Musica e cultura sono parole femminili, così, per dire

Chiudo questo mio diario, durato 200 giorni, con uno dei temi che mi appassiona di più, la presenza delle donne nel panorama artistico e musicale italiano


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La qualità ha rotto il cazzo. E via a ridere.

Quando a dire qualcosa del genere è Renè, beh, come non sghignazzare compiaciuto di certe italiche piccolezze. Diverso è quando ci si fa notare che, fondamentalmente, anche noi seguiamo pedissequamente quel modo di pensare e soprattutto di agire.

Mi spiego.

È un po’ il problema della sinistra, o quello che viene imputato a certa sinistra come problema. La base è la percezione di sé. Aspetto importante, legittimo, pensiamo alla querelle riguardo il They invocato da Demi Lovato, quel che si percepisce di sé ha sua legittima cittadinanza, ma mentre la si può applicare al campo dell’essere se stessi, diventa un po’ più complicati quando sono gli altri quelli con cui la nostra percezione si deve confrontare. Esemplifico. Se io penso di essere alto, non essendolo, può andar bene a livello di autostima, meno se voglio, per dire, andare in un determinato gioco acquatico in un posto tipo Acquafan che pone una altezza minima, superiore alla mia, lì non mi faranno andare e il mio dire “Ma io sono alto” a nulla varrà. Per questo, sempre per dire, il post di Pillon nel quale per deridere la richiesta di Demi Lovato che si parli di lei usando il They singolare neutro è una baggianata, perché lui fa esempi come “voglio andare in pensione anche se non ho ancora i requisiti” e altre puttanate del genere, ma anche lì, scemo io che parlo di Pillon. La sinistra, tornando a noi, o certa sinistra, o la sinistra per come è percepita a destra ha un problema con la propria presunta superiorità morale e intellettuale. Non dico niente di nuovo, credo, già tutto noto. Ci si sente superiori a quelli di destra, sia da un punto di vista culturale, il famoso discorso di Scanzi, non ci sono intellettuali di destra rilevanti, e ci si sente superiori moralmente, qui l’elenco sarebbe troppo lungo. Questo, ovviamente, genera mostri, perché quando poi ci si scontra con la propria piccolezza morale, siamo pur sempre italiani, moralizziamo ma aggiriamo le regole, ecco che arrivano serafici i cazzi.

Il caso di Propaganda Live e Rula Jebrael e il fatto di Propaganda Live e Roberto Angelini ne sono chiaro esempio, se chi tendenzialmente ha sempre dato particolare importanza a un certo modo di essere e di comportarsi viene colto in fallo parte subito il linciaggio, orribile deriva di questi giorni e soprattutto di questi giorni passati sui social, ma la cosa che lascia perplessi è più la sorpresa nel riconoscersi come qualcuno che è stato colto in fallo, quindi il correre dietro giustificazioni più o meno articolate, spesso goffe, quasi sempre inutili pezze laddove c’erano mesti buchi.

Dico questo perché ho deciso, non so perché, di dare risalto al cartellone del Pistoia Blues Festival, quest’anno in versione ovviamente rimaneggiata, dal titolo Storytelling- Suoni d’Autore e che presenta in dieci serate tredici artisti, tutti uomini. La cosa ha scatenato un certo dibattito sui social, con difese di ufficio, tutte da parte di gente che intorno al Festival ruota, e tutte atte a accusarmi di aver sbagliato mira, che non era quello un caso di discriminazione di genere, che il sessismo volontario o involontario non c’entrava nulla, che se le donne non erano in cartellone è perché avevano da fare altro, perché costavano troppo, perché c’erano meno proposte da parte dei promoter. Quest’ultima affermazione, per altro, potrebbe anche essere vera, non del tutto ma in parte, ma è più il sintomo di un sistema malato, che una giustificazione. Una filiera tutta in mano a uomini, discografici, promoter, direttori artistici, managar, che sceglie consapevolmente o meno di dar spazio solo a uomini. Vai poi a trovare donne che abbiano spazi, se ci riesci.

Usavo, proprio a riguardo, una metafora calcistica. Sei un allenatore che non fa mai giocare nella sua squadra calciatori mancini. Così fanno anche i tuoi colleghi. Le lo si fa notare e tu dici, “Non li faccio giocare perché non ne ho in squadra”. Grazie al cazzo, prendili e li avrai. “No, non li posso avere perché anche nelle altre squadre non giocano”. Vero anche questo, per i medesimi motivi, li discriminate. “Eh, ma i giocatori che usano il destro sono più bravi, piacciono di più al pubblico”. Falso anche questo, il pubblico neanche sa che esistono, se non li fai giocare, e con la tua scelta decidi di non dar modo loro di decidere, discrimini.

A quel punto, era ovvio, tra insulti e minacce, sono iniziate a arrivarmi tante segnalazioni di altri Festival, sempre tutti al maschile, e tutti suppergiù con gli stessi nomi. Eolie Music Fest, Go Go Bo, Balena Festival, Flowers Festival, Settembre Pratese, No Sound Fest, davvero l’imbarazzo, letterale, della scelta. Sono arrivati altri insulti e altre minacce, e anche altre scuse, sempre più agghiaccianti. Qualcuno mi ha detto, per esempio, che a Torino vanno solo quei nomi lì, qualcun altro che se decidi di chiuderti in un ghetto poi nel ghetto resti, inconsapevole, credo, che io non sono una cantautrice e che, incidentalmente, suonassi e cantassi, in quanto munito di cazzo non rientrerei in quella categoria, e poi via di “proprio quest’anno che si riparte a fatica dopo la pandemia”, “non è questo il modo di fare il femminismo”, “ci sono tante donne dietro le quinte, manager e direttori artistici”. A quest’ultima affermazione, davvero imbarazzante, ho risposto portando un esempio concreto, che per altro avevo già portato ai tempi in cui questa stessa cosa mi è stata detta da chi organizzava il Primo Maggio 2019, tutto al maschile, mia madre lavorava in una ditta farmaceutica. Tutte le persone che lavoravano, tra operaie e in amministrazione, erano donne. Tutti i capi e il padrone uomini. Mia madre è rimasta incinta, era il 1960, mio fratello sarebbe arrivato nove mesi dopo. È stata immediatamente licenziata. Diciamo che lavorare sotto o dietro le quinte non è la medesima cosa, e non nascondiamoci dietro un dito, medio.

Innumerevoli, ovviamente, gli attacchi e gli insulti in contumacia, ma figuriamoci la rilevanza del tutto.

Quello che però non c’è stato, da nessuna parte, ripeto arrivati intorno ai dieci festival tutti uguali, e tutti di soli maschi, fatta eccezione per due o tre passaggi dei Coma_Cose, con California che è donna, una de La Rappresentante di Lista, con Veronica, e una Carmen Consoli ospite di Colapesce e Dimartino, sia mai che le donne possa stare da sole, hanno bisogno di spalle forti e rassicuranti a fianco, quello che però non c’è stato è qualcuno che dicesse “cazzo, è vero, abbiamo sbagliato”. No, tutto un, questi sono i nomi che portano numeri, così va il mercato, non ci sono donne di pari livello, non ci sono donne in tour. Poco contano i nomi, in tour, di una Cristina Donà, una Margherita Vicario, una Miss Keta, o i nomi di Levante, Madame, Elisa. Potrei anche azzardare nomi come Alessandra Amoroso, Giusy Ferreri, Elodie, Emma, e qui volevo andare a parare, forte del fatto che mi fanno tutte abbastanza cagare, che ciò nonostante hanno successo e fanno numeri e che quindi nessuno potrà accusarmi di favorire qualcuno che seguo e stimo.

Se io facessi questi nomi, è chiaro, mi si risponderebbe che con la musica che fanno loro, quei Festival, nulla c’entra. Che sia vero è altra faccenda, al Miami c’è stata Francesca Michielin, ma proviamo a prendere questa ipotesi per buona.

Chi fa parte di quel mondo lì, la musica indipendente, alternativa, rock, come la volete chiamare, non pensa di aver nulla a che fare con il pop becero da classifica, la musica usa e getta. Poco conta che in tutti i festival ci siano Colapesce e Dimartino per Musica leggerissima, non certo per I mortali, è così. Loro fanno cultura, gli altri musica da sottofondo. Provate a mettere nello stesso discorso Alessandra Amoroso e uno qualsiasi di questi nomi e vedete cosa vi risponderanno. Per certi versi, lo confesso, ho a lungo pensato anche io che ci fosse la musica atta a fare cultura e quella atta a fare cassetta, esattamente per lo stesso motivo per cui fatico a mettere sullo stesso piano Cormac McCarthy e Fabio Volo, o Saramago e Orietta Berti. Del resto in questo anno e mezzo abbiamo visto tutte quelle facce lì, quelli che ora parlano legittimamente di ripartenza, seppur faticosa, invocare rispetto e aiuti da parte di chi della Cultura si occupa, Dario Franceschini in testa.

Cultura e mercato, intendiamoci, possono stare nello stesso discorso, andare di pari passo. I libri hanno un codice a barre, passano da una casa discografica, sia quelli di Caproni che quelli di Gio Evan, solo che la cultura, in quanto cultura, tenere conto solo degli aspetti economici, sempre che siano per altro ben ponderati, è un errore da matita blu. Intendiamoci, non penso che non si debba pensare al profitto, sarei ingenuo e anche ingeneroso, ma penso che a chi fa cultura sia chiesto un grado di sensibilità maggiore, e che questa sensibilità sia parte dell’essere parte del discorso culturale. In sua assenza la parola cultura è fuoriluogo, e la si smetta di piagnucolare perché non si viene considerati meritevoli di attenzione, rispetto e aiuti in quanto parte di.

Certo, il discorso delle quote rosa è spinoso, in genere, applicarlo al campo dell’arte potrebbe risultare addirittura deleterio. Potrebbe. Perché è evidente che l’arte c’è laddove non si parla solo di profitto, ma anche di arte, appunto, e un’arte che pratica discriminazioni è un’arte fallace in partenza, e perché ovvio che tutti vorremmo poter ascoltare e sentire solo chi riteniamo meritevole e interessante. Solo che se si discrimina noi in realtà ascoltiamo solo chi riusciamo a ascoltare, che ci fanno ascoltare, e il cane riprende a mangiarsi la coda.

Rosa Parks, quando ha protestato perché sull’autobus vuoto lei doveva comunque stare in piedi, ha posto sul tavolo una questione di principio, questione di principio che è diventata lotta sociale, è stata vinta e ha portato un diritto sacrosanto, quello che chiunque possa sedersi su qualsiasi posto. A quel punto i posti liberi vengono occupati da chi sale per primo, e in alcuni casi, gli anziani, i portatori di handicap, le donne incinte, da chi ha particolari necessità. Prima solo dai bianchi. Ecco, io partirei da qui.

Chiudo tornando alla faccenda della sinistra, da cui ero partito. Non voglio dire che tutti abbiamo lo stesso grado culturale, e neanche la stessa statura morale. Non è così, e non vedo perché dovrebbe esserlo. Che però chi si ritiene più colto e dotato di morale sia incapace del tutto di fare i conti con le cazzate che fa e chiedere scusa è qualcosa di agghiacciante, non basta certo raccontarsi e raccontare favolette perché la sostanza cambi.

PS

Siamo arrivati alla fine di questo diario. Non perché io abbia la sensazione che questa tragica situazione sia finita finalmente alle nostre spalle, ma perché credo che a un certo punto sia meglio metterci un punto. Ho iniziato a declinare sotto forma di diario i miei scritti di musica, che di musica sono diventati parzialmente, anche se in fondo non lo erano mai stati del tutto, il 24 febbraio 2020, per andare a chiudere quella cavalcata 103 giorni dopo, nel giorno del mio compleanno, in quel 2 giugno che sanciva la fine di una buona porzione di restrizioni. Ho poi ripreso a novembre, e oggi, 200 giorni dopo, chiudo il tutto. Nel mezzo ci sono state oltre 61550000 battute, oltre un 10000000 di parole, direi che sia davvero arrivato il momento di fermarsi.

Basta con questi miei pensieri sparsi, erranti, contorti, lunghissimi, vorrei dirvi, ma magari anche gli articoli, di nuovo potrò chiamarli tali, che riprenderò a scrivere nei prossimi giorni, semplicemente articoli legati al mondo della musica, seppur sotto forma di editoriali, potrebbero proseguire in questa modalità, ci ho preso gusto, o più semplicemente ho trovato la forma più consona a quello che voglio esprimere. Ci si vede sempre da queste parti, quindi, non tutti i giorni, forse, sicuramente non domani.