Setak, un Pino Daniele che canta abruzzese

Se parlo di Setak è perché Setak merita la mia e la vostra attenzione, tanto più in un contesto come questo, che all’abruzzesità ha concesso una chance e rivolto uno sguardo empatico e sentito


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È di qualche settimana fa la notizia che il presidente della Regione Abruzzo, Marsilio, parlando della sua terra ha dichiarato impunemente che è bagnata da tre mari. Di più, ha detto a beneficio di microfono e telecamera che è la sola regione italiana a essere bagnata da tre mari. Ora, dando anche per buona l’usanza di dire che la costa abruzzese è in effetti bagnata da due mari, vista la differenza geologica e morfologica di quella che si trova a nord e sud di Pescara, sfugge quale sia in caso il terzo mare, probabilmente frutto segreto del boschetto della sua fantasia.

Sfugge anche, va detto, il perché se ne sia parlato, giustamente con scherno, come di una gaffe, quando è evidente che di semplice ignoranza si tratta.

Comunque, fatto salvo che l’Abruzzo è terra a me cara, ve ne ho parlato nelle medesime scorse settimane, e ve ne tornerò a parlare a breve, vorrei proprio partire dal mare abruzzese per presentarvi un grande disco.

Parto però dall’entroterra, e per la precisione da un paesino in provincia di Pescara che risponde al nome di Penne.

Di Penne è colui che al momento è il più famoso cantautore abruzzese, Mimmo Locasciulli, grande artista dotato di una penna matura, considerato a torto il “fratello minore” di De Gregori, per una forte amicizia tra i due, il brano Povero me, per dire, nel repertorio di entrambi, Locasciulli, sì, il dottore per cui ha suonato la chitarra uno dei miei miti, di oggi ma anche di quando anche io suonavo la chitarra, Marc Ribot, e Locasciulli ha a che fare col discorso che sto per affrontare, state calmi, perché a Penne è nato anche un altro artista, ancora sconosciuto ai più, che ha preso l’abruzzesità, sempre che il concetto di abruzzesità sia plausibile, per dire, nelle mie Marche non è assolutamente applicabile, mica è un caso che sia una regione con il nome plurale, le Marche, ma anche l’Abruzzo ha avuto a lungo il nome plurale, a Milano esiste ancora Viale Abruzzi, e volendo anche le Puglie, il Tavoliere delle Puglie, ricorderete dai tempi delle elementari, anche se poi il nome delle regioni è Abruzzo e Puglia, vai a capire il perché di queste incongruenze nella toponomastica della geografia,  un artista ancora sconosciuto, dicevo, che ha preso l’abruzzesità e ha provato mash-upparla con un suono internazionale, senza lasciarsi andare a nessun tipo di ricerca folkloristica, quella a base di tamburelli e organetti, per capirsi, nessun recupero delle tradizioni locali, proprio un recupero della lingua e un tentativo di renderla esperanto, opera non tanto diversa da quella fatta da Pino Daniele con l’inglese, laddove Pino ha anche fatto un recupero della tradizione napoletana, è vero, ma ci siamo capiti, mi riferisco al Pino Daniele nero a metà.

Parlo di Setak, al secolo Nicola Pomponi, chitarrista di lungo corso, nel tempo ha prestato la sua opera ai dischi e ai tour di tanti artisti blasonati, più o meno, da Fiorella Mannoia a Tommaso Paradiso, con tutto quello che mente umana può infilarci nel mezzo, davvero il mondo, da un paio d’anni passato a proporre la sua arte a nome proprio, quindi non più solo suonando la chitarra, ma anche scrivendo e componendo, appunto, e cantandosi le canzoni in proprio, col nome di Setak.

Scelta azzeccata, verrebbe da dire, quella di passare a proporre la propria musica un paio di anni fa, scarsi, cioè a ridosso dall’esplosione della pandemia, ma non siam certo qui per fare facili sarcasmi o per guardare con cinismo al mondo, se parlo di Setak è perché Setak merita la mia e la vostra attenzione, tanto più in un contesto come questo, che all’abruzzesità ha concesso una chance e rivolto uno sguardo empatico e sentito.

Setak ha esordito nel 2019 con Blusanza, album entrato in cinquina alle Targhe Tenco come Miglior album in dialetto, anche se in un contesto nel quale cantare in dialetto vuol dire quasi sempre, se non proprio sempre, rivolgere lo sguardo al passato, andando invece a portarsi a casa il Premio Loano Giovani. A maggio 2021, invece, ha visto la luce Alestalé, testualmente “velocemente”, lavoro che prosegue il medesimo discorso, alzando ulteriormente il tiro, con featuring prestigiosi come quello di Francesco Di Bella dei 24 Grana e Fabrizio Bosso, nel singolo Coramare, e appunto del suo compaesano Mimmo Locasciulli in Lu juste Arvé, album anticipato anche dal singolo Quanda si ‘fforte, già immagino solo a pensare alla grafia corretta per scrivere i titoli e i testi delle canzoni.

Un modo intelligente, quello di Setak, per usare una lingua gergale, parlata abitualmente, a supporto di una musica che invece tende a non fermarsi certo entro i confini patri, un occhio all’immediato e uno all’infinito. Mi fa venire in mente quel che uno scrittore come Sherman Alexie ha fatto con la letteratura americana, lui nativo americano capace di portare la sua tradizione nell’alveo della forma romanzo e poesia statunitense.

Del resto, fuori dal giro ristretto della nostra musica pop, e la musica di Setak è anche pop, questa consuetudine di guardare ai localismi e farne base o parte del discorso è più presente, si pensino ai generi tradizionali modernizzati e resi internazionali, che so, a volerla vedere bene il reggae, a volerla vedere con disprezzo il reggaeton, ma è un discorso che vale anche per la bossanova, per dire, il blues, il country e via discorrendo.

Per la cronaca, Alestalé di Setak è entrata in cinquina finale delle Targhe Tenco come Migliore Opera in Dialetto, se siete tra i giurati e cercate qualcuno di valido da votare, beh, ecco il nome che fa per voi, ascoltare per credere.

Ma non stavi parlando dei tre mari che bagnano l’Abruzzo, chiederà qualcuno?Non dicevi che da lì a Penne e a Setak, Setak che ancora non avevi citato, era un attimo?

Fatemi lavorare, dai, fate i bravi, il mare c’entra, c’entra sempre in Abruzzo, anche se sei nato a Penne o se sei un presidente di Fratelli d’Italia convinto che di mari da queste parti ne arrivino addirittura tre. Infatti il mare è lì, presente in copertina, il mare alla Big Sur che costeggia la Torre del Cerrano, con la sua spiaggia selvaggia e immersa nella natura, location scelta non a caso da Setak come sfondo per la copertina del suo album, sorta di isola thaliandese sputata in bordo all’Adriatico, roba da The Beach di Alex Garland, featuring Leo Di Caprio. Natura, radici e spirito selvaggio, quindi, segnatevi queste parole e tenetele a mente, poi lasciate che Alestalé di Setak faccia il suo sporco lavoro, vedrete che rapirà anche voi come ha rapito me.