Natale In Casa Cupiello, Edoardo De Angelis schiacciato dalla pesante eredità di De Filippo

Una rilettura troppo rispettosa del classico di Eduardo, in cui non c’è traccia di cinema e nemmeno di vero teatro. Tra gli attori il più generoso è proprio il non napoletano Castellitto

Natale In Casa Cupiello

Foto di Gianni Fiorito.


INTERAZIONI: 1700

Premessa alla recensione di Natale in Casa Cupiello: Edoardo De Angelis aveva tutto il diritto di rimettere in scena il capolavoro eduardiano (altre due sue regie seguiranno, la prima, già annunciata, è Non Ti pago). L’unica cosa di cui De Filippo non ha bisogno è la museificazione. Le sue opere non stanno lì per essere idolatrate ma per essere rilette, ridiscusse, rimesse in scena, anche stravolte (pensiamo solo alla geniale scrittura scenica dell’Ha Da Passà ’A Nuttata di Leo De Berardinis, che nel riassemblaggio-reinvenzione di brani eduardiani fa risaltare ancor di più la grandezza di De Filippo).

Meno che mai i lavori di Eduardo dovrebbero restare intoccati per rispetto all’inarrivabile De Filippo attore, perché il sottinteso di questa devozione religiosa al magistero dell’interprete è, stringi stringi, che l’attore valga più dell’autore. Questo costituirebbe lo smacco più grande per un artista che ha lottato tutta la vita affinché fossero riconosciute pure le sue doti di drammaturgo. Ormai le commedie di De Filippo vanno considerate per quello che sono, classici del Novecento a disposizione di registi, autori, attori che ne faranno, per il bene di quelle opere, ciò che meglio credono.

In verità una perplessità la nutrivo pure io. Non il Luca Cupiello non napoletano di Sergio Castellitto, altra noiosa questione, che non attiene al mestiere del critico e dello spettatore ma a quello, semmai, dei maestri di dizione. L’interrogativo per me era se il cinema corposo e marcato di De Angelis sarebbe riuscito a restituire le sottigliezze, la rarefazione allusiva di un dramma la cui forza è nei silenzi, nelle sospensioni, in quei dettagli in cui la vita, come rilevava un critico d’eccezione quale Cesare Garboli, “ammicca e ribolle imprevista non nei fatti, ma nelle pause, non alla superficie ma nel profondo, nascosta nella vacanza e nell’intervallo”.

Per quei due spettatori che non conoscano la trama, Natale In Casa Cupiello è la storia di un capofamiglia che capofamiglia non è, il mite e ingenuo Luca Cupiello (Castellitto). I figli li ha tirati su la moglie Concetta (Marina Confalone), col maschio Tommasino (Adriano Pantaleo) ragazzone malcresciuto sempre in rotta col padre, la femmina Ninuccia (Pina Turco) malmaritata col ricco Nicola (Antonio Milo), che non ama e tradisce con Vittorio (Alessio Lapice). La tresca viene scoperta durante il pranzo di Natale, causando una tragedia di cui Luca – perso nella costruzione del presepe, immagine utopica d’un mondo più accomodante della realtà – s’avvede solo quando è troppo tardi.

Il gelo materiale e simbolico in cui è avvolto l’inizio di Natale In casa Cupiello diventa una soffice nevicata. De Angelis ambienta la vicenda in un impalpabile 1950, le cui tracce dovrebbero essere in una superflua presenza di “segnorine” di facili costumi e militari americani di colore. La macchina da presa in piano sequenza ci introduce dall’esterno verso l’interno di casa Cupiello, quelle modeste camere ammobiliate dalle quali, a parte un altro paio di deviazioni inessenziali, il film non uscirà più.

De Angelis e Castellitto sul set. Foto di Elio Di Pace

La storia è seguita così fedelmente che si fa fatica a cogliere il profilo di una rilettura davvero personale. De Angelis cerca di dare un tratto più definito al microcosmo familiare dei Cupiello. Le insoddisfazioni di Concetta non si sciolgono nella ripetuta, quasi recitata lamentazione circa l’inettitudine del marito. Infatti tra i pochi brani della commedia espunti c’è il suo dialogo con don Raffaele, il quale sottintende che il vero uomo di casa è lei. In sostituzione c’è una scena in cui Concetta balla da sola, esplicitando i suoi languori e le insoddisfazioni di donna – nel frattempo beve, cosa di cui Luca si lamenta. Anche Ninuccia e Tommasino, che effettivamente nella commedia paiono quasi estranei, nella versione di De Angelis manifestano piccoli istanti di intimità, una carezza, uno scambio di sigaretta nel momento in cui la tragedia è ormai deflagrata.

In questo Natale In Casa Cupiello però manca la sostanza tragicomica che è elemento portante della commedia. Come ha scritto lo storico del teatro Ferdinando Taviani riferendosi all’intera opera di Eduardo: “Storie drammatiche o crepuscolari, tetre o disperate, potevano senza alcun senso del contrasto svilupparsi nel liquido amniotico d’una comicità che prima ancora di una scelta stilistica era un’identità di quel teatro”. Purtroppo nessuno degli attori coinvolti, tantomeno il tutto sommato generoso Castellitto, sa muoversi su questo registro.

Da sinistra, Toni Laudadio, Marina Confalone, Adriano Pantaleo e Castellitto. Foto di Gianni Fiorito.

Non è un caso quindi che venga eliminato un altro episodio, quello in cui, parlando con Vittorio, Luca Cupiello incespica continuamente quando cerca di dire “ci riuniamo”, volendosi riferire alle festività dei Cupiello passate insieme al genero Nicolino (“Quando viene Pasqua, natale, queste feste ricordevoli… Capodanno… allora ci rinuriamo, ci nuriniamo, ci uriniriamo. Insomma, voglio dire, mia figlia non abita con noi“). Qui l’effetto buffo dell’ignorante che non sa esprimersi in italiano coincide con il dramma di una famiglia spezzata, disgregata al punto che nemmeno a parole si riesce a fingerne l’unita. È un lapsus da cui emerge l’inconsapevole consapevolezza di Luca circa il destino funesto che attende il suo focolare domestico, espresso in un brano insieme comico e tragico, fondamentale per cogliere il senso della commedia, ma lontano dalle corde di questi interpreti e di questo regista.

De Angelis sopperisce a tratti con la musica, curata da Enzo Avitabile. Come nel Quizás, Quizás, Quizás, che fa subito Almodóvar, alzando la temperatura mélo dell’incontro tra Ninuccia e Vittorio che precede l’esplosione del dramma. E poi il Vissi D’Arte Vissi D’Amore pucciniano che gli permette di mascherare la cesura teatrale tra secondo e terzo atto. Terzo atto nel quale i dolenti nodi vengono al pettine, mostrando la fragilità di questo Natale In Casa Cupiello di De Angelis. Senza le faticose afasie del Luca Cupiello di Eduardo, la vicenda invece di tendere all’astrazione metafisica s’incaglia nel tono lacrimevole di un finale con un protagonista in punto di morte.

Lo stile recitativo irripetibile di De Filippo ha sempre riscattato la sua drammaturgia dalle secche – rischio sempre incombente – del naturalismo e del patetismo. Ma qui da un lato Castellitto non possiede lo sgomento eduardiano del personaggio disfatto dagli eventi, dalla crudezza della realtà. Dall’altro il regista, con un discutibile raccordo di montaggio, collega la figura di Luca moribondo al bambinello del presepe, con un accostamento a effetto, pesantemente didascalico. Così, in conclusione, il Natale In casa Cupiello di Edoardo De Angelis non sceglie, non decide, restando nel guado di una messinscena timida, ingessata, rispettosa, quasi didattica, in cui non c’è traccia di cinema e nemmeno di vero teatro, quello di un regista che sappia scavare nel testo per metterne in luce sedimenti nascosti.