Ne scrivevo giorni fa su Facebook, è evidente come l’uomo, posto in una condizione di estremo stress, costantemente sotto pressione, regredisca a uno stadio quasi larvale, annullando nel giro di pochi mesi secoli di progresso, di conoscenze date per acquisite, di certezze che non davamo neanche per consolidate, ma inattaccabili, quasi dei dogmi. Chiaramente tutto questo, su Facebook, lo riassumevo in un paio di frasi anche mezze sgrammaticate, perché il contesto tende a richiedere una lingua consona, vai a Londra e parli inglese.
Sta di fatto che, manco fossimo davvero afflitti dalla peste, di colpo siamo stati proiettati in una sorta di nuovo medioevo (nuovo medioevo è una cosa che non si può sentire, lo so, ma non ho trovato un’altra formula altrettanto efficace, perdonatemi, sono sotto stress pure io), come se di colpo fossimo tornati in un’epoca fatta di credenze agghiaccianti, di inquisitori senza nessun senso della pietà, di streghe e stregoni, le prime pronte da ardere, i secondi sempre temuti, di scontri violenti, morti evitabili date invece per ineluttabili, di decadenza dell’impero senza all’orizzonte un nuovo Rinascimento capace di farci rialzare il capo a suon di bellezza. E se allora, spinti appunto da stregoni e fattucchiere, cominciò a spargersi la voce che l’anno Mille sarebbe coinciso con la fine del mondo, l’apocalisse, l’azzeramento di quella che era la storia dell’uomo, per altro credenza rinverdita un millennio dopo, tra miti dei Maya e Millennium Bug vari, ora siamo tutti qui, chi più chi meno, a guardare con un misto di ansia e di speranza alla notte del 31 dicembre, come se di colpo esserci lasciati alle spalle questo mefitico 2020 coincidesse, miracolosamente, per un nuovo inizio, o quantomeno per la fine di un supplizio che, a ben vedere, si è protratto per tutto l’anno, dagli incedi australiani in poi.
Sempre sui social, che in questa oscura epoca di reclusioni più o meno coatte sono la nostra unica finestra reale sul mondo, reale, si badi bene, non virtuale, e sicuramente non virtuosa, è tutto un continuo ripetere, da mesi, in realtà, “non vedo l’ora che arrivi Capodanno per lasciarci tutto questo alle spalle”, con tanto di count down, come i carcerati che segnano le settimane barrando i sette segni verticali dei giorni con un taglio orizzontale. I simboli sono simboli, del resto, non lo scopro certo io adesso, e il passaggio da un anno al successivo è a pieno titolo un simbolo, un voler indicare una cesura lungo un continuum, come mettere un confine marcato in nero su una mappa.
Non per fare davvero l’apocalittico, ruolo che mi sono conquistato quando l’impero mostrava ancora tutti i suoi fasti, unico a vestire di nero brandendo tizzoni infuocati laddove gli altri se ne stavano in tuniche alla John Belushi di Animal House, mangiando uva rossa e bevendo liquori di alta gradazione, ma io tutta questa certezza che il primo gennaio di colpo ci riproietti in un passato talmente passato da aver perso addirittura le sfumature dei ricordi, chi di voi, per dire, saprebbe dirmi a occhio quando di colpo i colori delle regioni hanno occupato militarmente la nostra comunicazione, o tornando indietro, da quando si è passati dalla ricerca spasmodica di Amuchina e lievito di birra all’identificare l’incarnazione del male assoluto in Gustavo Thoeni?
Come alla fine dell’anno 999, in effetti, sopraggiunse il primo gennaio dell’anno 1000, e via via fino a noi, qualcuno pensava non avremmo superato i 21 dicembre del 2012, non dimentichiamolo, così, temo, al 31 dicembre 2020 seguirà un primo gennaio 2021, munito del medesimo terrificante scenario. Scenario che per altro, come gli omini orrorifici dei dipinti di Bosch, vede anche noi, lì, piccoli piccoli e brutti brutti, a seguire quasi con morbosità la conta giornaliera di contagi e morti, a sparare a alzo zero contro chi riteniamo essere parte della fazione opposta alla nostra, siano i negazionisti o i terroristi del Covid, con tutte quelle sequele che ben conosciamo dalla caccia agli untori agli assurdi paragoni coi nonni partigiani che hanno dato la vita per la nostra libertà (gli stessi nonni partigiani che per altro vengono tirati in ballo a sproposito quando uno, io per dire, prova a dire che non votare è un diritto tanto quanto votare, ma è altro discorso).
Ma non è certo di un 2021 di morti e disastri che voglio parlare, come tutti, medievalmente, mi auguro che arrivi una soluzione a tutto questo, fosse anche un miracolo che faccia sparire un virus che, anche qui, ricordiamolo, in molti virologi sostenevano con il tempo si sarebbe indebolito o addirittura sarebbe diventato innocuo. Ah, per la cronaca i virologi dentro le nostre televisioni, in buona parte, sarebbero appartenenti alla categoria degli stregoni, in buona compagnia di intellettuali di varia genia e di cialtroni in cerca di seguito, roba che un tempo sarebbero andati in giro su un carro a vendere intruigli fatti con erbe neanche troppo ricercate spacciandoli per medicine buone.
Non è neanche, in un mondo precedente a questo, un mondo che, appunto, pare lontanissimo, forse neanche realmente vissuto, come in certi libri di fantascienza nei quali i ricordi che pensiamo di avere sono solo frutto di un software che ci regala immagini mai vissute, in un mondo precedente a questo mi occupavo di musica, io, non è neanche che io voglia, pretenda, anche, che si ammetta candidamente che continuare a far finta che nell’estate del 2021 ci saranno tutti i megaeventi i cui biglietti sono stati venduti nel 2019, eventi le cui date sono state già spostate una volta, e che dubito potrebbero essere spostate ancora, di qui il silenzio a riguardo, pena il dover restituire milioni e milioni di euro già incassati da promoter e anche artisti, i quali dovrebbero restituire i famosi anticipi, o almeno quelle parti degli anticipi che non rientrino nella categoria “garantiti”, quelli citati da Fedez, nessuna assicurazione coprirà mai una agenzia sotto pandemia. Figuriamoci il senso di parlare di Sanremo 2021, hanno fatto saltare gli Europei di Calcio, le Olimpiadi, Eurovision, tutto è diventato virtuale, su Zoom, su Team Meeting, ovunque, ma loro fingono che a marzo saremo tutti lì ammassati per le strade di Sanremo, dentro l’Ariston, che è in effetti poco più di un teatrino parrocchiale, in una Sala Stampa che è l’emblema della parola assembramento, nei ristoranti come negli alberghi. Crederci sempre, arrendersi mai, per dirla con Simona Ventura, ma se è quello che qualcuno pensa accadrà, sono disposto a scrivermelo col sangue sulla shiena, come fossi il De Niro di Cape Fear, penso proprio che questo qualcuno sia un povero illuso.
Comunque non è di questo che voglio parlare, ripeto, mi avete costretto subliminalmente a farlo, lo so, l’ho fatto, ma passo oltre. Sto parlando di questo anno orribile, e di quello che ci attende. O meglio di cosa ci attende nell’anno che verrà, e di come noi ci muoviamo sullo sfondo.
Faccio un passo a lato.
Abbiamo letto tutti, giorni fa, la notizia del tipo che dopo aver litigato con la moglie è uscito di casa e per smaltire la rabbia si è messo a camminare. In sé niente di strano. Certo, di questi tempi non si dovrebbe andare in giro se non per motivi di comprovata necessità, ma smaltire la rabbia credo rientri a pieno titolo tra questi. Strano è che il tipo è uscito di casa sua a Como e si è fermato, o meglio, è stato fermato dalle forze dell’ordine, che hanno visto questo individuo che camminava solo nella notte, a Fano, nelle Marche, oltre quattrocento chilometri più a sud di dove era partito.
Una storia assurda, di quelle su cui poi magari qualcuno fa un film, magari i fratelli Coen, certo aggiungendo dettagli, immagino una ricostruzione del passato dei due, il tipo e sua moglie, magari qualche tocco di colore per rendere il tutto interessante.
Una storia assurda che però, in piena pandemia, sembra un pochino meno strana del solito, perché di casi di gente che ha sbroccato, il tipo che gira nudo per Buenos Aires il cui video ha fatto il giro del mondo ne è un esempio piuttosto elementare, ce n’è stata davvero tanta, e chissà quanta altra ancora ce ne sarà. Del resto, di questo credo si stia discutendo decisamente troppo poco, per ora, essere sotto pressione per un periodo così lungo di tempo, e esserlo costantemente, in massa, certo, ma la faccenda del mal comune che è mezzo gaudio l’ha inventata qualcuno che stava bene e voleva tenere buone le masse, è chiaro, ha creato un clima di tensione spropositato, cui va aggiunta la disperazione dovuta sia all’incertezza per il futuro prossimo che alla paura per un virus sconosciuto, oltre che la depressione dovuta al veder sgretolare una dietro le altre tutte le cose che davamo per acquisite, dall’agio economico a una fede quasi religiosa per la scienza, passando per un’idea estremamente illuminista di progresso.
Un uomo che litiga con la moglie e per sbollire la rabbia arriva a piedi da Como a Fano è una storia strana, buffa, assurda, roba da film dei fratelli Coen.
Un uomo che litiga con la moglie e sbrocca durante una pandemia è una storia agghiacciante, una delle tante che ci fanno sentire ulteriormente in apprensione, perché magari domani potremmo essere noi a sbroccare.
Un altro passo di lato, in altra direzione.
L’altro giorno, a pranzo, e quando se no?, mia figlia Lucia si lamentava, lamenti sacrosanti, del fatto che non sta vedendo amici e il suo ragazzo, anzi, il suo ragazzo e gli amici da oltre un mese. Milano è in zona Arancione e prima era in zona Rossa, non si può uscire dal proprio comune se non per questioni urgenti, e vedere il proprio ragazzo e gli amici non viene considerato tale da un governo che si è completamente dimenticato dei giovani, ok boomer, il suo ragazzo e buona parte dei suoi amici sono dell’hinterland milanese, non li ha più visti, non sa esattamente quando tornerà a vederli, immagino quando Milano diventerà zona gialla.
Giorni fa sembrava che tutta Italia diventasse zona gialla dal 4 dicembre, così non è stato. Che è un po’ come lasciare intravedere un premio a qualcuno, e poi sfilarglielo sotto il naso all’ultimo. Di qui le sue lamentazioni, ripeto, sacrosante. “Promettono promettono e non mantengono,” ha detto, o qualcosa del genere. Come darle torto? Poi però ha detto una frase che, lo giuro, mi ha stretto il cuore, non fossi la bestia che fingo di essere direi che mi ha commosso, io che sono una sorta di incarnazione vivente dello spirito di Mario Brega in Borotalco, quello del monologo delle olivette greche, quello che chiedeva a un Carlo Verdone piuttosto impacciato, nei panni del suo futuro genero: “se non so’ troppo indiscreto, se po’ sape’ che cazzo voi da mi’ fija?”, per poi procedere col racconto della famosa passeggiata in Via Vittorio Veneto, se non conoscete questo passaggio di quel capolavoro di film, recuperatelo, fatelo per voi.
Lucia ha detto una frase che mi ha tagliato il cuore a pezzetti fini fini, tipo julienne. Non la riporto tra virgolette, perché ovviamente non la ricordo a memoria, ma il concetto è semplice, questo: quando finalmente mi potrò rivedere con Luca, questo il nome del suo ragazzo, non avremo neanche un posto dove andare, è tutto chiuso. Niente cinema, niente musei, niente locali, niente di niente. Nessuno osi fare ironie sul fatto che abbia citato i musei, mia figlia è usa andarci spesso, e ci mancherebbe pure altro.
Nessuno pensa a loro, ho constato.
Nessuno tra quanti dovrebbe avere a cura i giovani. Perché, lo ripeto spesso, seppur poi io venga confuso con una sorta di vecchio trombone che ama i vecchi e odia i ragazzini, abbiamo creato questa ennesima falsa credenza, ben prima del Covid, per altro, che vuole che il futuro sia dei ragazzi, ma a pensarci con attenzione, e io che ho quattro figli ci penso con attenzione tutti i giorni, non è il futuro a essere dei ragazzi, ma il presente. Senza se e senza ma. Un presente dove invece, siamo in un nuovo medioevo, torno al punto di partenza, la gioventù non esiste, non è rilevante. Un po’ come se a dirigere questo film dell’orrore avessero chiamato il governatore della Liguria Giovanni Toti, lì a giudicare l’importanza della gente per la loro produttività. Giovani e vecchi non contano, non producono, al limite consumano, ma sicuramente non producono. Normale che i giovani poi sbarellino, anche se nel farlo sono spesso meno creativi dei mariti comaschi, non finiscono nelle cronache dei giornali, o nei colonnini di destra dei siti.
Si limitano a deprimersi o a soffrire proprio di depressione. Non escono dalle proprie camerette, se non per mangiare, e anche qui lo fanno in maniera disordinata, vedo in casa mia, o mangiano come cinghiali o spiluccano come pulcini, questa forma strisciante di disperazione che dilata o stringe lo stomaco. Comunicano coi propri coetanei attraverso di social, ma a lungo andare rischiano di pensare che sia la sola via percorribile, negandosi, ma in fondo non lo stanno certo facendo da soli, quella che a ben vedere è l’età più bella, quella della spensieratezza, della vita presa a morsi.
Sicuramente avrete faticato a arrivare fin qui, perché ho costellato queste mie parole di asperità, ho deviato continuamente andatura e percorso, ho confuso il panorama, non lasciando mai intender dove intendevo andare a parare. Le parole servono anche a questo, ovviamente, a simulare uno stato d’animo, il mio, e credo non solo il mio, a mettere in scena certi tic che, temo, la clausura e questo stress ci sta rendendo sempre più familiari. Scrivere può essere anche un modo per non incamminarsi dopo cena a fare due passi per sbollire la rabbia, anche se io, arrivato a Fano, saprei anche a che porte andare a suonare, quella è la mia terra.
Solo che, in uno scenario medievale o neomedievale, con l’apocalisse che incombe e gli adulti che sbroccano, mi piacerebbe tanto poter vedere all’orizzonte un personaggio capace come Re Artù, anzi, Artù che ancora Re non è, di sfilare la Excalibur dalla roccia e prendere la situazione in pugno, o se non a Excalibur almeno una Durlindana. Vorrei, in parole povere, avere per le mani il nome di un giovane o una giovane che dimostrino come, in effetti, quanto su detto sia un dato di fatto accertato e certificato, il presente è loro.
Quel nome non ce l’ho. E Dio solo sa quanto l’ho cercato. Non solo nell’ambito a me consono del cantautorato e del pop d’autore, ma anche nel rock, hai voglia a parlare di nuovo umanesimo e di chitarre tornate centralissime tra i più giovani, come nel forse più naturale mondo urban, tra rap e quella cosa che a me risulta davvero inascoltabile che si chiama trap. Non vedo all’orizzonte il nome che cerco, ma sono certo, in fondo da padre di quattro figli non posso che essere ottimista, per decreto regio, che sarete voi lettori a farmelo.
Non venite però a citarmi le Billie Eilish o i Greta Van Fleet di turno, quelli li conosco già e non è certo di loro che stavo parlando.