Cosa resterà della musica dal vivo dopo il Covid?

Prendiamo questo tempo di stallo da pandemia per provare a capire come salvare il salvabile, e proviamo anche a capire cosa di nuovo si può trarre da questa apocalisse


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Alla fine le notizie sono arrivate.

Quelle che non avremmo voluto arrivassero, dovrei dire, da prassi. O che magari non avreste voluto voi, poi spiego meglio.

Quelle che tutti sapevamo sarebbero arrivate, al punto che forse neanche sono vere e proprie notizie, niente che sorprenda, faccia dire wow, ma neanche faccia soffermare un attimo chi la legge, come a dire, questo non me lo sarei aspettato. I grandi eventi di questa estate stanno iniziando a saltare, come appunto era ineluttabile. Hanno iniziato da tempo, da parecchi mesi, gli eventi che prevedevano la presenza di artisti internazionali. Stanno ora arrivando i carichi da novanta italiani, e ha iniziato ovviamente Vasco, che di questi carichi da novanta è il più “carico” di tutti.

Era prevedibile, era inevitabile, era scontato.

Io, che come sapete a Vasco sono legato, anche professionalmente, inserito di ufficio a gruppi e pagine social dei suoi fan, leggevo i commenti e i post speranzosi dei suoi fan e in qualche modo provavo quasi un senso di tenerezza. Giusto un fan poteva immaginare le cose andassero diversamente, pensavo. Poi, chiaro, leggevo le uscite ridicole e anche vagamente offensive del Ministro Franceschini, quello che a qualche ora dall’annuncio del nuovo lock down dichiarava che dal 27 marzo si sarebbero riaperti teatri e cinema, salvo poi aggiungere, sottovoce, solo nelle zone gialle, zone gialle che, stando all’ultimo DPCM, per altro, sono da escludersi a prescindere dai dati fino al primo maggio, della serie: ce stai a pija per culo, e per qualche istante dubitavo: vuoi vedere che le cose andranno diversamente? Il tempo di arrivare al punto di domanda che scrollavo le spalle e ritornavo sui miei passi, solo un folle poteva pensare le cose andassero diversamente. Per dirla con un Cocciante d’epoca, era già tutto previsto.

Di fatto, Vasco ha annunciato la riprogrammazione del tour 2021, quello previsto all’interno dei Festival, che poi sarebbe dovuto essere il tour del 2020. E a questo punto c’è da immaginare sia previsto per il 2022, se non per il 2023. Personalmente, non che avessi chissà che insider, ero consapevole che le cose sarebbero andate così, e che evidentemente andranno così anche per gli altri grandi eventi, Ultimo, Cremonini, Tiziano Ferro, Ligabue, ma anche Max Pezzali, Salmo, e tutti i concerti previsti negli stadi e nelle grandi arene e spazi all’aperto, anche quello femminile, Una. Nessuna. Centomila. Non fosse altro perché altrimenti i vari gruppi sarebbero al lavoro, e la cosa si sarebbe ovviamente saputa, almeno tra addetti ai lavori, e così non è, e poi perché sarebbe dovuta arrivare per tempo, settimane, mesi fa, un via libera dal governo, che invece ha taciuto, motivo che ha indotto i promoter a tergiversare prima di dichiarare l’inevitabile.

Ci si vede più avanti, poi capiremo quando.

La notizia del rinvio del tour di Vasco, infatti, parla di una data, il 15 aprile, per capire quando il tutto vedrà la luce e, in caso, come sarà possibile ottenere il rimborso. Questa del rimborso, o dei biglietti spostati a altra data, o dei voucher, è un nodo sensibile, anche se nel caso dei tour di Vasco direi neanche troppo, i fan del rocker di Zocca sono fidelizzatissimi, e più che sconcerto per aver comprato nel 2019 qualcosa che con buona probabilità vedranno tre, forse quattro anni dopo, c’è la tristezza di non potersi ritrovare a cantare in coro le canzoni di Vasco chissà per quanto altro ancora. Diverso è, immagino, per Ultimo, artista dalla carriera assai poco lunga, che ha anche un pubblico più casuale e giovane, mia nipote Emma per dire. E che a mia nipote Emma, cui mio cognato, suo padre, ha regalato i biglietti quando lei aveva quattordici anni, interesserà ancora Ultimo quando di anni ne avrà diciassette, forse diciotto, è tutto da vedere, anzi, è tutto molto improbabile. Idem per personaggi come Salmo, per dire, arrivati a San Siro sull’onda di un successo montante, costruito negli anni e mesi precedenti alla messa in vendita dei biglietti, e al momento in stand-by, Salmo ha dichiarato chiaramente di non aver nessuna intenzione di tirare fuori un altro album in questa situazione pandemica.

Ecco, questo è un nodo che andrebbe preso in considerazione, non solo dagli addetti ai lavori, che già lo fanno costantemente, ma più dalle istituzioni, penso sempre e ovviamente a Franceschini, a meno che non la si vedi come quel bollito e tristissimamente invecchiato di Michele Serra, che ritiene che sotto pandemia chi sta bene è normale che guardi e non si preoccupi, gli altri dovrebbero serenamente attaccarsi al cazzo.

Cosa sta succedendo al sistema musica? Alla filiera?

Da una parte c’è Vincenzo Spera, presidente di AssoMusica, che parlando del mondo della musica dichiara a gran voce che la filiera ha perso il 97% del mercato. Dall’altra c’è la FIMI, cioè la rappresentanza della discografia, che afferma che durante il Covid il mercato discografico è miracolosamente cresciuto, un 8% in più rispetto al 2019. Della serie, tutti affermano a gran voce che il mondo della musica si regge da tempo immemore sui live, che in fondo sono la reale forma di sostentamento per artisti e maestranze, ma per contro chi sta svendendo l’arte alle piattaforme di streaming gongola, perché le entrate salgono. Già di per sé sarebbe una scenetta imbarazzante. Se non fosse anche surreale, oltre che imbarazzante. Perché nel mezzo c’è la realtà, quella evidente. Il mondo della musica è in grossa crisi, grossissima crisi.

Gli artisti, spiace doverlo sussurrare alle orecchie dei tipi della FIMI e della discografia, ma senza artisti temo che di discografia si potrebbe anche smettere di parlare adesso, e chiaramente stiamo dando alla parola artisti un senso lato, da contratto discografico, ma ci siamo capiti, gli artisti sono terrorizzati da quel che gli si paventa di fronte, consci, loro, che è dai live che traggono sostentamento, non certo dalle noccioline che potrebbero arrivare loro da milioni di stream o di views, perché noccioline sono, è sotto gli occhi di tutti. Al punto che, questo pure è un aspetto del problema che mi sembra nessuno nelle istituzioni stia prendendo sul serio, stanno semplicemente fermi, in attesa di tempi migliori, causando un blocco del sistema che non potrà che portare alla catastrofe.

Vediamo come la faccenda funzionava prima, e vediamo come è messa ora.

Prima il cantante X, di medio successo, tirava fuori un singolo, che avrebbe anticipato l’uscita di un album diciamo di lì a un mese. Nel farlo annunciava che, con l’uscita dell’album, sarebbe stato annunciato anche il tour per l’anno successivo. I biglietti sarebbero stati quindi messi in vendita con l’uscita dell’album, forte della spinta promozionale che singolo e album, e conseguenti passaggi in radio, sui social, ognuno avrebbe gestito la cosa in maniera personalizzata, avrebbe comportato.

Quindi i promoter, quelli che organizzano i tour, che li producono, avrebbero fatto cassa con un anno di anticipo sugli eventi, certo pagando anticipo a fondo perduto all’artista, ma comunque andando in qualche modo a creare una partita di giro di cui si è già scritto abbondantemente in passato, e se dico “si è già scritto” intendo in realtà “ho già scritto”, perché in tempi di pace ai miei colleghi di tutto questo fregava poco e niente, a loro bastava essere invitati alla prima del tour, seduti in tribuna stampa, il buffet prima dell’evento, il selfie con l’artista, se il concerto era fuori sede anche una bella macchina a prenderli e riportarli a casa, figuriamoci ora, che manco si possono fare buffet e selfie, i promoter incassavano le prevendite un anno prima degli eventi, e nel mentre sostenevano la macchina andando avanti coi tour i cui biglietti erano stati venduti un anno prima.

Agli artisti andava un bell’assegno come anticipo non restituibile, che spesso, almeno nel caso degli artisti medi, quelli che generavano i famosissimi “finti sold out”, non avrebbero mai maturato, ma lì scattavano le sponsorizzazioni, i finti sold out poi venduti alle tv come sold out, e vai di prima serata, son soldi anche quelli, poco conta che di spettatori davanti agli schermi ce ne sarebbero stati pochini, è una partita di giro, bellezza.

Mentre il tour poi finalmente sarebbe andato in scena ci sarebbe stato qualche altro artista in prevendita, un singolo e un album in uscita, stando ben attenti a non intasare il mercato, e non sovrapporsi a artisti competitor, con un pubblico simile se non identico. Il discorso, ovviamente, vale anche per i BIG, quelli veri, quelli da stadi.

A parte Vasco, che è in tour perenne, da anni, un giro di stadi a ogni estate, tutti gli altri si alternano, da copione, facendo in modo tale da non pestarsi i piedi. Un anno Tizio, un anno Caio, e via andare. Idem coi dischi, ovviamente, che come abbiamo visto di questo giochino sono l’innesco.

Solo che il 2019 a questo punto diventa una sorta di “ultima volta”. Escono dischi, si prevendono biglietti, nel mentre le discografiche e i promoter ragionano verso il 2021, su chi cioè dovrà uscire con singoli e dischi nel 2020, per andare in tour nel 2021, prevendendo i biglietti nel 2020, i promoter ragionano anche già su cosa vendere alle tv, su come far fruttare il maiale nella sua interezza. Poi arriva la pandemia, e tutto va a puttane.

Non escono dischi, non si mettono biglietti in prevendita, non si fanno i tour dei biglietti venduti l’anno prima. Tutto si ferma. Si salta un giro.

Nel 2020 si crea un buco nella partita di giro. Son cazzi, ma di quello si dovranno occupare loro, non è affar nostro.

Arriva il 2021, e la situazione non cambia. Certo, qualcuno, cautamente, prova a guardare avanti, escono sporadicamente opere di artisti che hanno un pubblico fidelizzato, penso ai Negramaro, e non potendo guardare agli stadi, mica sono fessi, si parla di tour indoor per l’autunno 2020, con sano ottimismo. Disco fuori, prevendita lanciata mesi dopo, poi anche un evento vero in streaming, pensato per lo streaming, quindi diverso da un live normale, con caratteristiche cucite sul fatto che andava in streaming, un po’ come è avvenuto per popstar e rockstar internazionali.

Per il resto è tutto fermo.

Nessuno azzarda mega tour negli stadi per il 2022, e di conseguenza nessuno che a quei tour avrebbe normalmente pensato sforna un lavoro di supporto alla prevendita di biglietti. Sarebbe come, per dirla come mi ha detto un addetto ai lavori, perle ai porci. Ora, a prescindere dall’idea che si possa avere o meno del pubblico pagante, direi che da un punto di vista concettuale è evidente che se si fanno dischi non per arte ma per fare da cassa di risonanza alla prevendita di biglietti di un tour, è quella la vera cassa, non si può che ragionare così. Solo che, a questo punto, di anni ne stanno saltando due, di netto. Il 2020 e anche il 2021. Niente dischi nuovi. Niente tour per gli anni a venire, con conseguente prevendita. Deo grazia se si riusciranno a recuperare quelli passati.

Già fa sorridere che nel mondo dei live si stia creando il paradosso di biglietti venduti con anni di anticipo ma col sovrapprezzo, come se prenotarsi per tempo non solo non comportasse vantaggi, ma venisse vesti come qualcosa da far pagare letteralmente caro. Resta che almeno la speranza che quelli si possano recuperare resta, per il resto tutto tace e nulla si organizza. Non a caso iniziano a piovere con una certa frequenza show televisivi che vedono coinvolti artisti, specie quelli soliti di un determinato promoter, sempre lui, perché almeno da qualche parte i soldini, molti meno del solito, arrivano.

Qualcuno, saggiamente, pensa a come far diventare questa situazione fertile anche artisticamente, non so esattamente in che modo, ma so che Claudio Baglioni, che aveva diverse date in previsione alle Terme di Caracalla, sta preparando uno show in streaming a teatro pensato proprio per un teatro vuoto, quindi con tutte le parti della struttura, dalla platea a ovviamente il palco, utilizzate, che era poi la cosa più ovvia da fare anche per Amadeus a Sanremo, ma vaglielo a spiegare ai duemila autori che aveva a disposizione, meglio i palloncini colorati da far sedere sulle poltroncine rosse, quelle sì sono idee che vanno pagate un tot al chilo.

Del resto è ovvio che agli artisti conviene farsi venire idee buone, perché di assegni generosi non restituibili ne vedranno sempre meno, sempre che ne vedranno più, la faccenda è cambiata e è cambiata in peggio, tutti ne devono prendere atto. Manco a dirlo le maestranze lo hanno capito da un pezzo, loro non sono neanche figli di un Dio minore, non sono proprio figli. Per il resto la morte nera.

Escono alcune date, penso ai Maneskin, e vanno bene, perché il pubblico di riferimento è giovane, e l’esposizione ottima, ma per il resto tutto tace, e ci mancherebbe pure altro. Chi andrebbe a prendersi il rischio di regalare soldi a un promoter quando ancora ci sono biglietti che poltriscono dentro i cassetti, e non è neanche così scontato che li si potrà sfruttare di qui a qualche mese? Certo, il discorso potrebbe essere valido anche per i viaggi, i vuocher delle compagnie aeree, quelli di Airbnb, ma sul fronte viaggi, si ipotizza, almeno in Italia qualcosa avverrà anche questa estate, la voglia di star fuori casa è troppa, e difficilmente sarà contenibile e contenuta, come del resto l’anno scorso.

Quello che però manca a fare un quadro completo di questo discorso è altro. Ok, la discografia canta inspiegabilmente vittoria, si fa per dire, i promoter piangono la città in fiamme. Gli artisti se la prendono in culo, ma sempre meno di chi per loro lavorerebbe, abbandonato sin da subito al proprio destino, hai voglia a protestare in piazza, coi Bauli.

Ma il pubblico?

Siamo sicurissimi che, ripartendo in qualche modo, il pubblico si riverserà in posti dove le distanze sono ovviamente “non previste”? Parlo di stadi e palasport non di teatri, la chiusura dei teatri è una cosa che grida vendetta sin da subito, perché ai teatri il distanziamento era possibile, è stato dimostrato, ma forse era una fetta troppo piccola di quel mercato per essere tutelata. Siamo sicuri che la gente, parlo di massa, non di fan fidelizzati e entusiasti, sia pronta a tornare a cantare in coro, con mascherina? Lo farebbe anche con quei cantanti che azzeccano una hit, magari un album, ma del quale uno qualsiasi faticherebbe a definirsi fan? Pagherebbe oggi qualcuno una cifra neanche troppo bassa sperando di andare magari tra un anno, magari due o tre, e vedere Tizio solo perché oggi una sua canzone gira in radio?

Mah.

Faccio un ulteriore passo indietro.

Giorni fa è circolata incessantemente la notizia di un concerto tenuto in Spagna con cinquemila spettatori, tutti tamponati e con un certificato alla mano. Nei fatti non era un concerto, va detto, ma un esperimento, ci hanno detto sottovoce, perché a volte serve vendere anche solo la speranza, al punto che nessuno si è neanche premurato di farci sapere di un concerto di chi si trattasse, come se fosse aspetto irrilevante, e forse in effetti lo era. Per la cronaca, si tratta della band catalana dei Love of Lesbian. Cinquemila persone, tutte con certificato alla mano, tamponate. Solo sei positivi, rimandati a casa e col biglietto rimborsato. Ripartire si può, questo il claim di quell’evento, sbandierato da noi, se dico che è circolata molto a notizia lo dico con riferimento alla mia bolla social, di appassionati di musica e di addetti ai lavori.

Ora, a prescindere che l’esperimento è sempre da apprezzare, ma i fatti dicono che è una situazione impensabile, i costi dei tamponi ha praticamente azzerato l’incasso, e pensarlo su situazioni più grandi allungherebbe di talmente tanto i tempi da rendere il tutto ingestibile, ma prendiamo per buona l’idea che almeno in questi contesti sia possibile, cinquemila persone, in un palasport, tamponati e con mascherine tutte il tempo. Voi ci andreste? Paghereste, cioè, un biglietto una cinquantina di euro in più per stare fianco a fianco con sconosciuti e con le mascherine tutto il tempo, senza possibilità di consumare da mangiare e di bere, ovviamente la cosa è proibita, ci mancherebbe pure altro (in Spagna no, bar e bagni erano aperti, ma ben sappiamo come questa sia nei fatti la zona più a rischio, nelle varie ipotesi prese al vaglio per l’Italia ho sempre sentito parlare di bar e bagni interdetti all’uso)?

Siete cioè fermamente convinti che questi test, i test rapidi antigenici, siano efficaci al 100%, e vi sentireste di correre il rischio? Pensate che gli artisti e le maestranze correrebbero serenamente il medesimo rischio? Forse vivo male io questa condizione. Probabile. Non lo escludo.

Un anno e passa di isolamento non ha certo agevolato un mio spostarmi da una sorta di eremitaggio cui mi ero ficcato di mia spontanea volontà, certo con una buona vita sociale, ma meno di chiunque altro operi nel mio settore, Mina esclusa, verso una mondanità sfrenata, la voglia di strofinarmi con estranei cantando in coro.

Ma nei fatti, così, a occhio, io aspetterei che la situazione migliori prima di rigettarmi nella calca. E non è neanche detto che, una volta che tutto questo sia passato, io abbia questa grande voglia di farlo, il divano di casa è comodo, lo sto testando a dovere da oltre un anno.

Per dire, leggo un po’ ovunque studi che affermano che la pandemia sposterà in maniera irreversibile le aziende, almeno quelle grandi, specie le multinazionali, a una forma di lavoro da casa che preveda giusto qualche giorno ogni tanto da passare in ufficio. Non passa giorno che non si legge di qualche azienda che ha dismesso la propria sede, per andare in situazioni più piccole. Certo, è da prevedere una formalizzazione di quello che viene impropriamente chiamato smart working, è evidente, ma è altrettanto evidente che questo sia un punto di non ritorno, troppi i vantaggi evidenziati, rispetto agli svantaggi, e soprattutto, quel che il Covid ci ha insegnato, sulle nostre pelli, è che non è poi così improbabile che quel che stiamo vivendo diventi per certi versi endemico, come dire, e senza voler portare sfiga, dopo il Covid ci sarà altro, meglio stare pronti e comportarsi di conseguenza. Perché partiamo dal presupposto che per la musica dal vivo la faccenda proceda su altri binari?

Certo, l’estate scorsa ci ha dimostrato come la voglia di socialità sia tanta, le spiagge affollate, i ristoranti presi d’assalto, fottendosene delle regole, le famose discoteche e via discorrendo, ma nel mentre è passato un altro anno, e comunque ogni volta che si sono viste, e si sono viste, eccome, scene di assembramenti idioti, penso alle notizie relative all’odioso termine “movida”, chi ha alzato i gridi di indignazione è sempre stato in numero assai maggiore di chi invece rivendicava un sano diritto allo svago.

Non voglio dire che se tutto si dovesse risolvere, e spero proprio ciò avvenga a breve, che i famosi vaccini arrivino e arrivino per tutti, e che si dimostrino efficaci sul lungo periodo, ce lo meritiamo tutti di tornare a campare, non sia giusto riprendere il discorso esattamente dal punto in cui lo avevamo lasciato, quel che mi chiedo, e lo chiedo anche qui a voce alta, è se sia presumibile che il punto da cui ripartire preveda anche situazioni oggettivamente non controllabili, o se non sia invece da ragionare su altro.

Nel mentre, ma questa è altra faccenda, meno poetica ma altrettanto dolorosa, credo che il governo dovrebbe prendere in seria considerazione tutta la filiera, non far finta di riaprire tutto per lasciare poi tutti a culo scoperto, “ma come, i teatri sono stati riaperti il 27 marzo, che problemi avete?”.

Se ora chiudessi questo mio scritto dicendo che no, non andrà tutto bene, che no, non ne usciremo migliori, che no, non ce la faremo, passerei dal ruolo di cinico e disincantato a quello di stronzo, lo so bene. E non voglio passare per quel che non sono. Sono semmai uno che prova a guardare ai fatti senza le lenti rosa del facile entusiasmo, e detto da uno che ha le immagini del profilo sui social proprio con indosso un paio di occhialoni rosa fa anche ridere. Sono, in altre parole, uno che prova a dire, per l’ennesima volta, che il re è nudo, e che fingere che non sia così non porterà nulla di buono. Prendiamo questo tempo di stallo per provare a capire come salvare il salvabile, e proviamo anche a capire cosa di nuovo si può trarre da questa apocalisse. Un mondo senza musica è davvero triste da ipotizzare, ma anche un mondo senza mondo non è che faccia proprio morire dal ridere.