Non C’è di Edoardo Bennato, 8 convincenti brani nuovi, in mezzo alla certezza dei cavalli di battaglia

Il nuovo disco di Bennato, è l'ennesima prova che sia uno che la storia del pop l'ha fatta davvero e che nonostante gli oltre 40 anni di carriera, di cartucce da suonare ne ha ancora tante


INTERAZIONI: 714

I tempi sono quelli che sono cioè infami, le cose buone sgocciolano via senza venire intercettate, mettici poi il Covid che impedisce una vita supplementare, per esempio su un palco. Eppure vale la pena soffermarsi su documenti sonori che restano imperdibili, sospesi tra lascito e voglia d’eternità. Prendi per esempio questo “Non c’è”, ultima prova di Edoardo Bennato, uno che la storia del pop l’ha tracciata per sua parte: e non sembra ancora Pago, di cartucce da suonare ne ha ancora.


Diciamo subito che c’è un vezzo abbastanza fastidioso tra i cantautori nostrani: tutti ribelli, incompresi, censurati, osteggiati finché non ce la fanno da soli contro il mondo. A volte – non sempre – c’è del vero, ma che senso ha insistere dopo 40 anni di mainstream che ti ha fatto vendere dischi a milioni, ti ha reso ricco e indiscutibile? Il senso di durare, di amministrarsi e a questo gioco il nostro Bennato è uno dei più ostinati. Senonché la prova più recente del 74enne cantautore di Bagnoli è tutta un compromesso: 8 brani nuovi, tutti convincenti, va detto, in mezzo alla rilettura di una quindicina di cavalli di battaglia. Ce n’era bisogno? Non proprio, i grandi successi di Edo sono stati ricantati e risuonati in tutte le salse e ci escono dalle orecchie come il Fanciullino del Pascoli, ma la casa discografica, la Sony, così ha voluto e lui si è adeguato: Bennato può ancora riempire un’arena, la sua credibilità di autore è intatta, ma non vende più come un tempo – lui come tutti quelli della sua generazione. E allora bisogna rispolverare in ogni intervista il ruolo dell’antagonista, di quello che girava le strade col kazoo e il tamburello e anche nell’età della ragione non s’è adattato mai “e questi brani nuovi lo testimoniano”.


Non è proprio così e lui stesso, in sprazzi di sincerità, lo ammette: “Sono Ancora Alla Ricerca Del Successo”, con tutto ciò che ne consegue. Così come non è vera la favola bella del cantautore alieno da partiti e movimenti; Bennato in realtà li ha attraversati o almeno sfiorati tutti: inequivocabilmente di sinistra agli inizi, fiuta il vento del riflusso all’inizio degli Ottanta e canta “Sono Solo Canzonette”, con cui attacca “Gli Impresari Di Partito” cioè, fuor di allusione, delle feste dell’Unità, il carrozzone rosso dell’Arci che monopolizzava la più parte dei musicanti “impegnati”; sconterà il successo nazionalpopolare delle “Notti Magiche” dei campionati mondiali di calcio, insieme a Gianna Nannini; poi, sempre con la patente di cane sciolto, gira, resta a galla, in tempi recenti polemizza con il fondatore dei 5 Stelle, cui dedica “Il Grillo Parlante” salvo finirci a duettare su un palco, dopodiché lo si vede assorto alla Leopolda di Renzi. Dicono i fans: avete visto? È la prova che non si lega a nessuno. Sì, ma non è detto sia di per sé una virtù.


Quello che è vero, che resta vero è una attitudine, quello scarto da cavallo nevrile, di razza, che rompe, va per conto suo, magari fuori pista ma non lo tieni e qui si può dire che i pezzi nuovi si sposano bene a quelli storici: magari saranno stati composti proprio per questo, con un occhio alla suggestione degli inizi, sta di fatto che sarebbe difficile distinguerli ad uno non pratico del canone bennatiano. Fin dal brano eponimo, Non C’è, autobiografico in modo insinuante (anche se il testo l’ha scritto il fratello Eugenio), comunque Bennato doc nelle liriche e nei suoni, nelle vibrazioni; altrettanto tipico è Geniale, con quell’armonica a bocca così reminiscente, e lo stesso si dirà di Signore e Signori, schietto tributo a Dylan, scritto nel 2016 ma solo adesso proposto in un disco; quanto a La Realtà Non Può Essere Questa, ancora con Eugenio, è uno standard de L’isola Che Non C’è, cui sta a pari per felicità compositiva: fossimo in tempi diversi, si candiderebbe già adesso a una dimensione di piccola eternità; notevole anche il rock blues de Il Mistero Della Pubblica Istruzione, mentre Maskerate, tirata, old style, riporta all’alter ego Joe Sarnataro; L’Uomo Nero sfodera un rock secco, dritto, sporcato dall’inserto del rapper Clementino, laddove La Bella Addormentata torna all’accattivante pop rock anni ’80 che ripescava Edoardo dall’appannamento sperimentale di Kaywanna, e riecheggia senza tanti scrupoli la celeberrima Tu Vuoi l’America.

C’è un filo conduttore per questi inediti, è l’insofferenza verso il potere declinata nel periodo attuale, di isterie pandemiche, di serrate sociali fra l’incomprensibile e il demenziale. Esce il Bennato chirurgicamente polemico, dal cantautorato sociologico ma vivace, che coglie subito i pericoli di una alienazione da regime e di regime: basta e avanza a rendere ancora una volta credibile il suo personaggio di menestrello colto, laureato in architettura, consapevole del gran casino italiano, napoletano ma mai incline alla rassegnazione. Disco, non per caso, assemblato tutto in patria, a Napoli, come a voler mantenere una connessione non solo culturale, non solo storica, quanto empatica con le origini.


Circa gli episodi conosciuti, si potrà dire che l’ennesimo modo di replicarli trova una soluzione felice nelle sonorità, grintose, precise, assai ben suonate, il che salva almeno in parte l’ascoltatore da un effetto deja-vu che può farsi pesante: è il caso, ad esempio, di Mangiafuoco, ormai insostenibile per saturazione: un paio d’anni fa Bennato ha pure reinciso lo storico “Burattino Senza Fili”, e ancora una volta ce lo siamo dovuti sorbire come un eterno ritorno, un implacabile corso e ricorso musicale. Discorso diverso per Cantautore, resa qui con una intensità speciale, quel non so che a fare la differenza da una qualunque versione di repertorio: come minimo, si coglie una gran verità: che il rap in fondo non l’ha inventato nessuno ma prima era meglio. Alla fine “Non C’è”, ventesimo capitolo di una saga che dura dal 1973, ci dice qualcosa: che, con tutti i loro difetti, questi vecchi ragazzi davvero hanno cambiato qualcosa della sensibilità popolare; ciascuno con le sue atmosfere, il suo mondo poetico, la sua visione sociale: sono cose che non si perdono, destinate, anzi, a venire riscoperte ogni volta che, travolti dalla miseria attuale, sentiremo un fisiologico bisogno di “Canzonette” davvero speciali.