“Rispetto per le donne” il richiamo del presidente Mattarella

"È l’8 marzo. Sharon, Victoria, Roberta, Teodora, Sonia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella, Ilenia. Sono state uccise dodici donne, in Italia, nei primi due mesi di quest’anno. Sono state uccise per mano di chi aveva fatto loro credere, di amarle"


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“Rispetto”.  È la parola più usata dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, nel discorso pronunciato in occasione della giornata internazionale dei diritti della donnaÈ il termine più giusto, più efficace e, c’è da augurarsi più affermato, più ripetuto nel linguaggio comune e, soprattutto, più applicato nei comportamenti di quei maschi che lo sotterrano e lo trasformano in violenza. Uomini che uccidono le donne: tante, troppe.Delitti che spesso vengono derubricati con pene leggere. Come se la vita di una donna valesse di meno. Con questo bollettino quasi quotidiano, drammatico e inaccettabile, il presidente Mattarella ha ricordato le vittime, chiamandole per nome, perché non rimangano solo numeri ma sottolineando che a ciascun nome corrisponde la storia di una donna brutalmente ammazzata. Riportiamo alcuni passaggi del suo discorso.

È l’8 marzo. Sharon, Victoria, Roberta, Teodora, Sonia, Piera, Luljeta, Lidia, Clara, Deborah, Rossella, Ilenia

Sono state uccise dodici donne, in Italia, nei primi due mesi di quest’anno.Sono state uccise per mano di chi aveva fatto loro credere, di amarle. Per mano di chi, semmai, avrebbe dovuto dedicarsi alla vicendevole protezione.

L’anno passato le donne assassinate sono state settantatré.È un fenomeno impressionante, che scuote e interroga la coscienza del nostro Paese.

Un distorto concetto del rapporto affettivo – che, non a caso, si trasforma in odio mortale – è alla base dei gravi e inaccettabili casi di femminicidio. Una mentalità che, al dunque, è soltanto possesso, bramosia, dominio e, in fin dei conti, disprezzo.

L’amore, quello autentico, si basa sul rispetto e sulla condivisione. Se si giunge a uccidere una donna è perché non si rispettano il suo desiderio di libertà e la sua autonomia. Perché ci si arroga il potere di non consentirne le scelte, i progetti, le aspirazioni.

A distanza di settantaquattro anni dall’approvazione della nostra Costituzione – che ha sancito, in via definitiva, l’eguaglianza e la parità tra tutte le persone, senza distinzioni – gli orribili casi di femminicidio – che reclamano giustizia – ci dicono che la legge, da sola, non basta. Che un principio deve essere affermato, ma va anche difeso, promosso e concretamente attuato.

Ho ricordato la persistenza dei gravissimi casi di femminicidiodi violenze e di abusi intollerabili. Allo stesso modo, va acceso un faro sulle forme – meno brutali, ma non per questo meno insidiose – della cosiddetta violenza economica, che esclude le donne dal controllo e dalla gestione del patrimonio comune o che obbliga la donna ad abbandonare il lavoro in coincidenza di gravidanze o di problemi familiari. Pensiamo all’odioso ma purtroppo diffuso fenomeno della firma delle dimissioni in bianco. Questioni gravi e dolorose, che incidono profondamente sulla vita delle donne. Questioni che richiedono, per essere risolte, il coinvolgimento attivo di tutti: uomini e donne, uniti, contro ogni forma di sopraffazione e di violenza, anche se larvata.

Va ricordato, ancora una volta, che dove cresce il lavoro femminile, dove cresce la buona occupazione, anche la natalità è più elevata e i giovani ricevono una spinta positiva per i loro progetti di vita.Politiche per la famiglia, sostegno alla maternità, potenziamento dei servizi, conciliazione con i tempi di lavoro e con quelli di cura rappresentano un elemento di fondamentale importanza per la crescita del nostro Paese.

Il tema dell’8 marzo di quest’annoCon rispetto educando”,in qualche modo, riassume e contiene tutte le problematiche di cui oggi abbiamo trattato.

Perché disparità economiche, discriminazioni e violenze sono tutte figlie della stessa radice. Figlie di una mentalità dura a scomparire, che si annida anche nei luoghi più impensabili e tra le persone più insospettabili. Un’ottica antiquata, fuori dalla storia della civiltà, paralizzante che non conosce confini geografici, di censo, di livello di istruzione, e che fondamentalmente assegna alla donna un ruolo e una funzione di secondo piano. Un passo indietro. Sempre, ovunque e comunque.

Rispetto significa, innanzitutto, riconoscere all’altra persona,con le sue specificità, la stessa identica dignità che ognuno riconosce a se stesso, con eguali capacità, con eguali diritti. Educare al rispetto significa farne crescere una piena consapevolezza.

Il rispetto verso le donne conosce molte declinazioni..Dobbiamo respingere le parole di supponenza, quando non di odio o di disprezzo verso le donne. Parole che generano e alimentano stereotipi e pregiudizi ottusi e selvaggi,determinando atteggiamenti e comportamenti inaccettabili.

Compromettere l’autonomia, l’autodeterminazione, la realizzazione di una donna esprime una fondamentale mancanza di rispetto verso il genere umano.

Il rispetto è alla base della democrazia e della civiltà del diritto,interno e internazionale. Per questo il rispetto delle donne è questione che attiene strettamente alla politica.

Rispettare si impara, o si dovrebbe apprendere, fin da piccoli. Sui banchi di scuola. In famiglia. Nei luoghi di lavoro e di svago.

La parità di genere non è quindi soltanto una grave questione economica e sociale. Ma è una grande questione culturale ed educativa.

Rispettare e ascoltare le donne vuol dire lavorare per rendere migliore la nostra società.

Grazie e buon otto marzo”.

Grazie Presidente Mattarella.