Inception, il cinema come “fabbrica dei sogni” di Christopher Nolan

DiCaprio è una spia che entra nei sogni per rubare segreti. Una storia alla James Bond diventa un labirinto di livelli onirici uno dentro l’altro, architetture visionarie, linee temporali irregolari. Il cinema-rompicapo di Nolan in purezza. Alle 21 sul canale "20"

Inception

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Dopo aver assistito al rompicapo temporale e narrativo del suo ultimo Tenet, nel rivedere Inception di Christopher Nolan si ha la sensazione di trovarsi di fronte a un racconto quasi lineare. Mentre invece all’uscita, nel 2010, il film impressionò e disorientò il pubblico per la complicata architettura stratificata di livelli onirici uno dentro l’altro (in cui risuona la suggestione dei versi di Edgar Allan Poe: “Tutto quello che vediamo, quel che sembriamo non è che un sogno dentro un sogno”).

Al netto della sfida portata allo spettatore di una complessità interpretativa sempre crescente, Tenet e Inception condividono le predilezioni tematiche del suo autore. Il quale, sin dalla rivelazione folgorante di Memento ha sempre puntato alla costruzione di universi narrativi lambiccati e disorientanti, che negano alla radice la linearità cronologica e fanno esplodere il racconto in una composizione apparentemente caotica di sequenze nelle quali non è immediatamente percepibile il prima e il dopo e talvolta anche il dove le cose accadano.

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Inception
  • Attributi: DVD, Azione / Avventura
  • Di Caprio,Watanabe (Actor)

Nolan nei suoi film motiva la rottura della normale continuità degli avvenimenti o attraverso espedienti che chiamano in causa il funzionamento del cervello (come in Memento, in cui è un disturbo della memoria a causare al protagonista una percezione disorganica dei fatti), o ricorrendo alla teoria fisica (i viaggi attraverso i cunicoli spazio-temporali di Kip Thorne per Interstellar, il secondo principio della termodinamica per l’universo palindromo di Tenet). Ne risultano sempre dei film-enigma di straordinario fascino visivo, che sottopongono lo spettatore alla sollecitazione di un’apparente insensatezza, in cui però Nolan, disseminandole opportunamente lungo il racconto, fornisce le tracce indispensabili per consentire di riordinare la vicenda e ancorarla a una logica non immediatamente percepibile, eppure esistente.

Lo scenario in cui si svolge la vicenda di Inception è quello sfuggente per eccellenza del sogno. Cobb (Leonardo DiCaprio) è una spia che entra nei sogni delle persone per estrarne segreti. Il ricchissimo Mr. Saito (Ken Watanabe) fa però una richiesta differente: innestare un pensiero nella mente di Fischer (Cillian Murphy), rampollo del suo rivale in affari, per spingerlo, alla morte del padre, a distruggere il suo impero economico. Cobb accetta perché Saito è in grado di esaudire il suo più grande desiderio: tornare negli Stati Uniti per riabbracciare i figli, cosa che gli è impedita per certe accuse legate alla morte della moglie Mal (Marion Cotillard). La cui presenza, legata al terribile senso di colpa, popola il mondo onirico di Cobb, rischiando di interferire con le sue missioni.

L’inserimento dell’idea nella mente di Fischer è un processo che, per riuscire, ha bisogno della creazione di una stratificazione di sogni dentro altri sogni. Un’impresa per la quale è necessaria una squadra che comprende il braccio destro Arthur (Joseph Gordon-Leavitt), Arianna (Ellen, ora Elliot, Page), l’architetto che costruisce l’ambiente visivo dei sogni, il falsario Eames (Tom Hardy), in grado di impersonare qualunque personaggio, il chimico Yusuf (Dileep Rao), che induce lo stato di narcosi necessario per produrre il sogno collettivo che tutti devono abitare.

DiCaprio e Nolan sul set di Inception

Christopher Nolan dà vita a un complicatissimo meccanismo (pare abbia impiegato dieci anni per scrivere la sceneggiatura) che ha l’andamento di una spy story alla James Bond, in cui però i continui cambi di scenario non corrispondono al classico salto da una metropoli all’altra dei film di 007, bensì al passaggio da un sogno all’altro. Così lo spettatore, a ogni nuova scena, è obbligato continuamente a chiedersi se si tratti della realtà o invece di uno tra i numerosi livelli onirici in cui è articolato l’inganno messo in piedi ai danni di Fischer.

L’ambiguità strutturale del dispositivo narrativo di Inception è alimentata dall’incredibile fantasmagoria visiva di Nolan, che costruisce ambienti paradossali che paiono sbucati fuori da un quadro di Escher, tra oggetti impossibili come la scala di Penrose, interi quartieri metropolitani che si ripiegano su sé stessi, megalopoli che si sbriciolano come fossero sabbia. La propensione al gigantismo del regista si innesta su di un immaginario onirico che ne moltiplica le possibilità, dando vita a un universo puramente cinematografico in cui, senza soluzione di continuità, si intrecciano realtà e finzione e diversi livelli di temporalità. E in cui l’azione, movimentatissima, vede per protagonisti tutti personaggi che stanno dormendo profondamente, con uno straniante effetto di dissonanza tra dinamismo e quiete, concitazione e stasi.

Originalissimo nella concezione, il mondo di Inception è però anche stranamente ordinato. Quello di Christopher Nolan è un sogno sognato da un ingegnere, o sottoposto all’analisi di un neuroscienziato che monitora i processi fisiologici dell’attività cerebrale per ricondurli a unao schema razionale. Non è il sogno dei surrealisti o l’incubo lynchiano in cui ribolle un inconscio riottoso a qualunque principio di riorganizzazione del materiale onirico. I vari strati del sogno di Inception infatti rimandano a una logica riconoscibile, che corrisponde a una narrazione involuta e criptica quanto si vuole, ma al fondo sensata, e tesa al raggiungimento dell’obiettivo della missione spionistica.

L’universo di Inception è paradossale come un labirinto, ma come un labirinto è sempre dotato di regole certe e di una via d’uscita, che si può guadagnare se si riesce a riannodare il bandolo della matassa (non è un caso che l’architetta si chiami Arianna). Nei vari strati onirici, per esempio, il tempo scorre secondo un logica bizzarra, ma non di meno coerente. Per cui quello che in un sogno dura pochi secondi, nel livello più profondo del sogno dentro il sogno dura ore, nel successivo settimane, e così via sino a giungere ad archi temporali potenzialmente infiniti. Curiosamente, il meccanismo del minuto che dura un giorno e una settimana è lo stesso di un altro film di Nolan sulla carta molto diverso, Dunkirk, che racconta una vicenda marcatamente realista, e nel quale però il montaggio, incastrando senza soluzione di continuità tre vicende di durata diversa, crea un’impressione di omogeneità tra cronologie differenti. E questo valga anche a conferma di quanto da un’opera all’altra Nolan mantenga una notevole coerenza tematica.

La quale emerge anche dalla presenza qui di un altro elemento tipico dei suoi film, il discorso metacinematografico. Niente come il sogno fa pensare al cinema, tradizionalmente definito “fabbrica dei sogni”. E se in Prestige era il dispositivo della magia a farsi allegoria della settima arte, la stessa cosa accade in Inception. In cui, come dichiarato dal suo stesso autore, tutti i personaggi principali ricordano quelli di una troupe: con Cobb regista, Arthur produttore esecutivo, Arianna scenografo, Eames attore, Saito studio finanziatore. Con Fischer, infine, nella parte del pubblico, tanto raggirato quanto affascinato dalle architetture arzigogolate e visivamente smaglianti dello stregone Christopher Nolan.