“Non amo la parola poetessa, preferisco la parola poeta, anche quando si tratta di una donna”

Ritorna dunque la dibattuta questione della declinazione al femminile di mestieri, ruoli e professioni che non trova uniformità di vedute e di posizioni, e divide anche le percezioni sull’uso del politicamente corretto


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Non amo la parola poetessa”, dice Ludovica Ripa di Meana a Nicola Mirenzi, nella bella intervista recentemente pubblicata su Huffington Post. La scrittrice, drammaturga e poeta spiega perché: “Preferisco la parola poeta, anche quando si tratta di una donna. Poeta non è solo colui o colei che fa poesia: è anche colui o colei che “è fatto” dalla poesia, ne è attraversato, fino al punto di essere – a sua volta – poetato. Lo diceva Contini: nella parola poeta è racchiuso anche il verbo poetare, e dunque il processo da cui nasce la poesia. Al contrario, nella parola al femminile – poetessa – l’elemento verbale si perde. Ed è un peccato: alla condizione della donna non aggiunge niente, mentre alla condizione da cui nasce la poesia toglie tantissimo”.

Ritorna dunque la dibattuta questione della declinazione al femminile di mestieri, ruoli e professioni che non trova uniformità di vedute e di posizioni, e divide anche le percezioni sull’uso del politicamente corretto. “Se si facesse un sondaggio su questo tema sono convinta che ci sarebbe una accesa spaccatura sull’argomentoe quello che ai più, in particolare alle donne, sembrerebbe una declinazione scontata al femminile tra l’altro conseguente e derivante da battaglie femministe ma anche da posizioni e condizioni maturate individualmente e collettivamente nella società, a tantissime altre una simile scelta grammaticale non apparirebbe fondamentale del genere maschile o femminile di quel determinato ruolo o professione”. 

Oggi una donna come Ludovica Ripa di Meana non desta così tanti polveroni neppure quando, sempre nell’appassionata intervista citata, alla domanda del giornalista Mirenzi: “Cantante si può declinare anche al femminile?”, risponde“Per fortuna no. Altrimenti chissà cosa avrebbero inventato. Ci sono parole improbabili declinate al femminile, altre che diventano subito comiche. Una parola vertiginosa come profeta al femminile diventa profetessa. E c’è poco da fare, è ridicola”. E direttrice d’orchestra?Si potrebbe dire; senz’altro è preferibile a ‘direttora’, che è orrenda. Ma perché dovremmo? La pretesa di declinare tutte le parole al femminile è cretina.  Sostituendo una vocale con un’altra non si cambia la condizione della donna. Questo è il punto. Mentre la lingua si deturpa all’istante”. 

Posizione chiara e condivisibile che andrebbe letta, ascoltata e raccontata alle nuove generazioni per farne oggetto di discussione e approfondimento nei programmi scolastici e formativi. Anche questo aspetto contribuirebbe alla formazione di una cultura della sensibilità, del rispetto verso le donne e dei ruoli occupati nella società.Non si possono liquidare in un modo o nell’altro, pro o contro, posizioni di chi non ritiene di declinare la propria condizione di genere femminile o di chi è fermo a mantenerne la declinazione maschile, come assessore, sindaco o direttore. Scelte non sempre generalizzabili ma a cui si potrebbe affiancare in determinati programmi formativi una storia del pensiero femminile e del percorso che ha condotto a questa determinazione. Una maturazione che va di pari passo con l’evoluzione della società, a cui però troppo spesso non si associano conseguenti comportamenti di parità salariali, di riconoscimento del valore di una donna in una determinata condizione professionale. Anche quando si tratta di posizioni apicali.  Dunque non è solo e comunque la declinazione femminile a rendere la posizione riconoscibile ma è anche il peso che ciascuna donna, a parità di condizioni, deve acquisire. 

È facile ricordarele polemiche sollevate sul palco di Sanremo da Beatrice Venezi, la più giovane professionista a dirigere un’orchestra in Europa che, entrando sul palco con un abito rosso e nero lungo e morbido, rubò subito la scena della quarta serata dell’Ariston perché volle subito precisare“Direttrice d’orchestra? No, meglio direttore”,rispondendo a una battuta di Amadeus. Per giorni la frase ha tenuto banco, riscuotendo irritazione e consensi, ha fatto il giro dei social e subito come in un duello si sono affrontati i diversi schieramenti, anche politici, divisi tra destra e sinistra.

Ci si è appellati all’Accademia della Crusca e non si sono fatti sconti alla Venezi “per l’occasione sprecata” per la scelta di non declinare la sua professione al femminile. Lei che comunque in passato ha scelto di prendere posizione a viso aperto anche nella scelta di indossare non uno smoking per dirigere l’orchestra ma un abbigliamento che non nascondeva la sua femminilità. 

L’intervento di Laura Bordini che, da presidente della Camera, decise di lanciare la campagna sui mestieri declinati al femminile nei media, in un’intervista all’agenzia Adnkronos replicò così alla Venezi: “Direttrice è bellissimo, rifletta sui sacrifici delle donne“. E poi aggiunse: “Più che una scelta individuale della direttrice d’orchestra Venezi, è la scelta grammaticale a prevalere e quella italiana ci dice che esiste un genere femminile e un genere maschile. A seconda di chi riveste il ruolo si fa la declinazione. Chi rifiuta questo lo fa per motivi culturali. La declinazione femminile la si accetta in certe mansioni come ‘contadina’, ‘operaia’ o ‘commessa’ e non la si accetta quando sale la scala sociale, pensando che il maschile sia più autorevole. Invece il femminile è bellissimo“.

Voi da che parte state?