Filippo di Edimburgo saluta e se ne va: sfaccendato, viveur, dissoluto

Ci mancherà il Principe Filippo, ci lascia da profeta e rockstar, a un soffio dai 100 anni


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Narra la leggenda che negli anni ’70 Keith Richards si divertiva a disegnare l’uccello con le palle sui ritratti della Regina che trovava nelle camere d’albergo; e, quando nel 2001 Mick Jagger accettò la nomina a Baronetto, lui finì su tutte le furie: “Sai dove te lo devi ficcare il Baronetto. Quelli sono nostri nemici, lo sono sempre stati. E a farmi battere la spalla con la spada da quel cazzo con le orecchie [il principe Carlo], non ci vado”. Ma il vecchio pirata si sbagliava, almeno in parte: in quella curiosa, anacronistica, pletorica istituzione che è la Corona, c’era almeno uno più simile alle rockstar che agli imbalsamati abitanti della Real Casa. Filippo di Edimburgo saluta e se ne va: sfaccendato, viveur, dissoluto: praticamente il Conte Mascetti di Buckingham Palace: come non innamorarsene?
Lo chiamavano gaffeur, ma sapeva quel che diceva e quel che diceva era un campionario dell’humor britannico più puro, incontaminato e carogna; del tutto coerente col comportamento, più degno di un Andy Capp che di un Principe Consorte. Le cronache, poi, nel caso di certo lignaggio, edulcorano, minimizzano per forza: riferiscono della sua propensione a tradire l’augusta moglie “appena dopo le nozze”, ma figuriamoci se non l’aveva fatto abbondantemente prima, posto che si conoscevano, ed erano destinati, fin da bambini. Di sicuro non ha più smesso fino al limite di resistenza umana; un infarto per eccesso di Viagra intorno al 2001, già ottantenne, non lo ferma e, sempre per cavalcare la cavallina all’eccesso, uno stent dieci anni dopo: lui, tutto contento, quando gli sostituiscono una pompa cardiaca, commenta: “Arrivano i ricambi!”.
“Un vagabondo, ma di gran classe”, proprio per citare Keith. Lo chiamano a Roma in visita ufficiale e lui sparisce, era a giocare a polo in un circolo esclusivo. Impegni e commemorazioni ovunque, inutili quanto solenni – a fine carriera, nel 2017, ne conterà 22.219, più 637 visite ufficiali per il mondo, 5.500 discorsi e circa 800 organizzazioni rappresentate: “Dichiaro aperta questa cosa, qualunque cosa sia!”. In Scozia, a un istruttore di guida: “Come fa a non far sbronzare i suoi connazionali almeno per l’esame?”. In Kenia, incontrando una cittadina: “Lei è una donna, giusto?”. In Australia, con un imprenditore aborigeno: “Vi tirate ancora le lance?”. A un reporter inglese tornato dalla Papua Nuova Guinea: “Ce l’hai fatta a non farti mangiare, eh?”. A un altro imprenditore nero: “Da quale parte esotica del mondo esce fuori lei?”. Con tatto tutto nobiliare accoglie il presidente della Nigeria in visita ufficiale che si presenta in abiti tradizionali: “Ma ti sei messo il pigiama?”. A degli operai inglesi da lungo tempo in Giappone: “Come mai non vi sono ancora venuti gli occhi a mandorla?”. Uomo cosmopolita, sovrano del mondo e nel mondo, Filippo ha una buona parola per ogni popolo: “Se non è un sommergibile, i cinesi lo mangeranno di sicuro”. Nella “nativa” Edimburgo adocchia una scatola di fusibili dalle non esaltanti condizioni: “Sembra fatta da un pellerossa”. Quando gli fanno notare che i nativi americani, se la sono presa, prontissimo si corregge: “Volevo dire un cow boy”. In Scozia dà sempre il meglio di sé, a un istituto femminile: “Cucinate da far schifo”.
Un lucido folle, gli occhi saettanti malizia sotto la tuba, stretto nel tight ufficiale che indossava con impeccabile sarcasmo, proprio come farebbe una rockstar. Va al concerto di Elton John e lo sentono bofonchiare: “Il mio regno per spegnere quel microfono!”. Sempre con sir Elton: “Ma allora è tua quella macchina orribile che trovo sempre a Windsor!”. Uomo di cultura, sa apprezzare le arti e i talenti; trova che l’arte etiope “sembra fatta da mia figlia alle elementari”. Quanto al Cinema, gli presentano Cate Blanchett, la star di Hollywood, e ne rimane molto impressionato: “Visto che fai film, mi aggiusti il lettore dvd?”. È anche un degustatore dal palato raffinato come si conviene. L’ambasciatore irlandese gli porta un cesto regalo, lui lo fruga e poi si spazientisce: “E dove diavolo è il whishy?”. Cena ufficiale in Italia, il premier Giuliano Amato gli mostra una collezione di vini italiani pregiati e lui: “Dammi una birra, una qualsiasi ma una birra”.
Ultranovantenne osservando la schiena nuda della radiosa Hannah Jackson: “Se tiro giù quella zip, mi arrestano”. Filippo è sempre stato una girandola impazzita e imprevedibile, se incontra una guardia che, al suo cospetto, s’impala, rigido come da protocollo, lui gli mormora qualcosa di irripetibile che infrange l’etichetta in una risata irrefrenabile. Non da Principe a gendarme, ma tipo due che sparano cazzate sconce al pub. Va in visita alle isole Cayman e finge interesse: “Siete tutti discendenti di pirati, qui?”. Riceve a Palazzo un ragazzino tredicenne che vuol far l’astronauta e lo smonta: “Naah, sei troppo grasso per andare nello spazio”.
Il Principe di Edimburgo non sapeva far niente, ma indossava la regalità come nessuno, non era un gaffeur ma uno “che se ne frega di tutto sì”. Accoglie, in una serata di gala per le Indie Britanniche, un imprenditore indiano, Atul Patel, e lo saluta: “Lei si è portato buona parte della sua famiglia a cena, vedo”. Entusiasta del nuovo scooter per disabili guidato da un certo David Miller: “Quanti ne hai investiti con quel coso stamattina?”. A un gruppo di ragazzi non udenti, sistemati nei pressi di un assordante concerto di percussionisti: “Ora capisco perché siete diventati sordi”.
Filippo è noto per la squisita sensibilità umanitaria. All’ospedale di Luton si ferma democraticamente a conversare con una infermiera filippina: “Avete svuotato il vostro Paese, siete venuti tutti qua a lavorare per il servizio sanitario nazionale britannico”. E, quanto alla figlia Anna, che ha appena scampato un rapimento: “Chi voleva prenderla non sa quanto è stato fortunato”. Sempre su Anna, sulla sua smodata passione per i cavalli, rincara: “Se non mangia fieno e non scoreggia, non le interessa”, e qui siamo già in zona Rod Stewart. Il Principe di certo avrebbe approvato la descrizione di “cazzo con le orecchie” per l’altro figlio, e probabilmente in cuor suo la pensava. Ecco perché era uno “di loro”, non della sua family, sui cui variopinti personaggi aveva sempre una parola buona: gli mostrano alcuni bozzetti della duchessa di York, Sarah Ferguson, che non sopporta: “Sembra la casa di una zoccolona”. Ma ne ha pure per i plebei: gli presentano un tycoon britannico, proprietario di una rete televisiva: “Ah, dunque è lei il responsabile di tutte le vaccate che trasmette quel canale!”. Sempre come un chitarrista, sbotta davanti a un fotografo che la tira in lungo: “Ma vuoi fare quella fottuta foto o no?”.
Intorno al ’77 i Sex Pistols cantavano “God save the Queen, she ain’t a human being”, e c’è da credere che anche su questo il marito la pensasse più o meno allo stesso modo. Di sicuro, i ragazzini se la presero con Elisabetta ma Filippo, punk in cilindro, lo lasciarono perdere: sapevano che li avrebbe ammazzati solo con una battuta, era molto più estremo di loro. Tipo quando incontra alcuni giovani in Bangladesh: “Ok ragazzi, tirate fuori la droga!”. Filippo non è per niente impressionato dal rango delle rockstar, si sente una di loro e anche di più, Tom Jones lo sistema così: “Canti come se facessi i gargarismi coi ciottoli”. Altro che gaffe, queste sono scintille di eternità. Imperdibili al punto che ci sono raccolte di tutte le sue folgoranti uscite, mascherate da gaffe: confidiamo in una enciclopedica edizione definitiva.
Cos’è il genio? E’ fantasia, intuizione e rapidità di esecuzione e, quanto a questo, il Real Vecchiaccio non era secondo a nessuno. Quanto ci mancherà in questi tempi foschi di noiosissimo politicamente corretto, di cat calling ed altre cazzate: “Quando un uomo apre la portiera alla moglie, o è nuova la macchina, o è nuova la moglie”. Cos’è il genio?
Consumato da se stesso, dai suoi vizi radiosi, dalla sua fannullaggine indaffarata, il Principe Filippo se ne va a un soffio dai 100 anni: che sfiga, bastava tirare ancora una novantina di giorni. Eterno, fuori dal tempo, preconizza perfino gli ambientalisti radicali, Greta Thunberg, la decrescita felice e la tragica emergenza che ci strangola: “Se dovessi reincarnarmi vorrei essere un virus letale per eliminare la sovrappopolazione, la crescita umana è la più grave minaccia per il pianeta”. Se ne va da profeta e rockstar, lasciando bruciante rimpianto. Volendo, aveva ancora tanto da dare.