I “millenials” dimenticati da tutti, anche per i vaccini

Ancora una volta essere un 30enne in Italia significa non essere pensato da nessuno. Nemmeno in epoca Covid. Eppure dovrebbe essere la generazione motore del Paese

obbligo vaccinale in Italia

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Esiste una categoria che in Italia sembra non avere alcuna importanza. Sono i nati tra il 1981 e il 1996. Vengono chiamati “millenials” e sono stati completamente dimenticati in tutte le azioni politiche nel nostro Paese. A cominciare dalle politiche attive del lavoro, perché o sono troppo giovani per i sostegni quando lo perdono o troppo vecchi per gli incentivi quando lo cercano. Perfino nei concorsi pubblici dove spesso vengono esclusi dai 35 anni in su o nelle forze armate molto prima.

Si tratta della fascia di popolazione che è cresciuta con i telefoni a gettoni e si trova a dover essere super-esperta di rete e nuove tecnologie. Una generazione completamente dimenticata, che non fa più figli e che per la prima volta nella storia del nostro Paese sta peggio dei propri genitori. L’ultima frontiera dell’esclusione di questa fetta di popolazione, che più di tutte si è trovata a dover fronteggiare la crisi, è stata messa in atto con la campagna vaccinale. Fino ai quarantenni si è proceduto a fasce d’età. Dai 39enni in poi, liberi tutti.

A deciderlo è stato il generale Figliuolo che, a partire dal prossimo 3 giugno, permetterà alle regioni di vaccinare tutti a partire dai 16 anni. Dai 12 addirittura con Pfizer, dopo l’approvazione dell’Ema. Risultato: dopo aver atteso per mesi il proprio turno, i “millenials” si troveranno nel “mare magnum” degli open-day. Un 39enne, per la sciagura di essere nato qualche mese dopo un 40enne, potrebbe ricevere la prima dose a distanza di tre mesi. In molte regioni addirittura l’indicazione è quella di vaccinare prima i giovanissimi. Si sa loro vanno in vacanza e sono più a rischio, come se un ultra-trentenne non meritasse una settimana di svago dopo due anni di lavoro e restrizioni no-stop.

Ah dimenticavo. Molti di loro il lavoro l’hanno perso, quindi il problema non sussiste. Potranno rimanere tranquillamente in casa in attesa del vaccino. La generazione che dovrebbe essere il motore economico del Paese viene inserita nel calderone e affidata alla sorte. Chi per primo si riuscirà a prenotare sulle piattaforme potrà vaccinarsi. Gli altri aspetteranno. Un altro aspetto abbastanza controverso della vicenda sta nel vaccino che toccherà agli ultra-trentenni. Per diversi mesi, dopo i primi problemi, ci hanno spiegato che Astrazeneca e Johnson e Johnson sono più adatti alle persone di mezz’età.

Le altre categorie dovrebbero utilizzare Pfizer e Moderna. In particolare l’incidenza del rischio trombosi aumenta nelle donne tra i 30 e i 40 anni d’età. Solo che nel marasma degli open-day, che di fatto diventeranno la regola, vengono somministrati solo Astrazeneca e Johnson e Johnson. Anzi gli open-day finora sono stati creati apposta per smaltirli. Quindi se sei donna e hai la sciagura di essere nata dopo il 1981, oltre ad aver probabilmente perso il lavoro in questi mesi, rischi anche di doverti vaccinare con sieri pericolosi. L’unica consolazione è che l’Italia non si smentisce mai in quelle che sono le sue certezze. Anche sulla vicenda vaccini il Belpaese ha dimostrato di non essere fatto per 30enni, soprattutto se donne. Ancora una volta l’Italia ha dimostrato che dei “millenials” non sa che farsene. Troppo vecchi per essere giovani e troppo giovani per essere vecchi.