Regeni e Zaki: davvero come si legge sui social sarebbero affari loro, avendo noi cose più urgenti di cui occuparci?

In ogni caso, per entrambi, si palesa l'impotenza non del tutto innocente dello Stato italiano


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Non è simpatico a una parte di italiani Patrick Zaki, l’egiziano di Bologna tenuto in ostaggio in un carcere del suo Paese: lo considerano uno di quei rompicoglioni tra l’ideologico e il fanatico, con gli occhialini alla Gramsci e l’aria da studentello un po’ saccente, lo riconducono ai giri della sinistra petulante e bambocciona, il bozzolo di Bologna la rossa, del Manifesto, dei compagni da università o centro sociale; sconta il precedente, in tutto sovrapponibile, di Giulio Regeni, uno mandato allo sbaraglio da una docente spregiudicata e forse peggio. Ma basta questo a disinteressarsene? Zaki sta nelle grinfie dei carcerieri egiziani da un anno e mezzo e ha compiuto 30 anni in un buco infame, dopo l’ennesima proroga di 45 giorni della sua detenzione. Le condizioni fisiche sono precarie, quelle mentali, si teme, compromesse. Per cosa? Per una decina di contenuti su Facebook che lui giura non essere di suo pugno.
Ma se anche lo fossero? Su Zaki, come su Regeni, torturato a morte, si palesa l’impotenza non del tutto innocente dello Stato italiano. Perché non è pensabile che un Paese occidentale, europeo non abbia forza e mezzi per riscattare un giovane che studia qui, che è del tutto inserito nel tessuto sociale. Non è questione di cittadinanza italiana, questi sono quei beau jest di parata che risolvono niente; si tratta di sapere agire e quanto a questo né la diplomazia, né a maggior ragione la Farnesina con a capo un ministro ridicolo e inesistente, Di Maio, sembrano attrezzati per il minimo. Lo stesso Draghi non pare darsi eccessivo pensiero e se se lo dà non lo lascia trapelare. Ma dopo lo strazio di Regeni, questo di Zaki oltre che atroce in sé assume sempre più il sapore di una presa in giro feroce, inaccettabile. Risibile è il pretesto da parte egiziana, la cospirazione, lo spionaggio di qualche studentello imbevuto di teoria proveniente dall’Italia. Più esattamente, il sacrificio di questi ricercatori o dottorandi va ascritto al gioco sottile di ricatti e di affari che, come un fiume carsico, ora emerge e ora torna a inabissarsi. Regeni annientato in fretta, Zaki un po’ per volta: davvero non ci riguarda, davvero, come si legge sui social, sarebbero affari loro, avendo noi cose più urgenti di cui occuparci?
No, sono affari di tutti nella misura in cui l’umanità è affare dell’umanità e una vita non può lasciare indifferente chi si definisce umano. In questi casi, al di là delle analisi e delle facili ironie, facili ma invereconde, l’unica cosa che resta da fare è l’identificazione: eccomi, mi sono venuti a prendere, non mi hanno spiegato niente, mi hanno gettato in un buco nero in mezzo ad altri disgraziati frammisti a cannibali e ogni 45 giorni mi dicono che se ne riparla tra 45 giorni; intanto io mi ammalo e muoio come un topo da esperimento. Se si ha la dignità di operare questa compassione, ogni indifferenza passa, ogni pregiudizio evapora. Terrorista e cospiratore il ventinovenne Patrick? Dall’Università di Bologna contro l’Egitto? Spie e di quelle pericolose questi giovanotti idealisti e del tutto sguarniti? Non scherziamo. Regeni era uno che se mai si faceva manovrare, mandare allo sbaraglio pensando, come tanti, che l’uomo in fondo è buono e non arriva a certi abominii; o, per dirla più chiara, ritenendo che basti credere al bene giusto per salvarsi. Spie alla Le Carrè questi giovani istruiti, abituati a un diritto di critica che pure nelle democrazie si va peraltro affievolendo? Nella cella vicino a Zaki hanno appena messo un altro disgraziato, Ahmed Samir. Vite parallele: stessa età, anche lui studiava, a Vienna, programmava il matrimonio. Tornato in Egitto per una visita l’hanno prelevato e buttato in galera a Tora. Dal master all’abisso del tempo. Non c’è una data di rilascio neanche per lui. Si apriranno i balletti cinici delle proroghe della detenzione anche per lui. Sospettato di attività sovversiva, accusato di sostegno a Zaki, in effetti colpevole di essere un dottorando di università europea, di credere insomma a quell’Europa che non li sa e non li vuole difendere.
Ma l’Italia non può dire che l’Egitto è una dittatura paranoide e un po’ per la realpolitik degli affari e un po’ per salvare il salvabile dato che i Paesi della fascia nordafricana hanno l’arma del ricatto migrante: ve ne scarichiamo ancora di più addosso e gli diciamo cosa fare e non vi piacerà. Il PD riesce a comandare senza elezioni e in posizione di minoranza, dato il ruolo di cinghia di trasmissione della UE, e non può venir meno alle sue crociate in tema di immigrazione incontrollata.
Nel relativismo fatalista per cui tutto è accettabile e tutto è comparabile, sfugge a molti che la libertà di critica occidentale, pur minacciata, progressivamente menomata, è ancora altra cosa dalla paranoia dei regimi teocratici o autoritari dove basta una frase su un social per scatenarti addosso rappresaglie che non si limitano alla gogna internettiana o alla terra bruciata, finiscono con la reclusione dura e senza termine. Zaki ha mandato un bigliettino commovente e straziante in cui fa gli auguri alla Nazionale italiana di calcio. Rischia di restare in gabbia al Cairo per i prossimi dieci anni, orizzonte del tutto teorico perché il suo tempo, a meno di un miracolo o di una azione concertata e potente, è risicato e lui lo sa. Ma né dall’Italia, né dall’Unione Europea dei diritti e delle carte sembra lecito aspettarsi qualcosa di risolutivo o almeno di significativo. Davvero il calvario di un ragazzo grassoccio, con gli occhialini alla Gramsci e il sorriso simpatico, non ci riguarda?