Ultimo, le figure di merda e la legge della strada

Il concerto in streaming su LiveNow è stato solo un'altra mossa commerciale per fare cassa sulla pelle dei fan, per di più è venuto male


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Oggi mi tocca scrivere un pezzo davvero strano. Lo premetto, così siete avvisati e non venite poi a lamentarvi.

Perché oggi devo parlare di un disco interessante, ma per farlo mi tocca fare un paio di premesse che apparentemente col disco in questione c’entrano poco, ma che ne sono parte fondante.

Certo, fare premesse che appaiono fuoriluogo non è che sia cosa per me così strana, forse la stranezza sta più nel mio apparente mettere le mani avanti, penserete, se siete tra quanti solitamente mi leggono.

Ma no, fidatevi, non è questa la stranezza.

Il fatto è che sui social mi capita di incontrare un sacco di persone. Alcune posso dire che, in tredici anni, da tanti sto sul primo social cui mi sono iscritto, Facebook, sono persone che conosco anche in maniera piuttosto intima, perché so cosa fanno, con chi vivono, che sentimenti provano per i fatti della vita, che gusti hanno, anche se poi non ci siamo mai incontrati di persona.

Sono amici, come Zuckerberg ha fantasiosamente deciso?

Direi di sì, e non credo neanche si tratti esattamente di amicizia virtuale, perché dopo tredici anni e non saprei dire quanto tempo passato sui social quelli fanno parte della mia vita esattamente come le persone che incontro di persona.

Del resto, sui social, ci sono anche buona parte delle persone che frequento di persona, e nel dire questo in mezzo a una pandemia so di aver appena dato vita a un paradosso, perché io di persona incontro da un anno a questa parte pochissima gente. Ma ci siamo capiti.

Altri, neanche pochi, li ho conosciuti di persona, e siamo diventati molto amici, non fatico a dire tra gli amici più cari. Ho conosciuto anche tanta gente con cui ho fatto cose di lavoro, insomma, sto sui social e ci sto parecchio.

Tra le tante persone che incontro, ovviamente, molte mi contattano per questioni di lavoro, per propormi l’ascolto di un disco, per chiedere una recensione, proporsi per essere intervistati, anche se dopo quanto scritto recentemente non dovrebbero più farlo, per proporre comunque qualcosa.

Detta così, lo so, sembra che io non contatti mai nessuno, e che viva passivamente lo stare sui social. Ovviamente non è così, il Festivalino di Anatomia Femminile, per dire, è partito dai social, è andato in scena sui social e grazie ai social è stato possibile entrare in contatto con così tante artiste, in parte contattate direttamente da me, in parte autocandidatesi a partecipanti. Solo che oggi sto parlando di quelli che contattano me, è questa parte delle persone che incontro sui social che deve essere sotto il vostro sguardo adesso. Molti mi contattano, per proporre qualcosa, e lo fanno quasi sempre usando un social che, a ben vedere, non dovrebbe essere il modo canonico per contattare uno che scrive di musica su un magazine.

Ma va bene così, ci mancherebbe, capisco che è un mondo difficile, e che il social è lì per socializzare.

Va bene ricevere ogni giorno decine e decine di messaggi e di allegati, anche di notte, anche nel weekend, non è questo che deve attirare la vostra attenzione.

Mi concentrerei più sulle modalità, perché questo invece diventa rilevante per il mio discorso, e per parlare del disco di cui poi vi andrò a parlare.

A volte quando vengo contattato, sulla chat di messenger legato ai miei due profili privati o alla pagina pubblica, l’approccio è abbastanza neutro. Mi si chiede se posso essere disturbato, rispondo di sì, quando riesco, e non è che succeda sempre, a quel punto mi arrivano messaggi fiume, spesso chiaramente copia-incollati da altre chat o mail, ma va benissimo, ci mancherebbe, con i link o gli allegati per l’ascolto.

Se il link è di Spotify, quasi sempre, rispondo dicendo che la mia religione mi impedisce di ascoltare musica in streaming, e quando lo scrivo in qualche modo catalogo chi mi ha scritto come qualcuno che non è un mio lettore abituale, perché che io non usi Spotify lo dico con cadenza quasi giornaliera.

Questo non inficia il messaggio, se ho tempo ascolto quel che mi arriva dopo, quasi sempre un wetransfer con gli Wav o gli MP3, ma se il messaggio iniziava con attestati di stima nei miei confronti ho la netta sensazione di essere stato vagamente preso per il culo.

Succede. Sono adulto e (non) vaccinato, posso sopportare.

Molto spesso, però, i link di Spotify arrivano in seguito a messaggi spavaldi, di gente che mi inonda di parole, non richieste, che quasi sempre giocano sull’ironia, come se uno intercettando un comico dovesse parlarci facendo gag, e che sono in fondo delle profonde leccate di culo.

Sono un narciso, è noto, ma non ho idea di dove abbia sbagliato se è passata l’idea che mi piaccia ricevere leccate di culo.

Non è così. Anzi, diffido di chi nello scrivermi antepone a quel che deve dirmi attestati di stima troppo esagerati. Ovvio che mi fa piacere sapere che ho gente che mi legge e che mi ritiene sagace, ma dirmelo con troppe parole rende il tutto zuccheroso e melenso, credo. Oltretutto so bene di essere sagace e anche decisamente talentuoso, non ho bisogno di troppi riconoscimenti. Ma capisco che avvicinare una persona che non conosci per chiedergli qualcosa, anche se la qualcosa è di lavoro, implichi una forma di soggezione, e io sono in tutti i casi legato a un me stesso pubblico, il mio avatar, decisamente scontroso e spavaldo, ci sta che uno metta le mani avanti. Succede quindi che ogni giorno io riceva decine e decine di messaggi, tra i quattro e i cinquemila all’anno, legati a link o allegati. Con relative richieste. Non li leggo tutti, non ho tempo. Non ne ascolto la maggior parte, per i medesimi motivi. Mi affido al caso, ovviamente, e me ne dolgo, perché so di perdermi un sacco di cose belle, magari anche in anteprima, ma ho una vita sola, la mia, e non posso dedicare tutto il tempo a un lavoro che non è un lavoro, perché non è parte di quello che faccio per vivere, non vengo pagato per farlo. Tutta roba già detta, per altro, ma ripetere aiuta, anche se non è una ripetizione fine a se stessa, questa.

Ho una memoria del cazzo, anche di questo ho più volte parlato. Mi ricordo eventi o fatti del tutto irrilevanti, poi non ricordo date fondamentali, i nomi di persone che conosco di vista e che si aspettano, quando li incontro, che io li riconosca, non ricordo un sacco di cose. Fortunatamente (o sfortunatamente, dipende) mia moglie ricorda tutto, quindi quando si tratta di cose di famiglia mi appoggio su di lei, ma per le mie cose di lavoro è un disastro. So perfettamente chi cantava una determinata canzone minore degli anni Ottanta, per dire, ma magari mi scordo che Tizio ha appena duettato con Caio e che io ne ho scritto, roba imbarazzante. Ho pochi mega a disposizione nella testa, amo dire, nessuno dedicato alla memoria. E via risatelle sceme.

Giorni fa ho fatto un post su Bauli in Piazza. Non ne parlo quasi mai, di Bauli in Piazza. Perché non condivido buona parte della gestione di quell’operazione, ma non credo sia il caso di criticare chi, comunque, sta faticando a farsi sentire, sono ben altri quelli che si meritano le mie critiche. Quel che scrivevo, in un post, ripeto, neanche sulla mia pagina pubblica, ma su quelle private, è che ho poco gradito la presenza di alcuni Vip, leggi alla voce Big della canzone, che fino a ieri non hanno speso un minimo della loro visibilità per far sentire quella voce, non si sono spesi in alcun modo, ma erano lì, a beneficio di telecamera, mangiandosi l’evento.

Di quei Vip, infatti, parlavano i media che hanno ripreso la domanda, loro erano le facce nelle foto, loro i nomi citati nell’occhiello, come se quella fosse la loro battaglia. Punto. Non era un attacco a Bauli in Piazza, sia chiaro, e era chiaro. E non era manco un pezzo, ma un post dei tanti che scrivo giornalmente sui social.

Alcuni dei commenti, che sono parecchi, sono d’accordo con me, la maggioranza, alcuni, quasi sempre di addetti ai lavori, contro, ma sono una minoranza. Dico questo non per dire che io ho ragione, sia chiaro, è la mia bolla, spesso ricevo consensi che sono anche troppo benevoli nei miei confronti, lo so bene, commenti che vogliono dimostrare una stima che in alcuni casi magari è immeritata. È per dire che la faccenda procede su un sentiero tranquillo, nessuna polemica, stranamente. In altre occasioni sono stato inondato di merda, è noto, e quasi sempre a tanta merda hanno risposto anche i benevoli, difendendomi come non ci fosse un domani, ma non stavolta.

Poi arriva un tipo, il cui nome sul momento mi dice poco o niente. Anzi, mi dice proprio niente, ripeto, ho scarsa memoria. Scrive che sbaglio, e fin qui ci sta, anche se tendenzialmente chi arriva da me e mi dice che sbaglio dovrebbe di suo spiegare anche il motivo, perché se no si finisce subito al “pappappero” dell’asilo, e poi dice che pensa che io scrivo quelle cose perché non conosco la situazione, anzi, aggiunge, più probabilmente scrivo questi post per la mia voglia di essere quello perennemente contro le notizie del momento, roba fatta per nutrire il mio ego abnorme. Non dice queste parole, ho gli screenshot da parte, ma non ho voglia di riprenderli, non è rilevante. Stiamo per parlare di un bel disco, ripeto.

La discussione va avanti, con me che mi inalbero, perché credo che arrivare attaccandomi sia un errore, se si hanno tesi valide da sostenere, e che comunque per potersi permettere certe confidenze tocca aspettare che io le conceda, e non è questo il caso. Il tipo rincara la dose, al che inizio quello che è un po’ un giochetto che faccio in questi casi, mi diverto come il gatto col topo. Inizio a prenderlo un po’ per il culo per il suo italiano, conscio che prendere Roma per toma è sinonimo di difficoltà espressive, in un passaggio dice che quel che scrivo è frutto delle mie supposizioni, quindi non vero, al che gli spiego che dire che una supposizione equivale a una non verità è un errore formale, al che mi risponde che non sapeva che tutte le supposizioni fossero assolutamente vere, dimostrando, appunto, analfabetismo di ritorno, anche grave.

Mi incuriosisco, e vado a vedere chi questo tipo sia. Mi è chiaro che è un addetto ai lavori, ma ancora non associo il nome a nulla. Poi ricordo. E ricordo perché mi accorgo che il tipo è mio amico su entrambi i miei profili privati, e che ci siamo scritti, anni prima. Scopro quindi che è un musicista, che nel propormi un disco in cui ha suonato, un gran bel disco di una cantautrice, per altro, molto brava, la cantautrice, mi ha fatto una classica bella leccata di culo, in privato, anticipata da un’altra leccata di culo, così, senza secondi fini, riguardo a un mio articolo precedente, e proseguita con altri messaggi, tutti in tal direzione.

Capisco, leggendo i messaggi, che ci siamo anche conosciuti, a un concerto, ricordo perfettamente di chi, e anche in quel caso, vai di complimenti. Glielo faccio notare, perché trovo singolare che esista gente che, se deve proporti qualcosa ti lecca il culo, ma se poi vuole criticare un tuo pensiero parte alla stessa maniera sul personale, attaccandoti non nel merito di quel che hai scritto, ma provando a screditarti agli occhi degli altri commentatori. Lui non demorde, o forse non capisce bene, perché lo vedo poco lucido. La cosa buffa, molto buffa, è che proprio in quei giorni, quando è accaduto il fatto che vi sto raccontando, stavo ascoltando un bellissimo disco, di cui vi parlerò in seguito, dove suona il tipo.

Glielo dico, perché trovo la cosa singolare e trovo molto bizzarro che un turnista insulti gratis un critico musicale, non conoscendolo evidentemente bene di persona, a rischio che la cosa infici una eventuale recensione, non parlo per me, ma c’è gente che cassa dischi per molto meno. Lui fa la vittima, dice che lo sto minacciando. Specifico, avendo anche taggato il titolare del disco in questione, che ne sto scrivendo, quindi nessuna minaccia è stata fatta, ma a mo di consiglio tenderei a suggerire un comportamento diverso, altri miei colleghi lo avrebbero cestinato proprio per colpa sua. La cosa va avanti per un po’, finché mi rompo il cazzo e cancello la serie di commenti, deciso a scriverne poi.

La cosa buffa, molto buffa, buffissima, è che nel disco in questione, ripeto, disco molto bello e di cui parlerò a breve, bene, suona anche un altro musicista che mi ha pesantemente insultato sui social, il che mi spinge a dire o che l’artista in questione raccoglie intorno a sé solo miei haters, o che una congiuntura astrale ha fatto sì che io dovessi esercitare più che mai il mio senso etico, sfido io chiunque a non fare ironie a riguardo, quando sarà il momento. Il fatto che i due musicisti siano anche gemelli, beh, questo mi sembra un dettaglio davvero buffo.

Veniamo a noi.

Avrete capito che il tema del “mi hai provocato, mo te meno” mi fa simpatia. Al punto da averne fatto un lungo incipit, per altro con lieto fine, non ho menato nessuno.

Chi invece, in maniera plateale, a suo tempo ha provato a menare, metaforicamente, chi lo aveva menato, è noto, è Ultimo, che durante il Sanremo 2018, quello incredibilmente, stando ai pronostici, vinto da Mahmood, vide il poeta di San Basilio arrivare secondo, davanti ai ragazzi de Il Volo, ma soprattutto vide il medesimo poeta di San Basilio arrivare alla Sala Stampa dell’Ariston e mandare letteralmente a cagare i giornalisti, rei di avergli, sosteneva, portato sfiga col dire che lui era sin da subito destinato alla vittoria. Una cosa che ai tempi fece scandalo, rinforzata dal suo disertare, fatto inedito, la fotografia dei tre vincitori di Tv Sorrisi e Canzoni, quando il poeta si incazza si incazza.

Molti, tra gli astanti, gli stessi astanti, ricordiamolo, che poi vennero sputtanati per aver gioito alla sconfitta de Il Volo con balletti e ovazioni da stadio, quanta eleganza, signora mia, si offesero e dichiararono a gran voce che mai più avrebbero speso energie e inchiostro, anche questo metaforico, per parlare di Ultimo, salvo poi tornare proditoriamente sui propri passi, perché Ultimo infornerà altri singoli e una serie di concerti mica da ridere, per altro ottenendo una vittoria morale che nei fatti gli venne scippata anche grazie alla Sala Stampa.

È nota la mia disistima per la quasi totalità di chi la Sala Stampa frequenta per lavoro, e è altrettanto nota la mia precisa volontà di non votare, avendone diritto, in quanto ritengo che i giornalisti e critici musicali abbiano già il Premio della Critica, e soprattutto che nella buona maggioranza di musica capiscano meno di un cazzo, perché dovrebbero mai scegliere chi potrebbe vincere il Festival, perché si limitano a riportare notizie, se non addirittura gossip?

Venendo per di più da una città nella quale il rispetto toccava conquistarselo in strada, a muso duro, non dico San Basilio, ma abbiamo pur sempre un porto, e che diamine, all’epoca ha gioito per Ultimo, finalmente uno che non faceva il ruffiano per conquistare uno straccio di benevolenza.

Chiaramente sbagliavo, non perché avrebbe dovuto chinare il coppino di fronte ai miei sedicenti colleghi, figuriamoci, li avrebbe dovuti trattare anche peggio, ma perché quella che io ritenevo una difesa legittima si è poi dimostrata semplicemente parte di un atteggiamento arrogante più dettato dal “io so’ io voi nun siete un cazzo” che dalla volontà di salvaguardare la propria dignità.

A fronte di questo una serie di canzoni al limite dell’imbarazzante, rivolte a un pubblico di bambini e ragazzine, o di gente che comunque ha la bocca buona, un numero altissimo di persone, sia chiaro, ma come è noto se si è “dozzinali” è proprio con la massa che ci si confronta, mica con le elite.

Poi succede che Ultimo lancia un tour negli stadi per il 2019, una roba imponente, imponentissima.

Sei stadi, in partenza, che poi diventano undici. Anche lì, roba da signori. Tiri fuori una data a Pescara, che riempi anche con le zone limitrofe, io ho amici con figlie adolescenti che hanno comprato i biglietti, pena lo sfrangimento di coglioni da parte della prole, peccato che dopo poco salti fuori una data anche allo stadio di Ancona, altro sfrangimento di coglioni, altri biglietti. Va be’, fare i furbetti paga, e in questo Vivo Concerti insegna.

Poi arriva la pandemia e quei biglietti, acquistati in parte, in buona parte, da genitori allo stremo, diventano biglietti per il tour 2021, o voucher. Poi la pandemia va avanti, Ultimo tira fuori un paio di singoli, e lo dico per la cronaca, perché a sentirli sembrano sempre la stessa canzone, un mix tra Venditti e Ferro, lagnoso e piagnone, e i biglietti acquistati nel 2019 finisco al 2022. Mio cognato, per dire, ha acquistato i biglietti per il quattordicesimo compleanno di mia nipote, e rischia che mia nipote ci vada maggiorenne, o quasi. Ci sono miei amici che avevano i figli innamorati di quelle lagne e ora ascoltano solo Noyz Narcos, amen. Hai un pubblico di ragazzini e ragazzine, non ti viene di fargli un regalo? Eccolo. Un concerto in streaming dal Colosseo. Solo voce e piano, brividi a fior di pelle.

Un regalo per i fan?

Stocazzo, perché il concerto in streaming, su LiveNOW, è a pagamento, dieci euro, e chi ha i biglietti lì che scolorano nei cassetti, ha giusto il prezzo ridotto a cinque euro, alla faccia del regalo. Il concerto, per altro, è di dieci canzoni, quaranta minuti, non esattamente un concerto, a dirla tutta. VivoConcerti strepita al record di biglietti venduti, tutti festeggiano, evviva, la musica resiste.

Poi il concerto inizia, e una fetta consistente di pubblico resta fuori dai virtuali cancelli. Nel senso che riceve una mail che, a fronte dei soldi pagati, dice che ci sono problemi per le troppe connessioni, ma si proverà a risolvere il tutto a breve. Senza ovviamente riuscirci. A quel punto, sommersi di critiche sui social, arriva l’idea di mantenere il concerto visibile fino al 24 aprile, che è come dire “già vedi un concerto di quaranta minuti in streaming, invece che uno di quelli per cui hai pagato soldi sonanti due anni fa, un concerto che hai pagato, poco, ma hai pagato, e non te lo faccio manco vedere in diretta, perché non sono capace di organizzare uno streaming che si candidava a essere di massa”.

Tutto bellissimo. Una figura di merda acchiappata al volo da uno che non è che sia famosissimo per la propria eleganza.

Ora, mi chiedo, vedrai come gliela faranno pagare. Al punto che mi preparo quasi psicologicamente a difenderlo, l’ho fatto subito dopo il Festival, unico a prendere le sue parti, seppur per ragioni diverse da quel che si potesse immaginare, lì gioivo per quel suo aver mandato a cagare i miei colleghi.

Invece niente. Notizia riportata, certo, ma nessuno che abbia sottolineato come se ti vuoi prendere la libertà di mandare a cagare chiunque poi devi essere sempre all’altezza della situazione, è la legge della strada, se no ci resti schiacciato. La stessa legge della strada che ti ha portato a mandare a cagare i giornalisti, per capirsi. Della serie, se vai da uno grosso e lo minacci, o sei cattivissimo e molto bravo a menare le mani, o ti fai molto ma molto male, e fai anche una figura che ti indurrà poi a non uscire di casa, in strada funziona così.

Io credo, lo ripeto da tempo, lo ribadisco ora, che i biglietti per i concerti comprati nel 2019 andrebbero annullati, i soldi restituiti a chi li chiede, volendo anche con una sorta di regalo, un concerto in streaming, appunto, per aver sostenuto per due anni la filiera. Discorso che non vale solo per Ultimo, ma per Ultimo, che diciamo non ha un pubblico decennale alle spalle, fedele e pronto a sopportare chissà che sacrifici per lui, vale più che per altri. Così non è e non sarà. Che almeno si sottolinei che il presunto atto d’amore per il pubblico era una mossa commerciale, atta a fare ancora cassa sulla pelle dei fan, per di più venuta anche male. E adesso vienimi a dire in faccia che sono una merda, dai, ti aspetto.