Chi vuole che Philip Roth sia messo all’indice, ha forse letto davvero l’autore da cima a fondo?

Lo scrittore viene accusato, a mio parere ingiustamente, di sessismo, misoginia e predazione sessuale


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Non sparate sul soldato Roth.
Alla vigilia dell’uscita negli Stati Uniti di due biografie di Philip Roth, gigante indiscusso della letteratura americana, passato a miglior vita tre anni fa, c’è chi si prepara a farlo a pezzi post mortem. Una sorta di processo a Papa Formoso, con tanto di riesumazione e condanna, in nome della cancel culture e del politicamente corretto. Due mesi fa, infatti, due giornali britannici hanno annunciato che anche su Roth potrebbe calare la mannaia della “cultura del piagnisteo” (vedi il libro di Hughes), a causa dei dettagli svelati dai suoi biografi. Quali le accuse mosse a Philip?

Sessismo, misoginia, predazione sessuale e una rappresentazione dell’universo femminile, nei suoi romanzi , parziale e sessualmente distorta dalle personali ossessioni.

Ma va? Uno che ha raggiunto la notorietà grazie a Il lamento di Portnoy, sfogo in modalità clinica di un logorroico maniacale onanista, che fa assurgere la masturbazione alla sublimità dell’arte, e ne fa il simbolo di una vitalissima potente ribellione contro l’universo tradizionale della cultura ebraica familiare? O che parla disinvoltamente della sua irrefrenabile inclinazione verso l’adulterio?

Chi vuole che anche Roth sia messo all’indice, ha forse letto davvero l’autore da capo a fondo? Ne conosce i personaggi?  Scorda forse tanti ritratti femminili delineati con una tenerezza quasi botticelliana per la delicatezza del tratto. Come dimenticare la protagonista femminile della Macchia umana, Faunia, nella sua tormentosa sensualità, momentanea tregua a  un’ anima esulcerata da dolori troppo definitivi per essere elaborati altrimenti. Lei che si confida e parla e chiede comprensione a una gazza. Come non sentire lo scrittore schierato contro la violenza che tormenta e stronca la donna? Zuckerman, eterno alter ego dell’autore, sarà quello che ne denuncerà il doppio assassinio, quello del corpo, e quello dell’anima. Perché la piccola cittadina universitaria che l’ha proscritta in vita per la sua spregiudicatezza sessuale e la sua povertà culturale, non ha esitato, in nome di una pruderie terminologica a mettere al bando anche Coleman Silk, il preside di facoltà la cui impeccabile carriera è rovinata sotto gli strali di un galateo verbale ipocrita e violento. Violenza della Storia che si fa violenza culturale, violenza delle convenzioni anche linguistiche, volte a disciplinare il pensiero e in ultima analisi a dettare le regole dell’identità. Roth è maestro nel rappresentare personaggi che lottano contro i vincoli sociali, che vogliono essere semplicemente e totalmente se stessi, al di là di qualsiasi determinazione sessuale, razziale, o religiosa, e per questo devono scontrarsi con le consuetudini, le ipocrisie, le pressioni culturali, economiche e sociali.

Già linciato all’indomani della fine del suo secondo matrimonio con l’attrice Claire Bloom, e dalla pubblicazione di un libro-verità sul suo matrimonio (Leaving a Doll’s House) che lo ritrae come narcisista, egoista e manipolatore, cosa che- sempre ne fu convinto- gli costò il Nobel per la letteratura- il nostro rischia oggi di subire attacchi che non parcunt sepultis, come vorrebbe, se non la decenza, almeno la pietà religiosa. L’autore di Pastorale americana, la tragedia della paternità che crede di poter costruire e progettare un destino tutto rispettabilità e successo per la propria prole, all’insegna del sogno americano-, e anche qui la Storia ha la meglio- deve esser messo alla gogna perché l’agenda globale della cancel culture sta dettando le linee guida della suscettibilità? Una suscettibilità tutta verbale, e non sostanziale, perchè la violenza continua a manifestarsi e occorrere al di là delle parole, nella realtà.  La violenza è un fatto strutturale, non culturale. La cultura può perpetrarla, ma occorre eliminarne le premesse. Ossia, utopia, correggere la natura umana?

Personalmente adoro Roth, la sua capacità di analizzare la Storia nel suo concretarsi nei destini dei singoli, la sua capacità di introspezione e di scavo nelle psicologie umanissime dei suoi eroi, e, come diceva l’autore, non mi scandalizzo davanti a un libro che descrive anche il male, purchè sia scritto bene, e la moralità privata non è certo un metro per considerare la grandezza di un artista, altrimenti non avremmo Nabokov e Simenon. Né ciò che accade nei libri deve essere ascritto alle biografie degli autori, anche se qualcosa, un fondo di verità, vissuta o riflessa, c’è sempre. La scrittrice americana Sandra Newman ha affermato che i libri di Roth, considerati oggi, sono dalla parte sbagliata del #metoo. Potremmo rispondere a tanta demenza che considerata oggi quasi tutta la cultura avita sarebbe dalla parte sbagliata. Ma quel che non si vuole considerare è il contesto, la Storia, la sua evoluzione o involuzione che sia, visti i termini della querelle. Come ho già scritto in un pezzo precedente, il tentativo di questa nuova rivoluzione culturale è quello di azzerare le differenze, per sradicare identità e consapevolezza.