Piccolo prontuario su come approcciare un critico musicale

Personalmente ascolto solo gli artisti che mi vengono segnalati da qualcuno che conosco e di cui mi fido e un po’ a caso tra quanti mi scrivono laddove mi si può scrivere


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Ci sono giorni, suppongo siano quelli particolarmente noiosi e privi di stimoli, ultimamente quasi tutti appaiono così, nei quali mi dico che prima o poi dovrei fare una raccolta dei messaggi di accompagnamento di dischi, demo, singoli, video e quel che passa il convento. Me lo dico con la stessa convinzione che in genere poniamo nei buoni propositi cui sappiamo non abbiamo in realtà nessuna intenzione di dar seguito, le promesse che non intendiamo mantenere. Qualcosa che si dice tanto per, così, non costa nulla dirselo, e in fondo ci solletica l’idea questo scrigno segreto di varia umanità possa diventare di pubblico dominio, prospettiva piuttosto incline a farmi passare per spirito generoso, o magari semplicemente la voglia di spartite con altri tante nefandezze, non sia mai che io stia qui a incensarmi.

Ora, capisco la necessità di provare a scalfire in qualche modo il velo di indifferenza che l’essere iperconnessi porta in realtà in dote, tutti hanno voce in capitolo, o almeno tutti hanno una voce, è ovvio che tocchi trovare il modo per farla ascoltare, per attirare attenzione, per porsi al centro della scena. E capisco pure che farlo, fare tutto quanto ho appena descritto, non fatemi ripetere che già vado lungo di mio, senza per contro apparire supponente, invadente, scioccamente spavaldi, sia impresa ancora più difficile, perché è ovvio che se entro in un negozio e emetto uno squassante rutto la commessa su cui vorrei far colpo da tempo, perché ogni giorno, passando davanti a quel negozio non posso che perdermi nella sua grazia e nella sua bellezza, sto facendo un esempio di fantasia, lo dico a quanti stessero lì a pensare che io sia in procinto di tradire mia moglie, ecco, è evidente che se entro in un negozio e emetto uno squassante rutto attirerò finalmente l’attenzione della commessa di cui sono segretamente innamorato, ma non sarà il tipo di attenzione giusta, azzarderei, quella atta a fare a sua volta invaghire lei di me, o quantomeno a aprire un terreno di discussione a riguardo, accendere una possibilità al momento inesistente, e dopo quel rutto decisamente impossibile. D’altra parte, non entrare nel negozio o entrarci e starsene in mezzo a un gruppo chiassoso, parte di un tutto ben più evidente di me, o, anche semplicemente entrare, comprare qualcosa anche facendosi servire dalla commessa in questione, ma senza aver modo di interagire, semplicemente lo scambio di battute di rito: “posso pagare con la carta?”, “Certo”, “Arrivederci”, renderebbe il tutto piuttosto improbabile.

Capisco quindi le strategie che chi mi scrive, e immagino al tempo stesso scrive a chissà quanti altri, mette in atto. Strategie di comunicazione spiccia, certo, ma che punta a essere sia efficace che educato.

Io, quando scrivo, non sono educato. O meglio, uso uno stile che spesso sfocia nel gergale, a volte nel volgare, gioca con l’ironia e il sarcasmo sfiorando la violenza verbale, non ho difficoltà a essere irriverente nei confronti dei mostri sacri, eversivo nei confronti del sistema, anarchico nei modi. In realtà lo sono in maniera tutt’altro che anarchica, ricreare su carta, metaforica, qui è tutto digitale, un linguaggio che simuli il colloquiale è una operazione assolutamente razionale, tutt’altro che naturale o improvvisato. Certo, il mestiere e il talento giocano un ruolo in tutto questo, non voglio star qui a far passare l’idea che quel che scrivo sia oggetto di giorni di lavoro, scrivo tutti i giorni e scrivo tutti i giorni tantissime parole, mentirei sapendo di essere smascherato in un nonnulla, ma è evidente che quello che scrivo è appunto scritto, non detto al bar, mentre tracanno una birra.

Faccio un esempio, se c’eravate negli anni Novanta avrete tutti in mente il video di Thank U di Alanis Morissette. La cantautrice canadese, che solo tre anni prima, nel 1995 si era fatta notare per la sua energica carica sensuale con Jagged Little Pill, album che, trainato da tre hit gigantesche come Ironic, You Learn e You Oughta Know, ha venduto qualcosa come trentatré milioni di copie in tutto il mondo, torna sulle scene con un nuovo lavoro decisamente virato su altri colori, Supposed Former Infatuation Junkie. Un lavoro decisamente più introspettivo, riflessivo, laddove l’altro era una sferzante botta sui denti, qui si va ricercando spiritualità e in qualche modo esistenzialismo, i numeri, seppur mostruosi, diranno di come la gente si aspettasse decisamente altro. Thank U è un singolo comunque di grande successo, perfetta incarnazione di questo nuovo periodo e percorso. Il video di accompagnamento del brano vede Alanis aggirarsi per la metropolitana e le strade di una città americana, completamente nuda e coi lunghi capelli scuri a coprirla, come una novella Lady Godiva. Il tutto, il brano parla del suo viaggio in India, alla ricerca di sé, con un senso di comunione verso il mondo e gli altri esseri umani, che in qualche modo fuga ogni possibile intenzione maliziosa o erotica, fatto che non mancherà comunque di causare le solite e classiche polemiche. A vederla, lì, nuda, le parti intime pixelate, i seni coperti dai capelli, Alanis sembra quantomai naturale, nuda anche sotto il profilo delle sovrastrutture, come se il regista del video l’avesse presa in un momento di vita quotidiana, senza trucchi e senza inganni. A parte l’ovvio, che cioè Alanis non poteva essere stata immortalata come da una candid camera mentre se ne andava in giro sorridendo agli altri presenti sulla metro o abbracciando sconosciuti incontrati per strada, perché la avrebbero arrestata in meno di cinque minuti, resta l’idea naif di pensare che una popstar che decida di apparire nuda in un video lo faccia così, al naturale, viaggio in India o non viaggio in India.

Ecco, quando mi leggete e pensate che io sia esattamente quello che state leggendo, che cioè io coincida perfettamente alle parole che ho scelto per scrivere, allo stile che ho adottato, ai concetti che ho espresso, pensate che io sono come l’Alanis del video di Thank U, sono sicuramente quello, nudo, ma quello che voi state vedendo è filtrato dal medium che ho adottato per arrivare a voi, non è che mentre facevo la doccia di colpo siete stati proiettati dentro il mio bagno.

Dico questo non perché io volessi azzardare un paragone tra il me che scrivo e l’Alains Morissette nuda che si aggira nel video di Thank U, anche, è evidente,e e comunque se non conoscete That I Would Be Good, tratta dallo stesso album, il video che si trova su Youtube tratto dall’MTV Unplugged, video che inizia con lei che suona il flauto traverso, farebbe cadere chiunque innamorato di lei, altro che commessa del negozio che non sappiamo approcciare, sappiatelo, avete fin qui vissuto una vita monca, come di chi ha capito solo in punto di morte che per aprire quelle scomodissime sacchette biodegradabili che si usano nei reparti ortofrutta dei supermercati, quelli il cui prezzo di un centesimo, anni fa, è stato per qualche tempo una delle battaglie per i diritti civili da combattere a tutti i costi, Dio cosa ci siamo persi a non avere già allora Fedez come maitre à penser, basta tirare i due estremi sul fianco, così che si aprano senza il minimo sforzo, andate e non peccate più, e comunque sì, volevo anche azzardare questo paragone, lo ammetto, so farlo e l’ho fatto, ma dico questo perché mi capita praticamente tutti i giorni di ricevere messaggi, mail, biglietti di accompagnamento di dischi fisici, sms e Dio solo sa cos’altro in cui chi mi scrive pensa che per attirare la mia attenzione star lì a articolare frasi a effetto possa raggiungere un qualche risultato.

Ne ho parlato più volte, lo so, e posso sembrare monotono, anche se ho appena paragonato un quasi cinquantaduenne sovrappeso a quello splendore di Alanis Morissette che si aggira nuda per il video di Thank U, i capelli a renderla una novella Lady Godiva, noi tutti a vestire i panni di Peeping Tom, il guardone destinato non a essere perdonato, come il San Tommaso apostolo a cui deve evidentemente il nome, quanto a diventare cieco, divenendo al tempo stesso il simbolo di chi per la propria curiosità ha perso la vista, il titolare dei Peeping Show nonché il chiaro motivo per cui si dice che chi si masturba guardando le donnine nude, uso un linguaggio degno dei miei nonni, perde la vista, al tempo stesso testimoni di un miracolo, se non sentiamo o vediamo un albero cadere nella foresta no, non fa rumore, ma anche dimostrazione che quel miracolo era forse necessario, qui sto andando decisamente fuori tema, me ne scuso e torno nei ranghi, ho appena paragonato un quasi cinquantaduenne sovrappeso a quello splendore di Alanis Morisette che si aggira nuda per il video di Thank U, sarò anche monotono, ma lo sono con stile, su questo immagino saremo tutti d’accordo, ne ho quindi parlato più volte, ma credo che se mi ripeto che prima o poi dovrei raccoglierli in una sorta di antologia e renderli di pubblico dominio è perché, in effetti, se non potrebbero trarre dei giovamenti, che si tratti di sorridere o di accampare analisi antropologiche.

Quello che segue, quindi, potrebbe anche essere letto, fantasiosamente quanto generosamente (nel senso che chi lo legge dovrebbe essere generoso nei confronti di chi lo ha scritto, cioè miei, dando alle mie parole un peso maggiore di quello che hanno, ma anche nel senso che quello che ho scritto sono un mio gesto di generosità nei confronti di chi legge e in qualche modo è intenzionato, prima o poi, a entrare nel novero di quelli che mi contattano per mandarmi dischi, demo, singoli, link di video o quel che è, a voi l’interpretazione che più vi aggrada), come un piccolo e veloce prontuario sul come avere il giusto approccio con chi andrà a leggere quel che avete scritto per accompagnare una vostra opera, prontuario credo valido in generale, ma siccome non sono uso a parlare per conto di altri che non sia io, sicuramente valido per quel che concerne me, uomo e donna avvisati, etc etc.

Ho sempre pensato che fare i distinguo in premessa di un qualsiasi scritto sia atto banale, quasi pavido. Voglio dire che trovo interessante quel che ha detto Tizio, che però artisticamente non mi piace, per paura che qualcuno pensi, indebitamente, che siccome condivido quel che Tizio ha detto allora io debba necessariamente anche amare la sua musica, scrivo prima che non mi è mai piaciuta la sua musica e poi dico che condivido quel che ha detto, in qualche modo dimostrando vicinanza, ma con riserve. In questo modo, credo, si tende a concentrare l’attenzione sul messaggero più che sul messaggio, il che è magari naturale, ma fondamentalmente sbagliato. Se però il messaggero dal quale si vuole prendere la distanza è anche il destinatario del messaggio, seguitemi, la faccenda credo diventi complicata, quasi irrisolvibile. Traduco, non puoi scrivermi dicendo che non sei quasi mai d’accordo con me, ma che siccome mi stimi vorresti sapere quel che penso di te. Cioè, lo puoi fare, ci mancherebbe altro, non passa giorno che qualcuno non mi approcci così, ma dal mio punto di vista è come se mi dicessi che ti interessa più il fatto che, per quello che dico, io ho un pubblico di riferimento, a cui vorresti far arrivare la tua opera, più che sapere cosa io realmente pensi di te, vuoi che io accenda un riflettore più che io ti proponga una riflessione, e questo, onestamente, è poco interessante. Non che venire a dirmi che sei sempre d’accordo con me sia molto meglio. Intendiamoci, ovvio che capisco che se mi leggi e suppergiù tutto quello che dico coincide con quello che pensi, magari a volte anche influenzando quello che pensi, perché ho scritto cose cui non avevi pensato, impossibile che io e te si faccia contemporaneamente sempre gli stessi ragionamenti, ci può benissimo stare che tu voglia un mio parere su quel che tu hai fatto, come a conferma che quel comune pensare in qualche modo abbia portato anche a un gusto comune. Ma a me, in tutta onestà, di sapere che colei o colui sto per andare a ascoltare la pensa come me, detta in questo modo, interessa anche meno. Se io e te abbiamo una visione comune, della musica, della società, della vita, vorrei capirlo da quel che fai, non da quel che mi dici. E tanto non amo essere odiato, tanto non amo che chi mi ama me lo spiattelli in faccia, a meno che non si sia intimi.

Quindi no, non ditemi che siete sempre in disaccordo con me per attirare la mia attenzione, non la attirate e quella poca che attirate è una attenzione sbagliata, infastidita. Non blanditemi neanche, non amo i ruffiani e i leccaculo, anche se sinceri. Non ditemi proprio cosa pensate di me, se mi state scrivendo è evidente che, per ragioni più o meno corrette vi interessa che io vi ascolti e sperate che io ne scriva.

Ecco, dirmi che vi interesserebbe anche un mio parere privato, che vorreste una mia recensione ma anche due parole via messaggio sarebbero sufficienti è un’altra cosa che non capisco. Non faccio recensioni ad personam. A dirla tutta, è un anno e passa che non faccio più recensioni, né interviste, chiedermele come se l’ultima l’avessi fatta ieri tradisce che sapete chi sono, pensate che possa esservi utile un mio scritto che parli di voi, ma non avete idea di cosa io in genere scriva, fatto che non è che sia esattamente il migliore biglietto da visita. Come se io, incontrando Michael Jordan gli dicessi che mi piace molto il modo che ha di segnare in rovesciata, la palla sotto l’incrocio. E no, non mi sto paragonando a Michael Jordan, stavolta, era per fare un nome che anche una capra avrebbe associato al basket e non al calcio. Non ascolto musica per dare pareri personali. Se mi interessa cosa fai lo dico pubblicamente, non facendo recensioni, in realtà sono ben più di un anno e passa che non ne faccio, ma inserendolo in questi miei scritti strani qui, se non mi interessa, amen, non ne parlo e basta. Diverso è se siete già visibili, perché lì mi capita di criticare anche chi non mi interessa, ma è perché mi occupo da critico anche di mercato, e far finta che qualcuno non esista è sì una stroncatura, ma far finta che non esista buona parte della musica pubblicata dalle major e baciata da successo di pubblico rischierebbe di farmi passare per uno particolarmente distratto, converrete.

A tal proposito, se nel chiedermi un mio parere, usate messaggi “prestampati”, nel senso di neutri, che usate per chissà quante altre persone, state almeno attenti a non fare riferimenti che mi escludano a priori, tipo parlando di “interviste radio” o di “redazione”, è piuttosto fastidioso, per non dire di chi sbaglia nome, perché nel copia incollare ha dimenticato di correggere il destinatario nel corpo del messaggio, o sbaglia il giornale. Ecco, se mi scrivete dicendomi che sareste onorati che io vi recensissi per il FattoQuotidiano, per capire, difficilmente avrete mai una sola parola che porti la mia firma a voi dedicati.

Andiamo avanti. Ho già più volte sottolineato come mandarmi link di Spotify sia qualcosa che vedo come un toro vede il rosso, la mia ostilità all’azienda di Daniel Ek è cosa nota anche ai sassi, se non lo sapete non mi leggete e se non mi leggete non ha senso che mi scriviate. Chiedermi di ascoltarvi comprando la vostra musica, invece, è forse talmente spavaldo che sarei tentato di farlo, non perché io debba essere trattato come un privilegiato che riceve la musica gratis, sia chiaro, ma perché se la musica che dovrei pagare è quella che mi serve per lavoro, converrete, starà a me decidere se pagare o meno per averla, e sicuramente non accadrà perché qualcuno mi invita a farlo con un messaggio su Messenger o via mail.

Un grande classico, che sulle prime, parliamo ormai di anni fa, mi faceva anche sorridere, erano quelli che volevano fare i simpatici. Quelli che dicono che gli amici e i parenti gli hanno sconsigliato di mandarmi la loro musica, che sanno che stronco come pochi, ma che sarebbero comunque felici di farsi fare del male da me, che suppongo sia un modo o appunto per fare il simpatico o per dirmi in maniera subliminale che praticano il sadomasochismo, e che vorrebbero essere i miei schiavi. Solo che io non sono una mistress, non indosso tacchi diciotto affilati come stiletti, non piscio sopra gente che ami farsi stringere i capezzoli con morsetti di quelli che si usano per ricaricare le batteria della macchina, e più in generale non trovo particolarmente simpatico uno che mi dica una cosa che mi è stata già detta da altre migliaia di persone nel corso degli anni. Intendiamoci, chiamarmi Monini invece che Monina perché Monini era un olio particolarmente in voga e soprattutto molto pubblicizzato in televisione poteva farmi sorridere la prima volta, alla terza scattava la testata sul naso, hai voglia poi a dirmi che uno si vorrebbe far fare del male da me.

Avrei voluto chiudere questa carrelleta dicendo che no, mandami foto provocanti, primi piani di parti intime, sono eterosessuale, sto parlando di donne, non ha su di me nessun tipo di compiacente effetto. E avrei voluto dirlo non tanto e non solo per sottolineare che non sono mai stato in vendita, parlo di chi mi ha offerto soldi per scrivere di loro (senza specificare se accettare soldi implicasse anche scriverne bene, non ho mai accettato, quindi resto col dubbio), figuriamoci se sono in vendita per chi si offre di ripagarmi, anche solo virtualmente, con del sesso spiccio, quanto piuttosto per rendere il racconto della mia vita di critico musicale, contattato ogni giorno da decine e decine di persone che cercano l’approccio più fantasioso con cui entrare in sintonia con me, per mettersi in evidenza ai miei occhi, un pochino più interessante e avventurosa. Nel farlo, è evidente, avrei sottolineato la mia irreprensibilità, nonché la mia fedeltà a mia moglie, andando a respingere radicalmente ogni approccio anche di questo tipo, alla larga. Nei fatti, e qui sì credo che questa cosa sia esibibile come vanto e non solo per me, ma anche per la comunità della cantautrici, cui rivolgo sempre molta attenzione e che da anni sostengono con tutte le mie forze, non ho mai ricevuto nessun tipo di approccio del genere, nessun culo o nessuna tetta trovato nei messaggi, nessuna proposta di ricambiare con favori sessuali una mia recensione, niente di niente. Evidentemente vengo considerato una persona seria, cui la massimo si può dire che non si condivide niente di quel che scrivo e chiedere comunque una recensione, o si può offrire la propria sottomissione, nonostante i consigli spassionati dei propri cari.

Ora vado che ho qualche centinaio di messaggi arretrati da smaltire. Ascolto solo quello che mi viene segnalato da qualcuno che conosco e di cui mi fido, per la cronaca, e un po’ a caso tra quanti mi scrivono laddove mi si può scrivere, sempre evitando di concentrarmi sui messaggi che accompagno dischi e canzoni. Non ditelo però in giro, e tra tette e culo, servisse, io voto culo.