Il suicidio della nazionale italiana sulla questione “Black lives matter”

Prima la decisione di non inginocchiarsi. Poi il passo indietro ma solo in segno di “solidarietà” ai colleghi. Ma perché gli azzurri hanno problemi con questo gesto?


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Raramente si è vista una istituzione politica, sociale o sportiva, suicidarsi comunicativamente come ha fatto la nazionale italiana sulla questione “Black lives matter”. Tutta la querelle sull’“inginocchiarsi sì o inginocchiarsi no” non ha fatto altro che alimentare un sospetto che con il passare dei giorni è diventata una certezza. Gli azzurri hanno un problema con il razzismo. Sicuramente ce l’hanno con i gesti grazie ai quali può essere combattuto. Qualcosina in più di un problema ce l’ha la Figc, Federazione italiana giuoco calcio, che già nel nome continua a conservare richiami lessicali al Ventennio.

Così come si ostinano a non cambiare una parola desueta, i vertici della Federazione hanno fatto di tutto per far capire che in Italia abbiamo un serio problema con il razzismo e il calcio, specchio del Paese da sempre, non fa eccezione. Si sono affrettati a “trovare una linea comune” quando i calciatori si sono inginocchiati alla spicciolata durante il girone. La linea comune era di fatto non far inginocchiare nessuno e si è tenuta prima della partita con l’Austria (anche gli austriaci non hanno brillato in questo). Poco prima le dichiarazioni di Chiellini che avrebbero fatto impallidire qualsiasi ragazzino che aveva appena sostenuto la licenza media.

Cosa ha di male il simbolo del “Black lives matter”?

Acclarata la figura barbina fatta prima degli ottavi, ai quarti si è provveduto a programmarne una se possibile peggiore. Dichiarare cioè che contro il Belgio i calciatori italiani si inginocchieranno solo per un gesto di “solidarietà verso i colleghi” ma non condividendo comunque la modalità simbolo del movimento Black lives matter. Un modo ancora peggiore della nazionale di posizionarsi rispetto a una questione in cui lo sport può dire tanto. Fare un gesto solo per non far proseguire le polemiche e “accontentare” questi “perbenisti” del politically correct Resta un mistero quale sia il problema che affligge questo gesto simbolico. Non si capisce perché la nazionale italiana non voglia inginocchiarsi come è stato fatto in tutto il mondo in tutti gli sport per il “Black lives matter”.

Poi guardando un po’ nello staff della Figc si può notare che il capo della comunicazione, Paolo Corbi, esultava per la vittoria di Marine Le Pen, imprecava contro i soliti immigrati che vengono a delinquere in Italia e voleva lo sgombero del Teatro Valle. Allora cominci a pensare male e non c’è nessuno in squadra capace di farti cambiare idea. Nessuno che spezzi questo muro che, si potrebbe pensare essere di omertà, ma che in realtà è di condivisione di un’idea tanto pericolosa quanto stupida.