Le tette di Arisa e le chiappe di Lizzo: manifestazioni diverse della rivoluzione del body positive

Se venite a rompermi le scatole per aver affrontato a modo mio questo discorso, domani, vi sbatto le mie chiappe suoi social


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Oggi darò vita a una strana forma di masochismo, quasi una autoflagellazione fatta in pubblico, a beneficio di chi legge.

Oggi, infatti, vorrei parlare di Body positive.

Viviamo in un periodo strano, e chi come me è abituato a lavorare con le parole, ma tende a farlo seguendo i principi del massimalismo, corre rischi praticamente a ogni frase. La cancel culture, il politicamente corretto, il patriarcato, il sessismo, l’omofobia, il razzismo, l’agismo, tanti e tali sono gli attori e i fattori da tenere a mente, che se tanto tanto azzardi una metafora volante, di quelle che entrano dentro questo flusso apparente di pensieri, e non hai ponderato alla perfezione equilibri e sfumature, ti ritrovi al centro di una sorta di gogna globale, coperto di pece e piume e lasciato al pubblico ludibrio, non c’è nessuno come chi è pronto a scagliarsi contro chi è scorretto che poi si lascia andare a scorrettezze violentissime, diciamolo apertamente, ho ricevuto più minacce di morte da parte di profili Facebook che esibiscono la bandiera arcobaleno che da gente che mostra immagini riconducibili al nazifascismo, per esempio.

Uno potrebbe dire, beh, ma se anche involontariamente violi una di quelle zone rosse, chiamiamole così anche se ormai questa tipologia di immagini richiama alla mente la nostra quotidianità, quindi tutt’altro, sforzatevi di seguirmi, e che cavolo, allora significhi che la pensi esattamente in quel modo, la mano più veloce dei filtri dell’autosalvaguardia, poco conta, però, che non sempre, anzi, quasi mai, le immagini che tiri in ballo coincidano col tuo pensiero, esistono i luoghi comuni, gli stereotipi, le figure retoriche, le immagini consolidate, appunto, nell’immaginario comune, quelle che appartengono a chi si vuole stigmatizzare, che uno magari tira in ballo proprio al fine di ridicolizzare, insomma, esiste un intero mondo di figurine con tanto di numero sulla schiena a disposizione di chi vuole raccontare il mondo, e chi scrive a volte si assume il ruolo del narratore, neutro, anche se poi compare anche come personaggio, non è che compaia sempre a dar voce al suo pensiero, e che cazzo.

Per dire, uso parole volgari, ho appena usato cazzo, ma non è che necessariamente quello sia il mio linguaggio abituale. È irrilevante lo sia o meno, a dirla tutta, qui lo uso perché provo a essere comprensibile a chi mi legge, e se vado a farmi leggere in un luogo in cui si usa con frequenza la parola cazzo è la parola cazzo che devo usare, come chi volesse chiedere una indicazione in un paese straniero e di quel paese straniero conosca solo poche parole, ma uso anche, a tratti, un linguaggio alto, aulico, la costruzione del periodo tortuosa pretende attenzioni suppletive, le tante, tantissime citazioni possono anche non essere colte e lasciare il tempo che trovano, ma spesso sono strillate, e il non spiegarle ma renderle visibili potrebbero indurre il lettore a andare a cercare di cosa io stia parlando.

Qualcuno, sempre lui, potrebbe pensare che sia come i cento euro lasciati nella cassetta dell’elemosina della Chiesa aperta a ora di pranzo da parte di un peccatore che spera così di lavarsi la coscienza, ma ovviamente non è così, non solo, almeno. Da massimalista provo a confondere le tracce di quel che metto nella pagina, contando, erroneamente a volte, che chi mi legge prenda le mie parole come tutte ponderate, le immagini messe tra le righe parte di un discorso più ampio, il mio pensiero distillato nell’insieme, non nelle singole parti.

Tutte cose che in teoria sarebbero ovvie, e il fatto che io sia qui a ribadirle potrebbe, appunto, essere un cercare la vostra ulteriore vicinanza, come pure, vallo a sapere, potrebbe invece indurvi a irrigidirmi nei miei confronti, a provare quel senso pungente di antipatia verso chi, dopo aver fatto una battuta anche piuttosto banalotta, si prodiga nello spiegarvela, manco avesse di fronte uno che non ci arriva, resta il fatto che nel discorso che ho in mente di farvi che voi siate in qualche modo ambiguamente confusi dal mio parlare è parte della narrazione, come chi insegue qualcuno in un mercato maghrebino, in un suk, quanti film abbiamo visto con queste scene, e seguendo seguendo finisce per perdersi, gli odori, beh, quelli nel film ce li possiamo solo immaginare, e se in suk ci siamo andati il vedere la scena al massimo può tirarceli fuori dalla memoria, il caldo, la calca, il vociare persistente, i vicoli che si fanno più angusti, pieni di gente, il toccarsi con sconosciuti, fatto che oggi, converrete con me, diventa quasi piacevole, un ricordo che ipotizziamo non potremo rivivere forse mai più, è esattamente lì che volevo condurvi.

Certo, capisco che a camminare per terreni ambigui il rischio di essere fraintesi è parte del discorso, ci sta, fingere di non saperlo sarebbe come meravigliarsi che se scoreggi fragorosamente in un ascensore affollato poi la gente ti guardi male, ma pretendere che chi guarda Montalbano non si indigni perché Montalbano, non Luca Zingaretti, attore, ma Salvo Montalbano, personaggio di fantasia, ha tradito la sua storica fidanzata, andando quindi a insultare Luca Zingaretti, come se quello che è andato in scena in tv fosse un fatto reale, e come se, per altro, anche fosse un fatto reale, e non lo è, ripeto per i più tonti, il suo tradimento reale riguardasse anche gli altri che non siano la sua storica fidanzata, beh, mi sembra il grado minimo di richiesta da parte di chi scrive nei confronti di chi legge, una sorta di patto non scritto che in realtà scritto è a chiare lettere.

So che tutto questo può sembrare come la più classica delle scuse non richieste, quelle che sono attestato di coda di maglia, o di autoproclamazione di colpevolezza, i latini erano decisamente più portati di me per la sintesi, e magari qualcuno, cazzarola non avete davvero nulla da fare, si starà chiedendo a cosa io stia cercando di mettere una toppa, e troppe sono le toppe di questo genere che dovrei esibire, come neanche un metallaro sul suo giubbotto di jeans nella metà degli anni Ottanta, nei fatti sto provando a fare un discorso generico, non sono esattamente il tipo di persona che tiene in conto le reazioni scioccate dei lettori, si sarà notato, o magari, vallo a sapere, sono proprio la persona che ne tiene conto, quello che entra nell’ascensore affollato, si mette in un angolo, distante dagli altri abbastanza da essere visto ma non abbastanza da potersi definire lontano e sgancia un peto squassante, di quelli che richiamano alla memoria animali putrefatti, verdure e uova marce, un’idea piuttosto precisa e circostanziata di morte, pronto a scendere alla prima fermata, lasciando tutti esterrefatti, già aver usato un esempio così schifoso e fastidioso dovrebbe farvi propendere per questa ipotesi, ipotesi giusto un filo meno solida per questa mia didascalia. Oh, c’è anche il caso che voi abbiate ridacchiato per questa situazione da me buttata sul piatto, che brutte persone che siete.

Insomma, chi ci capisce è bravo, direbbe Paperino o il viceministro dell’Istruzione.

Il fatto è che ho deciso di parlare di body positive, e per di più l’ho deciso di mia spontanea volontà, senza che nessuno mi obbligasse, senza addirittura una notizia fresca del giorno, l’ultima notizia a riguardo è di qualche giorno fa, probabilmente già dimenticata dai più, triturata dalla società attuale iperconnettiva e frammentaria, un po’ come un ultrà che decide di andare in mezzo ai tifosi avversari, nella loro curva, e decide di insultare tutti i calciatori della loro squadra, a petto scoperto, o è un pazzo furioso o un autolesionista, non esiste una terza via.

La non notizia da cui vorrei partire, siatemi vicino in questo momento così delicato, è la famosa foto di Arisa sui social, anzi, le famose foto, quelle sfocate che mostrano in primo piano le sue tette, così le ha chiamate lei, mi uniformo, e che accompagnano un post nel quale Rosalba, questo il suo nome di battesimo, ci racconta in maniera sincera e sentita come abbia sempre vissuto il suo corpo con difficoltà, in modo particolare quel seno importante, e di come, col tempo, abbia imparato a farci i conti, al punto, ora, di mostrarlo senza difficoltà, la frase finale di quelle che, in effetti, scioccano, specie se pensate per i social, una sorta di New York postapocalittica nella quale ci si muove tutti come tanti piccoli Jena Pliskin, cercando di portare a casa la pellaccia: vi piacciono le mie tette?

La foto, ho letto da qualche parte, è una sorta di risposta, suppongo si potrebbe definire risposta scomposta, a una situazione che si è verificata durante un collegamento con il programma di Gepi Cucciari, durante il quale Arisa ha alzato incautamente le braccia, incautamente stando al comune sentire, sia chiaro, mostrando le suddette tette sprovviste, questo sempre ho letto un po’ ovunque, di reggiseno e a stendo celate dalla camicetta velata che indossava, fatto che la conduttrice non ha mancato di sottolineare e che, credo sempre di aver ricostruito, ha indotto Arisa a postare quanto ha postato.

Ora, che Arisa stia da tempo provando, alla sua maniera, quindi non esattamente allineata a una narrazione oggi riconosciuta come pensiero unico imperante, a abbattere a suon di post e foto lo stereotipo che di quel pensiero unico imperante è parte integrante di corporeità. Un discorso complesso e complicatissimo, che da una parte ci spinge a dire che nessuno è in diritto di alzare critiche a chicchessia per il suo aspetto fisico o per come decide di apparire, ma che pragmaticamente si sviluppa con continue incoerenze da parti di tutti, io ovviamente faccio parte della partita, insulti pesanti, anche fisici, impartiti a chi la pensa diversamente da noi, giudizi lapidari, parole usate come corpi contundenti. Certo, quando quest’estate Arisa ha pubblicato la noto foto che ce la mostrava nei minimi dettagli in bikini, l’obiettivo a pochi centimetri dal pube, le tette, sempre loro, a fare bella mostra di loro sopra la pancia che, seduta in quel modo, non può che apparire non proprio plastica, mi sono chiesto, come tanti, dove Arisa stesse andando a parare, ma è stata una domanda che mi sono posto così, en passant, conscio che ognuno ha il sacrosanto diritto di mostrarsi e raccontarsi come stracazzo gli pare, se vuole mostrarsi nel momento in cui il botulino o quel che è esce di scena, lasciando che i lineamenti naturali tornino a galla, se vuole farci vedere che ha i famosi rotolini, quelli che Vanessa Incontrada ha finto di mostrarci sulla copertina di Vanity Fair, ma anche lì, cazzi suoi, se vuole postare le foto sfocate delle sue abbondanti tette chiedendo ai suoi followers se a loro piacciono, lo faccia, che a noi nulla cambia. Io, così, per dire la mia, avrei fatto foto un po’ meno mosse, ma son gusti personali che poco hanno a che fare con l’oggetto di questa discussione.

Chiaro è che pensare che tutto ciò non impatti sul comune sentire sarebbe ingenuo, folle, perché l’iperconnettività di cui si parlava sopra esiste, e il fatto che oggi si discuta tutti di tutto è una caratteristica della contemporaneità con la quale credo sia anche abbastanza normale fare i conti.

Io personalmente non sono autorizzato a dire niente a riguardo, immagino, seguendo i principi vigenti, perché sono un uomo bianco eterosessuale borghese e di mezza età, quindi corro secondo dopo secondo il rischio concreto di fare mansplaining, di endorsare il patriarcato o una delle tante possibili defaillance nelle quali un uomo bianco eterosessuale borghese e di mezza età come me cade quotidianamente, credo che stando al pensiero unico imperante ci sia rimasto a stento il poter parlare di calcio e forse, ma ripeto forse, di Sanremo, seppur Sanremo quest’anno sia stato un bel coacervo di istanze che col body positive, l’antigenderismo e affini hanno molto a che fare. Solo che a me, personalmente, di seguire il pensiero unico imperante interessa pochino, magari sono davvero quello che scoreggia in ascensore, o quello che indica quello che scoreggia in ascensore, o quello che preferisce andare su per le scale, così non corre il rischio di sentire odore di animale putrefatto mentre sta chiuso nello spazio angusto dell’ascensore, e sul body positive avrei anche più che qualcosa da dire, sono quello che faceva le interviste in costume da bagno, la panza ben in evidenza, sono quello che è stato pesantemente insultato da Valerio Scanu perché non gli piacciono i miei capelli, sono quello a cui le fan di Biagio Antonacci hanno detto in coro che lui è più bello di me, e potrei proseguire davvero a lungo, non riesco davvero a stare allineato, e credo che in un’epoca come questa, fatta di maggiore consapevolezza e grandi rischi di nazismi, il sacrosanto diritto di essere parte del discorso debba essere riconosciuto a chiunque abbia qualcosa di sensato da dire.

Lascio momentaneamente da parte Arisa, i commenti volgari neanche li prenderei in considerazione, a me hanno colpito molto di più i tanti, tantissimi che l’hanno trattata come fosse una povera ingenua che non sapeva cosa stesse facendo, molti commenti dei quali provenienti dal mondo degli addetti ai lavori del comparto musica, il sottinteso di quei commenti a lasciar intendere che Arisa non sempre è lucida, alla faccia del body positive.

Pochi giorni prima di Sanremo a campeggiare in copertina di Vanity Fair era Noemi, la nuova Noemi dovrei dire dando seguito alla narrazione corrente. Venti chili di meno, in posa come Rita Hayworth in Gilda, felice e bella. Il racconto che Noemi ha fatto, non solo con quel servizio, anche con tutte le interviste sanremesi, con il titolo del suo nuovo album Metamorfosi, è il racconto di chi finalmente trova o ritrova se stessa, Veronica, il suo nome all’anagrafe, che finalmente coincide con Noemi, un dimagrimento importante che la fa sentire pacificata, seppur coincida rischiosamente con lo stereotipo vincente di bellezza, fatto che ammanta il suo dimagrire di dubbi e insidie, non sto parlando di me, ca va sans dire, sensi di colpa scansatevi, la magrezza che diventa pericolosa in un momento di body positive, una sorta di inno a far coincidere il proprio benessere psicologico e fisico a uno stereotipo.

Fatto che fa tornare alla mente l’ormai lontanissima e stolta polemica che Elodie giusto un anno fa ha provato a portare alla figura di Marco Masini, reo, a suo dire, di averle detto di metter su qualche chilo, l’essere magre rivendicato non come scelta estetica, ma fisiologica, il dire metti su qualche chilo da parte di un uomo di mezza età bianco e borghese, sempre lì, non letto come un modo d’altri tempi, volendo anche paterno o comunque bonario di suggerire di non curarsi troppo della linea, ma quasi un attentato al proprio essere se stesse, se una è molto magra questo non è una colpa, dire “mangia di più” è uguale a dire “dimagrisci”, vili sostenitori del patriarcato.

Del resto, se vi è mai capitato di leggere i commenti sotto le foto oversize delle modelle curvy, ma curvy davvero, non quelle che si definiscono o tali vengono definite dal mondo della moda per una taglia 44 o 46, quelle che normalmente, nella normalità nella quale sono cresciuto io, intendo, non esattamente rassicurante e contemporanea, sarebbero state definite “cicce”, forse anche peggio che “ciccione”, post solitamente intrisi di body positive o di diritto alla body positive, ecco, i commenti sono sempre pesantissimi, che gioco di parole orrendo, e vertono sul concetto che rivendicare il diritto a essere grasse è come rivendicare il diritto a non avere cura del proprio corpo, la grassezza porta infatti a tutta una serie di problemi, da quelli cardiaci a quelli legati al metabolismo.

Tradotto, non va bene Vanessa Incontrada, perché lei in realtà è una superfiga, una showgirl, e perché seppur abbia dichiarato di mostrarsi per com’era la foto di Vanity Fair è chiaramente taroccata.

Non va bene Arisa, perché solo chi non è lucido mostra le tette in quel modo chiedendo agli altri “che ne pensate” e solo chi non è lucido mostra i rotoli in primo piano.

Non va bene Noemi, perché dire che per sentirsi bene ha dovuto portare il suo corpo a coincidere con lo stereotipo di bellezza vigente è come arrendersi agli stereotipi di bellezza vigente, vittima compiaciuta del patriarcato.

Non va bene neanche chi è oversize e si mostra contenta del suo essere oversize, perché poi dopo quando il fisico presenterà il conto saranno cazzi amari. Non va, ma dire questo è dar vita a un pleonasmo, che io mi permetta anche solo di pensare di parlare di faccende inerenti il body positive legato al mondo femminile, sono il famoso uomo bianco eterosessuale borghese di mezza età che fa mansplaining, vergogna.

Arrigo Sacchi definirebbe questa situazione un cul de sac, aggiungendo qualcosa riguardo un gatto, un cul de sac dentro il quale per altro mi sono andato a fiondare di mi sponte, domani magari affronto il tema delle lobby gay che governano lo show biz, tanto per passare un’altra giornata serena, ma mi sembrava sensato dire una cosa, visto che da tempo mi occupo di corpi, di femminile, anche di agismo, in musica.

Potrei quindi star qui a citare la canzone Queen di Jessie J, e anche il video che quella canzone accompagna, l’ho fatto, andatevela a sentire, ma è di Lizzo che vorrei parlare, provando davvero a spostare il discorso dal tinello di casa dei vostri nonni all’universo ben tratteggiato da Douglas Adams.

Lizzo è una grande popstar americana, afroamericana di Detroit, non esattamente Casalpalocco o Milano 2, cantante e rapper che ha toccato il primo posto di Billboard 100 con Truth Hurts, tre Grammy conquistati nel 2020 con l’album Cuz I Love You. Taglia decisamente oversize, Lizzo ha fatto dell’inclusività e del concetto di body normative, non positive, parte portante della sua poetica, ritenendo ormai obsoleto il concetto di body positive in quanto incluso d’ufficio nel mainstream, e quindi oggetto di commercializzazione, e puntando al concetto di inclusività, normalizzazione di tutti i corpi.

Un concetto difeso coi denti, a suon di interviste, dichiarazioni, dal suo sfilare per tagli “plus size”, dai testi delle sue canzoni, e soprattutto da quel che è solita postare sui suoi social, foto e post che farebbero impallidire quelli di Arisa, ma che, Lizzo è oggettivamente una artista dotata di una personalità talmente forte da non essere mai messa in discussione, o meglio, viene costantemente messa in discussione, non c’è foto che posti o parola che dica che non sia oggetto violento di body shaming, ma il suo essere spavalda e vincente è sicuramente più potente di qualsiasi critica o attacco, alla fine ha sempre ragione lei.

Fatevi un giro sul suo Instagram, guardatevi le sue foto in bikini striminziti, i primi piani del culo, delle tette, il suo essere spudoratamente sexy, spudorata è una parola chiave di questo discorso, segnatevela, poi prendete tutte le chiacchiere intorno alle tette di Arisa, i rotolini photoshoppati di Vanessa Incontrada, l’inno alla magrezza di Noemi e buttateli nel cesso. Non le loro foto o i loro post e le loro dichiarazioni, attenzione, le chiacchiere e i chiacchiericci intorno a quelle foto, quei post e quelle dichiarazioni. Le rivoluzioni a volte passano da un paio di enormi chiappe sbattute in faccia al mondo, e se venite a rompermi le scatole per aver affrontato a modo mio questo discorso, giuro, domani vi sbatto suoi social le mie.