Sempre ‘sto senso di sottomissione, ma va’ in mona. Ultimo quarto d’ora. Apre una sassata di Bernardeschi su punizione, poi un mischione pornografico in area azzurra e un’uscita oscena di Gigiaccio Donnarumma. Mancio già pensa ai rigori, fa scaldare Pessina che è brianzolo come il suo cognome, poi butta dentro Florenzi, diavolo d’uno jesino. Come pugili spossati, premono or l’una or l’altra Nazionale. Sterling è impipponito, e io, maledetto che sono, mi faccio un’altra sigaretta.
Spira anche l’ultimo refolo di partita, 130 minuti hanno tirato, una sputata di sangue, ormai sono agli scapoli/ammmogliati del rag. Ugo Fantozzi e finisce come deve finire quando nessuna delle due riesce a perdere. Dove stanno le sigarette?
Cinque minuti dopo è tutto finito. Come doveva finire, perché ha vinto il migliore o perso il peggiore, come vi pare a voi. Gigio si rialza dalla parata fatale, duro, freddo, un Paul Kersey che ha seccato i delinquenti e non c’è tensione, non c’è emozione, nessun dolore. Mancini si devasta in pianto, l’Italia intera urla, l’Inglaterra geme, non sbraitate più adesso, eh, saputelli, anche quest’anno una coppa la vincete fra 60 anni. Adesso piange anche Gigio, s’è sgretolata la maschera della tensione, Gigio, 22 anni e nella gloria per sempre, nella gloria tutti, quattro anni fa neanche qualificati, giunti qui come i Cenerentola, Mancini, che è uomo buono ma di gran culo, guarda dove li ha portati, roba da non credere e infatti hanno tutti le facce di chi non ci crede, i pizzaioli italiani, gli equini britannici, l’Italia forse non era la migliore ma ci ha insegnato l’amore, Vialli, col cancro in volto, è felice ed è meglio di ogni terapia, daje Gianluca, non mollare mai, ce la farai, cazzo, ce la farai e questo torneo, io non lo so ma ha qualcosa di commovente, Mancini, la voce di schegge di lacrime, dice “spero che festeggino” ed è una piccola immensa poesia per questo Paese che meno lo fai vivere e più non muore neanche se l’ammazzano e se a qualcuno questa coppa non piace, beh, che se ne vada a fare in culo lui e le sue paturnie da isterico. Io mi finisco il pacchetto, domani giuro che smetto “nella maniera di più assoluta”, come dice don Fabio Capello che una gelida notte del ’73 a Wembley mise a cuccia la perfida Albione.