In occasione del Rainbow Free Day terrò un webinar dal titolo Greetings from Rainbow, un omaggio a Springsteen

Ecco, provate a non lasciarci soli come ho fatto io con Luca Sardella, non lo sopporterei!


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Vorrei tornare a affrontare la faccenda del talento e del successo. Ne parlavo giusto ieri, a riguardo di Soul. E anche, soprattutto dovrei dire, a riguardo della generazione dei ventenni, a mio superficiale e rozzo modo di vedere non sempre lucidissimi nel distinguere l’uno dall’altro, e forse un pochino più interessati al secondo che al primo.

Intendiamoci, non sono un sociologo, credo, né un antropologo, sempre credo, quindi non è mia volontà star qui a cercare le origini di questa particolare situazione, potrei così, en passant, tirare su una teoria pret-a-porter riguardo i danni che programmi come i Reality, il primo Grande Fratello in testa, ha creato su un popolo, il nostro e più in generale quello “occidentale”, fatemi usare davvero la stessa precisa perizia che avrebbe Edward Mani di Forbici se dovesse star qui a sciogliere un nodo su una catenina sottile, dico questo per sottolineare come in casa sia sempre io quello incaricato a sciogliere i nodi nelle catenine, non ho mai neanche capito esattamente perché, in totale assenza di valori, e anche di prospettive future, quel promettere un successo incredibile e a buon mercato, in cambio di stare qualche settimana dentro una casa e davanti a telecamere onnipresenti, successo che in effetti piovve addosso ai partecipanti al primo Grande Fratello, la parabola iconica e triste di Pietro Taricone a fare da esempio e anche monito, un successo immeritato, quindi, ma visto come dovuto, una sorta di compensazione proprio di quella assenza di prospettive e aspettative.

Potrei anche azzardare, ma sarebbe un azzardo sicuro, come quello di certe scene dei film d’azione, dove il protagonista si arrampica lungo la facciata di un palazzo, aggrappandosi di cornicione in cornicione, e chiunque abbia provato, l’ho fatto, a sollevarsi sulle braccia su uno di quegli attrezzi idioti che un qualsiasi comune ha disseminato per i parchi, una sbarra di metallo posta in alto tra due sbarre di legno, ben sa quanto sia difficile farlo, figuriamoci tenersi aggrappati a un cornicione con tre dita, magari mentre un cattivo ci picchia su col calcio di una pistola, come quello di certe scene dei film d’azione, dicevo, dove il protagonista si arrampica lungo la facciata di un palazzo, aggrappandosi di cornicione in cornicione, il baratro lì sotto i suoi piedi, mentre in realtà la scena è girata in orizzontale, l’attore che interpreta il protagonista non sta affatto sospeso sul vuoto, piuttosto gattona come un bambino piccolo lungo la facciata del palazzo che qualcuno ha riprodotto e appoggiato in terra, ecco, esattamente correndo i medesimi rischi di quell’attore, attore che comunque, si fosse trattato di girare la scena davvero, sarebbe sicuramente ricorso a uno stuntman, a meno che non si fosse trattato di Tom Cruise, che lui è pazzo e pretende di girare le scene pericolose in prima persona, e del resto è affiliato di Scientology, che mai vogliamo pretendere da uno che è seguace di una setta creata da uno scrittore di fantascienza di serie B come Ron Hubbard?, comunque potrei azzardare, ma sarebbe un azzardo sicuro, come quelle sicure di certi film d’azione, una sottile linea rossa che collega l’esplosione dei Reality, la vera Grande truffa del Rock ‘n’ Roll, l’illusoria possibilità di diventare famosi in assenza di talento, o col solo talento di poter diventare famosi, grazie alla televisione e a una ostentazione effimera di una vita fotogenica e assolutamente vuota, credo che il Grande Fratello Vip che imperversa da mesi e mesi ne sia cristallizzazione perfetta, e lo credo senza averlo ovviamente mai visto, comunque potrei azzardare, ma sarebbe un azzardo sicuro, come quelle sicure di certi film d’azione, una sottile linea rossa che collega l’esplosione dei Reality all’esplosione dei social, specie dei social legati solo all’immagine, le foto, prima, le storie e i video, poi, ora addirittura le dirette, video che non rimangono, dove il successo è spesso legato esclusivamente all’aspetto fisico, per altro abbondantemente filtrato, letteralmente filtrato, anche lì, essere famosi per essere famosi.

Poi potrei, ma chi se ne frega, in fondo, aprire a una disamina sulle differenze di fondo tra successo e fama, il talento sempre evocato ma mai realmente presente.

Col che, intendiamoci sempre, non è mia volontà asserire che la generazione dei ventenni, non ho mai capito se li devo chiamare Millennials o Generazione Z, io sono un boomer, non fatemene una colpa, sia del tutto incline a cercare quel tipo di riconoscimento lì, figuriamoci, vi capitasse di venire a cena a casa mia, in un qualsiasi giorno della settimana, assistereste a estenuanti e lunghissime discussioni, spesso più simili a monologhi che qualche volta, più per caso che per volontà dei presenti, si intrecciano, riguardo qualsiasi argomento, i ventenni di oggi come quelli di ieri sono voraci, curiosi, hanno voglia di sbranare la vita, nonostante i mesi di reclusione cui un governo incapace più che l’emergenza sanitaria li ha sottoposti, dire che sono senza valori e interessati solo a un successo effimero sarebbe un’eresia, oltre che una autocertificazione di totale incapacità nostra, dei boomer, di passare loro valori e fornire loro la possibilità di coltivare sogni e passioni.

No, sto semplicemente provando a capire perché, oggi, ma quest’oggi ha sfiorato anche la mia generazione, perché in fondo Pietro Taricone, uso sempre lui come icona di questo discorso, aveva solo sei anni meno di me, magari non avrei potuto ambire a diventare un influencer da social, sempre che a mio modo un po’ non lo sia anche io, ma sicuramente sarebbe potuto capitare che finissi dentro un Reality, parto da un punto di vista meramente anagrafico, col rischio poi di vedermi a fianco del Presidente del Consiglio durante le tante, troppe dirette social, a guidare quelle buffissime conferenze stampa in assenza di contraddittorio, l’esempio della giornalista Fusani azzittita dal presidente dell’Ordine dei Giornalisti per aver osato porre due domande invece che una, anche se si trattava di chiedere al presidente di rispondere davvero alla prima domanda, in maniera non elusiva, è qualcosa che ci spara a razzo verso quella Repubblica delle Banane ormai diventata matrice dell’Occidente, dagli USA a casa nostra, sto semplicemente provando a capire perché, oggi ci sia questa piatta volontà di inseguire il successo per il successo, in assenza di talento, nel mio campo specifico, in assenza d’arte.

Chiaro, di gente che è diventata famosa, fugacemente, spesso, in maniera permanente, in altri casi, senza avere uno straccio di talento è piena la storia, e anche la storia della musica leggera, dove nello specifico almeno per una volta confondere leggerezza e superficialità è doveroso. Solo che io, ma come me tanti, tantissimi, da piccolo sono stato in qualche modo accompagnato alla ricerca, magari distratta, un tempo il rapporto genitori-figli, forse a causa di una più giovane età media dei genitori, più presumibilmente per una diversa impostazione della nostra società, e capisco che oggi sto veramente tagliando i discorsi con la sega elettrica, mi vergogno di me stesso, e in questo mio essere accompagnato mi è stato indicato chiaramente quello che il film Soul, è sempre di quello in fondo che sto parlando, declama come fosse la scoperta della pietra filosofale: vivere è vivere, non necessariamente vedere realizzato un proprio sogno, quindi veder riconosciuto un proprio talento.

Ciò nonostante la ricerca del proprio talento era presente, incentivata, intendendo con talento non necessariamente quello artistico, o sportivo, tanto per citare due campi, l’arte e lo sport, che per loro natura possono poi portare anche al successo di cui sopra.

Non voglio star qui a citare la parabola del Vangelo, quella dei talenti, appunto, anche se penso che, conoscendo i miei genitori, immagino da lì si partisse per questa ricerca, una ricerca spasmodica, sono dei Gemelli, figuratevi, ho letteralmente provato di tutto, dalla pittura ai tanti strumenti che ho provato a studiare, qualcuno con più metodo, il violoncello, prima, la chitarra poi, altri con  ostinazione ma senza risultati interessanti, qualche tempo ho avuto in casa un sassofono, per dire. Mai, ma proprio mai mai, mentre studiavo, mentre dipingevo, mentre scrivevo, anche mentre sognavo a occhi aperti, ritrovando i miei quaderni di quando ero un ragazzino li ho trovati pieni di frasi che nella mia mente immagino fossero testi di canzoni, scritti in grassetto a fianco delle canzoni di artisti che amavo, da Enrico Ruggeri a Luca Carboni, mai, ma proprio mai mai a muovermi era la volontà di diventare famoso, semmai l’idea di poter fare poi nella vita quello che al momento era una mia passione, ma non era il successo, inteso come i soldi, l’amore dei fan, la bella vita, quello che inseguivo. Figuriamoci l’idea di incidere sulla cultura popolare, quella proprio non era parte del discorso, ero un ragazzino, non un piccolo genio.

Se qualcuno, ipotizzo, mi avesse chiesto se volevo diventare famoso, così, da un giorno all’altro, gli avrei sicuramente chiesto “famoso per cosa?”. Perché ero una incredibile ala sinistra? Perché ero un discreto cantante? Perché sapevo mettere le parole una dietro l’altra? Diventare famosi per diventare famosi non era parte del discorso, e onestamente non era neanche particolarmente interessante.

A un certo punto, poi, è successo che ho cominciato a finire sui giornali. Prima quelli locali, poi quelli nazionali. Non essendo legato a fatti di cronaca, il che penso sia sempre un bene, la cosa poteva a suo modo indicare che stavo cominciando a avere successo, fatemi essere generoso verso il me stesso giovane.

Ho pubblicato i miei primi libri, e la cosa non è passata inosservata. Niente di incredibile, intendiamoci, ma finire a figura intera, circa mezza pagina, su Panorama, all’epoca il settimanale di informazione più letto in Italia insieme a L’Espresso, roba da circa un milione di copie a numero, faceva una certa impressione. Ero giovane e di colpo un po’ tutti inseguivano gli scrittori giovani, come fosse una nuova moda. A me, sono snob e anche autolesionista, di diventare famoso, di finire cioè su quelle pagine, fregava davvero poco, io ero ostile al pubblico, volutamente difficile da leggere, spocchioso e sperimentale, le due cose vanno spesso di pari passo, godevo di più per certe recensioni che per quella visibilità, ma nei fatti per qualche tempo arrivò anche quella. Metteteci pure che, nonostante la mia città, Ancona, fosse in qualche modo legata proprio a questa attenzione spasmodica nei confronti degli scrittori giovani, a Ancona si trovava la casa editrice Transeuropa che aveva pubblicato le antologie Under 25 di Pier Vittorio Tondelli e sempre la Transeuropa, guidata da quel mezzo genio cialtrone di Massimo Canalini, forse la prima figura di editor all’americana occorsa alle nostre lettere, aveva scoperto e pubblicato Enrico Brizzi, quello del megasuccesso Jack Frusciante è uscito dal gruppo, ecco, nonostante la mia città, Ancona, fosse in qualche modo legata proprio a questa spasmodica attenzione nei confronti degli scrittori giovani, presso la Transeuropa si era creato un gruppetto di autori autoctoni che provavano a diventare scrittori, io tra loro, anche se per pochissimo, di fatto io ero il primo autore locale a pubblicare con una casa editrice importante, la Mondadori, a finire sotto i riflettori, mio malgrado.

Già in precedenza, a dire il vero, l’aver pubblicato con la PeQuod, che della Transeuropa era spin off, mi aveva regalato una certa fama, la prima presentazione fatta presso la Feltrinelli di Corso Garibaldi, per dire, aveva registrato oltre duecento presenze, più di un’ora passata a fare firme e dediche. Insomma, avevo scoperto il mio talento e, seppur facessi di tutto per renderlo poco fruibile al grande pubblico, sembrava che il grande pubblico non potesse fare a meno di me. C’è stato un periodo, neanche troppo breve, parliamo di un paio di anni, nel quale ho creduto che nella vita sarei stato un romanziere, uno cui la critica avrebbe guardato con attenzione, quello mi sembrava l’aspetto da inseguire, volevo che il mio talento fosse riconosciuto da chi ne aveva le competenze, non mi interessava che fosse fruibile da tutti, ripeto, Dio mio che spocchia. Che poi questo talento mi portasse a pubblicare col più grande editore italiano e che quindi in qualche modo fosse ammantato di un certo successo era una conseguenza del mio scrivere, non certo la spinta a farlo.

Chiaramente le cose non stavano così.

Non ero uno scrittore di successo, ero uno scrittore che per qualche tempo era stato sotto i riflettori perché aveva pubblicato libri nel momento giusto, con gli editori giusti. A quelle prime presentazioni oceaniche, poco prima di sposarmi, nel 1999, ne ho fatta una a Milano che ugualmente era stato un bagno di folla, le figura del giovin scrittore funzionava anche nelle metropoli, mica solo in provincia, ma poi arrivò il conto, arrivò la realtà.

Tornato dal viaggio di nozze, in autunno, a Pavia, con il mio amico Piersandro Pallavicini, ho vissuto un’esperienza piuttosto imbarazzante, una presentazione cui non è venuto nessuno, solo io, Marina, mia moglie fresca di nozze, Lucia, l’ufficio stampa della Mondadori, Piersandro e sua moglie, accorsi in quanto amici, non certo in quanto interessati a ascoltare il giovin scrittore che qualche mese prima era su Panorama con una foto che prendeva mezza pagina a corredo di un articolo dedicato alle novità letterarie italiane.

A quella, nel corso degli anni a venire, seguiranno altre occasioni altrettanto imbarazzanti. Poca gente, spesso amici o parenti degli organizzatori di questa o quella presentazione, questo o quel Festival. Roba che da una parte ti forma, perché prendere botte sui denti è appunto una grande lezione di vita, altroché successo e fama, le basi, la gavetta, l’autostima che viene forgiata a fuoco lento, un maglio che pesta mazzate possenti, dall’altra ti mina, perché è vero che il talento e il successo non vanno di pari passo, e non è certo la presenza oceanica alle presentazioni che attesta che tu stia o meno percorrendo la strada giusta, ma è anche vero che parlare davanti a sedie vuote è esperienza alienante tanto quanto inutile, e che se le sedie restano sempre vuote poi gli editori difficilmente tornano a pubblicarti, in barba al talento.

Sì, perché tra talento e successo, ahinoi, c’è di mezzo il mercato, e il mercato è sempre, ma sempre sempre, interessato solo al successo, mica al talento. Essere scrittori, essere artisti, non necessariamente prevede il riscontro da parte del sistema, gli esempi di grandi grandissimi artisti scoperti dopo la loro morte costella il mondo dell’arte, non credo serva farne neanche uno, ma se l’idea di essere un artista bohemien, incompreso, addirittura vessato dal sistema, è decisamente più affascinato dall’immagine dell’autore di palazzo, quello vezzeggiato dal sistema stesso e dal pubblico, penso ai miei tempi a un Baricco, a un De Carlo, è pur vero che provare a vivere come un bohemien, la tisi, la fame, la povertà, è più affascinante a parole che ai fatti, provare per credere.

Per questo, anche per questo, a un certo punto ho spostato il mio saper e voler scrivere verso altri lidi, già sapete quali, mi state leggendo, pur continuando a pubblicare libri, ottanta titoli pubblicati in ventiquattro anni sono tanti e tali da farmi dire che il pubblicare libri è in fondo il mio core business, tanto per non parlare solo d’arte, a breve poi ne usciranno altri due, prima della primavera, e per questo, anche per questo, ho smesso di fare presentazioni, per altro andando a ammantare le poche che faccio di una certa attesa, perché apparire in libreria una volta ogni tot anni diventa a suo modo un evento, non certo una delle tante occasioni possibili.

Certo, certo, ovvio che in questo gioca il suo peso il fatto che nel mentre io sia diventato di nuovo assai visibile, sono quello che ogni tanto compare al fianco di Pinuccio a Striscia la Notizia, sono quello che fa le dirette da Sanremo con Mara Maionchi, Pio e Amedeo e la Gialappa’s, sono quello che va in radio e in tv e poi finisce nelle storie di Vasco o Cremonini, ovvio che la gente sia incuriosita da me, ma esserci mai o poco è anche più comodo, invece che uscire di casa, prendere il treno, stancarsi per vendere qualche manciata di libro è più semplice farsi gli affari propri e contare sul fatto che i libri vendano lo stesso, del resto il mi personaggio è quello dell’outsider che se ne sta appartato, perché mai dovrei tradire quell’immagine?

Anni fa, per altro, è uscito un libro che per certi versi mi ha rincuorato, Le umiliazioni non finiscono mai, curato dallo scrittore scozzese Robin Robertson, nulla a che vedere col quasi omonimo leader della Band, e pubblicato in Italia da Guanda. Un libro che raccoglie racconti autobiografici di un sacco di scrittori bravi e famosi, oltre settanta in tutto, narratori e poeti quali Roddy Doyle, Jonathan Coe, Julian Barnes, Margaret Atwood, Irvine Welsh, solo per farne alcuni, che si mettono alla berlina ricordando loro presentazioni disastrose, vergognose, imbarazzanti.

Una vera e propria galleria degli orrori, molto divertente, per altro, che dimostra che situazioni quali il trovarsi a parlare di fronte a una marea di sedie vuote sia capitata nella vita anche ai più grandi.

A tal proposito mi è tornato in mente una situazione decisamente più disastrosa di una presentazione di libri disertata dal pubblico, c’era di mezzo un’organizzazione più complessa e decisamente più dispendiosa, cui ho assistito quando ancora vivevo in Ancona e ero un giovanissimo appassionato di musica.

Non saprei dire con certezza che anno fosse, a occhio direi verso la fine degli anni Ottanta, dico questo perché ho controllato su Wikipedia, e l’unico motivo per cui io mi posso essere ritrovato unico testimone della storia che sto per raccontarvi è avvenuto nel 1987. Ecco, diciamo che è l’autunno/inverno tra il 1987 e il 1988. Al Cinema Teatro Metropolitan di Ancona è previsto un concerto di Luca Sardella. So che ai più questo nome risulterà sconosciuto, o che in tutti i casi ricollegherà questo nome a altro dalla musica, programmi tv dedicati al mondo della botanica, o comunque sue presenze in programmi decisamente popolari, sempre come esperto di piante e sempre con un cappello facilmente riconoscibile, ma Luca Sardella ha esordito come cantautore, andando poi a incontrare un certo successo proprio nel 1987, col brano Una Storia Pulita e Sempre Sua è Al Momento, So di Stupirvi, Spettacolare Ghiacciato, brano cantato con sua figlia Daniela per lo spot dell’Amaro del Capo.

Io sono sempre stato un grande appassionato di musica italiana, credo di avere le opere prima di chiunque abbia esordito negli anni che vanno dal 1984 al 1997, da quando cioè ho iniziato a comprare dischi da solo a quando ho iniziato in qualche modo a avere a che fare professionalmente col mondo della musica, da Marco Conidi a Biagio Antonacci, passando per Paola Turci e Tosca, faccio nomi a caso. Seppur Una storia Pulita non mi entusiasmava, va detto, decido di andare al concerto di Luca Sardella. In mio aiuto c’è il fatto che il concerto è gratuito, fatto che al momento non mi ha insospettito, non ero a conoscenza della differenza dei tour fatti a biglietto e quelli nelle piazze, il Metropolitan non era una piazza, ma la gratuità del concerto lo equiparava a questa tipologia, non ci sono dubbi. Anche il fatto che il concerto fosse di pomeriggio poteva essere un indizio, ma ero giovane, chi se ne frega degli indizi quando si è giovane?

Di fatto entro al Metropolitan, Teatro presso il quale ho visto tanti concerti, da Ruggeri a Carboni, da Minghi a Dalla e Morandi, altri dei quali ho assistito parzialmente, appiccicato alle porte del backstage, impossibilitato a entrare per questione di mera pecunia, ne ricordo uno di Umberto Tozzi, per dire, all’epoca della sua rinascita artistica dopo Si può dare di più, di fatto entro al Metropolitan e vedo questo palco gigantesco pieno di strumenti. I palchi grandi pieni di strumenti, le chitarre una a fianco all’altra, pianoforte e tastiere, le percussioni e tutto il resto, anche oggi mi affascina da morire, come l’odore dei libri quando entro in una libreria. Ci sono tutti questi strumenti, le poltrone vuote e ci sono io. Sulle prime penso di aver sbagliato orario, che magari sono riuscito a entrare per una falla sul sistema di sicurezza, ma di lì a poco salgono sul palco i musicisti e lo stesso Luca Sardella, col cappello e tutto. Allora penso si tratti delle prove, sicuramente sarò arrivato all’ora delle prove. In piazza mi era già capitato, alcune volte, le prove del resto sono una sorta di surrogato del concerto, stesse canzoni, ovviamente meno di quelle che si fanno al concerto vero e proprio, stessi musicisti, manca giusto il pubblico. Solo che a un certo punto lui, Sardella, mi saluta, sì, saluta proprio me, del resto sono la sola presente in un teatro, ora diventato un negozio H&M, piuttosto grande. Mi saluta e mi dice, vado a memoria, che farà il concerto per me. Niente prove, quindi, proprio il concerto.

Ora, mettetevi nei miei panni. Sono il solo spettatore di un cantante che comunque ha un singolo di un certo successo, sempre lì, il successo, in circolazione. Un cantante che arriva in città per un concerto pomeridiano, gratuito, e si trova davanti un teatro vuoto.

Che fareste?

Certo, da una parte c’è l’imbarazzo di ferire l’artista, come l’abbandonare la mano di chi è appeso al cornicione con una mano, torniamo sempre alla scena dei film d’azione di cui sopra, per altro provateci voi a tenere un corpo di un uomo con una mano, voi che faticate a portare due buste della spesa, dall’altra l’imbarazzo di essere i soli spettatori di un cantautore di cui, in fondo, vi interessa poco. Le future presentazioni in assenza di pubblico, future presentazioni che potrebbero indurmi a una certa solidarietà tra artisti ancora non sono neanche immaginabili, ho iniziato a scrivere qualche anno dopo, figuriamoci se potevo prevedere avrei pubblicato libri. Per cui, mentre Luca mi canta una sua qualche canzone, la canta proprio a me, io prendo e esco, senza neanche girarmi a salutarlo. Immagino che se Luca Sardella fosse stato chiamato da Robin Robertson a prendere parte al suo libro Le Umiliazioni Non Finiscono Mai io sarei parte del suo racconto. O almeno lo spero, perché voglio immaginare che non fosse una situazione familiare per lui quella.

Tutto questo per dire cosa?

Che il successo e il talento non sono strade che corrono parallele. Non sono neanche necessariamente strade che dovrebbero correre parallele. Ma che a volte sono entrambe strade che alcuni artisti non riescono a percorrere, ne sono stato involontariamente testimone.

Ma tutto questo anche per dire che oggi, 16 gennaio 2021, alle 15, presso la mia pagina social e tutte le pagine social legate all’iniziativa Rainbow Free Day, compreso il sito ufficiale www.rainbowfreeday.com, ieri ho iniziato a parlarvene, manifestazione che ci accompagnerà online da fino al 30 gennaio, ci sarà un webinar dal titolo Greetings from Rainbow, sì, l’omaggio a Springsteen è voluto, webinar ideato da Giuliano Girlando e che vede Grazia Sambruna e me come speaker. Ecco, non provate a lasciarci soli come un Luca Sardella qualsiasi, vi prego, non credo sopporterei la cosa.