“Sono emozionata come una bambina” così Emma Dante ha ringraziato il pubblico di Pompei

Ieri il debutto in prima assoluta del nuovo spettacolo della regista palermitana EmmaDante, Pupo di zucchero

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Sono emozionata come una bambina stasera in questo bellissimo scenario di Pompei. E voi siete qui, niente è scontato dopo quello che è successo e dopo un anno di chiusure dei teatri”. Così Emma Dante sul palcoscenico del Teatro Grande di Pompei, per la rassegna estiva del Teatro di Napoli-Teatro Nazionale , ha voluto ringraziare il numeroso pubblico che ha applaudito con successo il suo spettacolo “Pupo di zuccheroLa festa dei morti.E poi ha voluto chiamare sul palco per ringraziarli i tanti lavoratori dello spettacolo, “quelli che permettono che la macchina del teatro si compia fino a tarda notte”.  

Ieri il debutto in prima assoluta del nuovo spettacolo della regista palermitana EmmaDantePupo di zucchero. La festa dei morti, liberamente ispirato a Lo cunto de li cunti di Giambattista Basile, su testo e regia di Emma Dante, che firma anche i costumi di scena. In replica venerdì 9 e sabato 10 luglio alle 21.00, successivamente lo spettacolo andrà ad Avignone ospite della 75esima edizione del prestigioso festival della città dei Papi.

In scena, per questo intenso racconto di solitudine e di speranza che si svolge nella notte tra l’uno e il due novembre, una numerosa compagnia di attori: Tiebeu Marc-Henry Brissy Ghadout, Sandro Maria Campagna, Martina Caracappa, Federica Greco, Giuseppe Lino, Carmine Maringola, Valter Sarzi Sartori, Maria Sigro, Stephanie Taillandier, Nancy Trabona. Le dieci sculture in scena sono di Cesare Inzerillo; le luci di Cristian Zucaro.

In una ambientazione oscura e quasi nera c’è un vecchio solo, intento a impastare il lievito che servirà a preparare i pupi dolci per invitare i suoi defunti a trascorrere la triste ricorrenza dedicata a loro. Nella notte fra l’uno e il due novembre, si lasciano le porte aperte per farli entrare. La vecchia dimora si rianima, si popola, si riempie di ricordi: quella mammina, una vecchia dal “core tremmolante” ancora in attesa che il marito ritorni; quel giovane padre disperso in mare; le sorelle Rosa, Primula e Viola,  “tre ciuri c’addorano ‘e primmavera”; Pedro dalla Spagna che si strugge d’amore per Viola; zio Antonio e zia Rita che dicevano di amarsi ma s’abboffavano ‘e mazzate; e infine  Pasqualino tuttofare.

Liberamente ispirato, come detto, al testo di Giambattista Basile, che Emma Dante definisce “il mio Shakespeare” (nell’intervista di Stefano de Stefano sul Corriere del Mezzogiorno), lo spettacolo racconta la storia di un vecchio che per sconfiggere la solitudine invita a cena, nella loro antica casa, i defunti della famiglia. E poi la regista  aggiunge nella stessa intervista: “Mi è bastato leggere alcune storie del Pentamerone per capirne la grandezza, soprattutto nella modernità dei contenuti“. 

Nello spettacolo ci sono liturgie provenienti da più Sud, in particolare Napoli e Palermo che si incontrano non solo nei dialetti ma anche in quei simbolici riti nella preparazione dei “Dolci dei Morti”, nel ritorno alle tradizioni e alle abitudini. Come in un caleidoscopio tutto si alterna in una danza liberatoria dove i protagonisti, ora mimi ora pupazzi, si scatenano in una festa gioiosa e allegra. Al centro il protagonismo delle donne e della loro autonomia; quella morte rappresentata dal femminicidio camuffato dall’amore malato che interrompe il tempo ma anche la vita di una donna.  

Nella rappresentazione scenica, ma così reale e cruda nella cronaca quotidiana, anche questo è un rituale, le violente “mazzate”  di Zio Antonio a zia Rita “l’uomo che picchia na femmina è nu vigliacco” dice il vecchio. 

C’è ritmo e sincronia, energia vitale come se imparassimo a convivere con quel rapporto con la morte che spesso demonizziamo e di cui impariamo a non averne paura. La regista olea e fa scorrere la macchina teatrale con sapienza e perfezione, gli attori e le attrici allenatissimi in un gioco di squadra senza sbavature e ciascuno arricchisce con la propria bravura lo spettacolo.

“Nello spettacolo, sono presenti dieci sculture create da Cesare Inzerillo – scrive Emma Dante – che mostrano il corpo osceno della morte. In “Pupo di zucchero” la morte non è un tabù, non è scandalosa, ciò che il vecchio vede e ci mostra è una parte inscindibile della sua vita. Ciò non può che intenerirci”.

Non perdete lo spettacolo e non perdete la suggestione del Teatro Grande di Pompei.

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