Viviamo in un mondo malato, quello dei social, dove il Covid è forse l’ultima delle nostre patologie

Mi hanno bloccato su Facebook per aver rivelato la verità su alcuni dati dell'OMS, ma francamente me ne infischio


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Mi hanno bloccato su Facebook per giorni tre. Mi hanno bloccato avendo io riportato dati ufficiali della OMS secondo cui in un anno la pandemia ha fatto 2,2 milioni di morti su 7,8 miliardi di viventi, pari allo 0,03 percento. Mettendoci dentro anche gli ultraottuagenari con plurime patologie, i decessi per cause le più varie, incidenti, infarti, tegole, tutti ricondotti al virus cinese. Cosa che non è piaciuta al social del rettiliano con la scucchia, il quale evidentemente non è d’accordo neppure con le istituzioni certificate, con i loro risultati. La faccenda interessante è che io in quel post ho cura di non nominare mai il Covid o il Coronavirus, parlo genericamente di pandemia, che potrebbe essere, per quanto mi riguarda, di scorbuto. Ma niente sfugge alle volonterose sentinelle che si mascherano dietro l’ineffabile algoritmo. Perché ci sono e sono pagate per spiare, riferire e censurare, altro che algoritmi. Mi hanno bloccato e francamente me ne infischio: non intendo lasciarmi condizionare in alcun modo da questa bolla gigantesca. Facebook c’è fino a che non possiamo prescindere, quando impariamo che viviamo anche senza non c’è più, sparisce nel senso che non è più fondamentale, non induce più ossessione e panico da esclusione. E sì che mi serve per lavoro, per essere visibile, come si dice.
Amen, ho cose più urgenti cui badare. La prima è sopravvivere lucidamente a questa follia concentrazionaria, altrimenti non sono più utile per nessuno. Ed è una follia che non cambierà mettendo un tecnico dell’elite globalista al posto di un politico creato in laboratorio. Un’altra è star dietro a una madre quasi novantenne, la cui mente è volata via da anni, e che ha bisogno di tutto e mi telefona pure nel cuore della notte e non sa dirmi perché. Ma quella forse più pressante, è che sempre più gente – lettori, amici, sconosciuti – si rivolge a me per orientarsi nella valle oscura senza spiragli di luce. Telefonano, scrivono, chiedono. Non c’è nessun mistero e nessun profeta, semplicemente sono un personaggio pubblico, raggiungibile e forse, bontà loro, degno di una certa fiducia, e così la gente attinge da me la forza d’animo che non trova più in se stessa. Faccio quello che posso, come, lo so per certo, altri nella mia condizione: a che altro serve scrivere per mestiere, se rimangono solo parole frigide, di circostanza, se quelle parole non si trasformano in ponte per chi le riceve? Se non diventano energia, magari effimera, ma concreta, se non aiutano nel modo che possono?
E la gente si confida. Si ammette. Si disfa e si mette a piangere. La cosa atroce, e preoccupante, e allarmante, è che molti e sempre di più finiscono per identificare nelle privazioni di regime, nel lockdown più o meno dichiarato i traumi pregressi, le sconfitte, i fallimenti. La vita in un modo o nell’altro ti incastra sempre, ti mette di fronte a decisioni che non puoi prendere, a meno di non scegliere la crudeltà e non tutti si sentono di essere crudeli. Siamo umani, troppo umani, il che significa che dilaniati tra istinto e ragione, tra impulso e coscienza. E, per non sapere ammettere tutto questo, per non riuscire a guardare in faccia le nostre contraddizioni, le scelte che pesano troppo, o semplicemente un passato che non passa, ci ritroviamo a convogliare tutto nel disagio che consegue alla perdita di libertà.
Quel senso di abbandono, di sospensione. Quella mancanza d’aria e di futuro. E la paura di non uscirne più fuori, così come non usciremo dal mosaico di zone gialle e rosse, dal filo spinato di decisioni altrui, dalle contorsioni di un potere che più si aggroviglia e più, per sopravvivere, strangola i cittadini, che mostra di tenere in conto di sudditi. Questo è ciò di cui ci siamo ammalati, ed è una patologia molto peggiore del Covid: non esiste vaccino, e gli effetti possono durare anni; anche per tutta la vita che rimane. Non è solo la sindrome da carcerato, è che in questo Paese relitto e derelitto ormai non si capisce più chi comanda, i centri decisionali offrono, nessuno escluso, dimostrazioni sconfortanti di incapacità e a volte disonestà, la stessa magistratura è infida e spaventosa, come da recenti rivelazioni del pentito Palamara, pentito solo adesso che è stato radiato. Siamo abbandonati a noi stessi, a un destino impossibile da decifrare, di un potere allo sbando ma decisissimo a sopravvivere a se stesso, che non è mai stato così distante, così sfacciatamente indifferente ai cittadini. E sentirsi, come popolo, come comunità di uguali, prede di un volere inafferrabile, che sia il morbo o l’impreparazione di chi dovrebbe tutelarci o le mire di altri Paesi determinati a ridurci a colonia, è inevitabile. Siamo malati, e il Covid è forse l’ultima delle nostre infermità.
Ma non se ne parla, si gira alla larga, al massimo ci si sofferma, ed è già tanto, sul vertiginoso aumento dei sucidi, dell’autolesionismo giovanile, dei reparti psichiatrici che ormai scoppiano. Ma scoppiati siamo tutti, scoppiata è questa società dissociata che non ha più certezze, né direzioni, né speranze. Se “consenti” a un popolo di ritrovarsi in una situazione di relativa normalità, chiamata zona gialla, e subito lo maledici, lo minacci perché ne ha approfittato, non fai che acuirne l’insofferenza e la depressione. Se insisti con la spoon river quotidiana nei telegiornali, non fai che drogare di angoscia gente che già è in overdose. Qui nessuno dorme più, e la violenza anche spicciola, da strada, sale come un mare verticale, nero, furibondo. Questo il cronista sta registrando, con angoscia crescente: e deve mentire, deve mostrarsi forte, razionale, perché, come gli ripetono, “se cedi anche tu è la fine”. Figurati se c’è il tempo di badare alle ipocrisie, alle smanie ottuse di social che sono immensi focolai di controllo. Dicono i virologi ultrà, che non sono certo psicologi: “La soluzione sarebbe una sola, quella di un lockdown totale, ferreo e senza termine”. Lo sanno cosa vanno scatenando? Lo intuiscono ma gli va bene così, tra questi pipistrelli da talk show è tutta una corsa a chi la spara più grossa, per mettersi in mostra, per non restare indietro. Per guadagnarsi i galloni di una candidatura. Nel segno della più totale sconsideratezza, del terrorismo psichico più efferato, anche se gli irresponsabili sono sempre i poveri cristi che si ostinano a respirare. A esistere.