Ricordando il piccolo martire Giuseppe di Matteo: sottratto alla vita a 12 anni e morto a 15

25 anni fa la mafia commetteva il suo delitto più lurido. Possibile che nessuno abbia ancora pensato di fare beato questo ragazzo?


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Chi ha avuto occasione di visitare la cella dell’alchimista Cagliostro, alla Rocca di San Leo, ne è uscito con la sensazione di una claustrofobia invincibile: una capsula, soffitto talmente basso da poterci stare sotto solo seduti o sdraiati, e pareti, muri di mattoni che si stringono sul corpo, che rendono ancor più minuscola la gabbia. Chi ha potuto vedere l’ultimo buco di Giuseppe di Matteo, sotto al pavimento di un casolare di San Giuseppe Jato, ne ha tratto la stessa sensazione di inesorabilità. Giuseppe di Matteo, morto a 15 anni dopo tre di prigionia, prelevato da mafiosi vestiti da poliziotti della DIA, mafiosi travestiti da poliziotti che cacciano i mafiosi, il cinismo dei criminali è senza fine. Giuseppe di Matteo scontò il suo inferno stritolato in una faida, volevano indurre il padre a ritrattare le rivelazioni su alcuni misfatti atroci: la strage di Capaci, l’esecuzione dell’esattore Ignazio Salvo. “Ci credeva degli angeli, eravamo dei lupi” avrebbe poi confessato uno dei sequestratori, il pentito Gaspare Spatuzza.


Lo prendono un pomeriggio, alla fine di novembre, lo legano, lo caricano in un furgoncino, lo portano in un magazzino ai suoi carnefici. Comincia per il dodicenne Di Matteo un tempo senza fine dove i giorni senza storia cambiano solo di posto: seminterrati, scantinati, sotterranei, poi, venticinque anni fa, lo fanno sparire. Dice il suo assassino, Giovanni Brusca, con occhi porcini senza luce: “Ho perso il conto di quelli che ho ammazzato e fatto ammazzare, comunque meno di duecento”. Giuseppe cresce suo malgrado, adesso è un adolescente, un giovane in catene e alla fine perde ogni illusione: “Almeno uccidetemi, siete bestie”. Lo accontentano. Lo strangolano, chissà se lui avrà avuto paura o solo una sorta di terribile sollievo nella breve agonia. Chissà se avrà capito, quando entrano nel loculo con le mani che grondano morte. Le testimonianze sono agghiaccianti: un ragazzo ridotto a un pupazzo inanimato, che non si ribella, “ha solo un debole, lungo spasimo”. Forse pensava solo che era finita, dopo tre anni era finita.


Sono stati condannati in più di cinquanta per il delitto forse più lurido, più infame, più atroce nella storia senza gloria della mafia, ma la memoria del giovane Giuseppe non passa: e per fortuna. Non è come dice il padre, che “i mafiosi hanno perso e mio figlio ha vinto”, qui hanno perso tutti e più di tutti un ragazzo che smette di vivere a 12 anni e muore a 15. Del suo sacrificio di innocente si sono nutriti film, serie televisive, fumetti, opere teatrali e le bocche di tanti che ne hanno parlato, scritto, che ancora raccontano. Ma chissà se la verità è tutta lì, come è stata ricostruita nei Palazzacci, chi lo sa. Di sicuro insieme a Giuseppe di Matteo ha perso anche la Storia, che nel suo caso non è stata maestra di niente, non ha insegnato niente: omicidi, crudeltà, affari sporchi sono continuati come e peggio di prima, le mafie, come si dice, si saranno pure evolute, adattate, saranno diventate rispettabili, ma alla fine ti accorgi che è sempre la stessa faccenda: anche prima, anche cinquanta e cento anni fa il crimine organizzato era considerato rispettabile, avvolgeva le istituzioni, orientava gli appalti, dirigeva i flussi dei soldi, controllava uomini del pensiero e delle informazioni, acquisiva alberghi e intraprese commerciali e nel suo male omeopatico diventava indistinguibile dal resto della società. O forse era la società a farsi sempre più mafiosa e stava bene a tutti.


Venticinque anni dopo, siamo qua a parlare ancora del destino del giovane di Matteo. Perché non abbiamo mai fatto i conti a sufficienza e mai potremo farli. Perché la sua fotografia di signorino a cavallo, vestito da fantino, non smette di straziarci. Perché il trauma resiste, e per fortuna. Perché niente ci consola davvero del suo fato senza speranza. Ma una questione rimane aperta. Perché dopo 25 anni di ricorrenze, di commemorazioni, di liturgie nessuno ha ancora pensato di fare beato questo ragazzo che ha sofferto un inferno impossibile da spiegare e che nessuno può conoscere fino in fondo? Giuseppe di Matteo, morto a 15 anni, sottratto alla vita a 12 anni, è un martire. Una vittima candida di un gioco torbido e disumano. Forse per qualcuno non significherebbe niente, ma per molti cristiani, anche laici, anche distratti sarebbe importante. Giuseppe di Matteo è di certo in braccio al Padreterno, per l’eternità ma sarebbe giusto che anche su questa disgraziata terra si sapesse, si stabilisse. Una volta e per sempre.