Preferisco un Ferro spregiudicato a un Ferro piagnone

Perché se non ci fosse stato Ferro, di Tiziano Ferro, non ne avremmo sentito la mancanza


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La vita è difficile. Lo è sempre stata, ma in questi ultimi mesi, converrete, lo è un po’ di più.

Siamo tutti più fragili, non tanto fisicamente, mi auguro, quanto psicologicamente. Viviamo costantemente sotto pressione, e in cattività, e il mix tra queste due condizioni è di quelli mortali, o almeno di quelli che ti stendono.

Ci si commuove con poco, parlo per me, certo, ma credo di poter ampliare il discorso anche a altri. Ci si innervosisce con anche meno.

Ma soprattutto ci si commuove. Guardi una serie tv, anche di quelle tutte superpoteri e botte da orbi, e ti ritrovi con gli occhi lucidi per un passaggio che, in condizioni normali, non ti avrebbe neanche smosso uno sbadiglio. Ascolti musica discutibile e ti fa lo stesso effetto, non dico che ti si inumidiscono gli occhi per Superclassico di Ernia, per essere chiari, lì più che altro ti cascano le palle a terra, ma hai un grado di sensibilità molto più alto del solito, le difese abbassate, sei sostanzialmente indifeso di fronte al mondo che ti circonda, e che non ti vuole bene.

Io almeno sono così. E ho commesso un errore. Fatale.

Seppur da anni io lo ritenga un artista, perché indubbiamente è tale o tale è stato, che non ha più nulla da dire ho deciso di guardare su Amazon Prime il documentario dal titolo Ferro, che come si può ben intuire parla appunto di Tiziano Ferro. Un documentario uscito in concomitanza con l’uscita del suo nuovo album, una raccolta di cover anticipato, ahinoi, da Perdere L’Amore, con Massimo Ranieri, già presentata a Sanremo e poi parte dell’orrido progetto I Love My Radio, e poi da altri due singoli, Rimmel di De Gregori, da lui interpretata come fosse una sorta di We Will Rock You senza però un cazzo per cui star lì a battere sui tamburi, e da E Ti Vengo A Cercare, cover del maestro Battiato che canna totalmente il senso della canzone, qui sembra si stia parlando di qualcuno, mentre temo che Battiato e Sgalambro parlassero del senso della vita, e di Dio. Certo il video nel quale lui, tra un sorriso a cazzo e uno sguardo commosso, se ne va in giro su una Cadillac lungo dei Boulevard fittizi non aiuta, perché io Dio, sarò fatto male, ma non è proprio lì che lo andrei a cercare.

Ho comunque deciso di non ascoltare il resto dell’album, proprio perché già la vita è una merda di questi tempi, non ho bisogno che Ferro ci si accanisca su, ma ho commesso l’errore fatale di vedermi il suo documentario. Sono chiuso in casa, vivo a Milano e prendo piuttosto seriamente i DPCM, quando quotidianamente li aggiornano, tra un libro e l’altro sto depredando il catalogo di Netflix e di Amazon Prime, l’ho preferito a Utopia e ho fatto una cazzata tremenda, chiedo scusa a me stesso.

Perché Ferro di Tiziano Ferro è, per dirla con l’altro maestro, Paolo Villaggio, una cagata pazzesca. Inizia con una riunione degli alcolisti anonimi, già Ferro aveva spoilerato il suo essere stato alcolista in una intervista a Sette, una scena talmente telefonata che uno avrebbe potuto tranquillamente skipparla senza perdersi nulla, anzi, uno avrebbe dovuto skipparla, per non farsi male, ma lo stare a casa spinge all’apatia, e così non sono andato avanti, ho visto l’intro, e ho visto il resto. Una sorta di patinatissima, compiaciuta, piaciona carrellata delle sfighe del mondo che Tiziano Ferro si è trovato a vivere sulla sua pelle, alternato a riflessioni recitate con la voce profonda che gli riconosciamo, tutto patinato, tutto finto, tutto sentimentale più che emozionante o emozionato, una grande promozione del Ferro popstar fragile che, in quanto promozione, nulla ha di vero.

Mi spiego. Non so se Tiziano Ferro sia stato bulimico, sicuramente era sovrappeso, lo si vede nel documentario da giovane, parecchi chili di troppo, non so se sia stato bullizzato, non so se sia stato in difficoltà per il non aver ancora accettato il se stesso omosessuale o per il non essere accettato dal sistema musica come omosessuale, non so se ha davvero desiderio di paternità, non so se sia stato alcolizzato, non so se gli sia davvero dispiaciuto così tanto perché gli è morto il cane, non so nulla, e sinceramente non vedo perché dovrei saperlo, ma dalla visione di questo documentario so che se anche tutto quel che ci ha raccontato rispettivamente all’uscita dei suoi libri, dei suoi singoli o dei suoi album, non c’è volta, da anni, che Tiziano Ferro non utilizzi uno scoop, spesso piagnone, per promuovere i suoi prodotti, fosse vero, beh, il raccontarlo in quel modo così affettato, così finto, così patinato, sicuramente non aiuta a empatizzare con lui, anzi. Non che io sia dell’idea che l’artista debba essere come Madonna, che neanche guarda in faccia i suoi intervistatori, inarrivabile, potentissimo anche nel momento in cui annulla tutte le date del suo tour perché a ogni tappa cade e si fa male. Non che sia neanche dell’idea che debba essere come Bob Dylan, uno che vince il Nobel e neanche risponde per un mese all’Accademia di Stoccolma, che li bullizza, che fa togliere dalla propria biografia l’aver vinto quel premio così ambito, lui è Dylan, è più importante del Nobel, insomma, uno psicolabile che fatica a confrontarsi col mondo. Né, e poi giuro che chiudo con gli esempi, io ritengo che l’artista debba essere uno che si droga, scopa con le o i groupies, tratta male i suoi collaboratori, vive solo in attici strepitosi e distrugge le camere degli Hotel a Cinque stelle deluxe nelle quali si trova a transitare, magari con le pareti pitturate di lilla, come un Keith Jarrett non necessariamente dotato dello stesso talento. Ma credo che vedere una popstar costantemente a frignare, a dirci quanto è stata dura la sua vita, a mettere in fila una dietro l’altra tutte le sfighe del mondo, spesso anche in maniera non proprio credibilissima, ma magari è colpa degli sceneggiatori, intendiamoci, mi cascano davvero le palle dal settimo piano dal quale vi sto scrivendo, lì sfrante in strada, e fortuna che c’è il semi lock down e non passava nessuno, perché anche le palle, da così in alto, potrebbero fare danni.

La star fragile ha rotto il cazzo.

Questo penso.

Va bene se la sua fragilità finisce dentro le canzoni, purché siano canzoni abbastanza belle da contenerla, la fragilità, ma a noi che l’artista sia fragile, che abbia sofferto, onestamente, non ce ne frega niente. E non uso il plurale, come mia usanza, per tirarvi forzatamente dalla mia parte, ma perché è un dato oggettivo, sapere che una star ha sofferto non azzera la distanza tra noi e lui, semplicemente ci ammorba, appesantisce la nostra esistenza già abbastanza appesantita da tutto. Preferire sapere che Ferro sta lì, sfondato di soldi, a tirare bottiglie di vodka nel giardino dei vicini, piuttosto che vederlo che piagnucola contro il bullismo, rivendicando che le parole hanno un peso, sacrosanto, ma senza considerare che anche le sue ce l’hanno, e nello specifico non hanno un peso penale, ma un peso proprio nel senso che sono un accollo, una gravità della quale non avevamo necessità alcuna. L’artista è artista per quel che produce quando crea, non per quel che ci racconta guardando compiaciuto in camera. Non è un caso che le biografie dei cantanti non le scrivano quasi mai loro, che dei più grandi artisti, a ben vedere, non si sa mai un cazzo, perché spesso, quando si raccontano, si incrina lo specchio, scopri che di colpo quelli che avevi mitizzato sono delle merde esattamente come noi, né più né meno.

Ma se proprio uno poi non riesce a tenersi, e deve farci sapere a tutti i costi che è uguale a noi, che ha tanto sofferto, Dio santo tutti soffriamo, ma non è che stiamo lì a farci i documentari, sarebbe carino che non lo facesse sempre e solo quando ha qualcosa da venderci, specie qualcosa che, nel tempo, ha decisamente perso di smalto e che quindi sembra necessitare dello scoop sensazionalistico per sviare l’attenzione nei confronti della pochezza artistica.

Come posso prendere sul serio uno che di punto in bianco mi dice che è stato alcolista, problema serissimo da affrontare, che può anche servire per spingere chi soffre del medesimo problema a chiedere aiuto, se mentre lo fai stai lì a dirci che sta per uscire una tua raccolta di cover?

O come posso credere che stai piangendo sinceramente per la morte di un cane adottato se lo fai nel momento in cui stai per dare alle stampe un singolo?

Lo so, sono una brutta persona, ma a parte tenermelo per me, tendo a guardare con diffidenza chi fa un uso così pubblico della propria vita privata, a orologeria. Discorso che ovviamente non riguarda solo Ferro, ci mancherebbe altro, ma che con Ferro esplode ogni volta, perché non succede mai che esca un suo prodotto senza che esca anche uno scoop. Uno dirà, grazie al cazzo, le interviste si fanno quando sei in promozione. Vero, ma magari se hai messaggi forti da dare, visto che non sei il panettiere sotto casa ma una popstar, potresti svincolarle dalla promozione. Sensibilizzare a chiedere aiuto se sei alcolista funzionerebbe anche senza album da promuovere, anzi, funzionerebbe decisamente di più. E avrebbe funzionato di più se non fosse stato impacchettato in maniera così plasticosa, finta, preconfezionata.

Sono insensibile nel dire questo? Può darsi, non è la mia sensibilità che devo mettere in campo mentre scrivo. Il fatto è, uscendo dalla storia Ferro, che non ho nessuna stima di chi racconta che ha avuto una malattia, se lo fa quando sta per uscire un suo album, ne ho anche meno se ci dice che ne è uscita quando sta per uscire un suo singolo. Perché la cosa suona falsa, anche se vera. Suona paracula. Quando anni fa ho scritto che Emma, è di lei che sto parlando ora, è evidente, aveva funzionato quando era caduta, al tempo delle corna del suo fidanzato con Belen, e che funzionava meno quando era spavalda e arrogante, in qualche modo ci stavo beccando eccome, infatti è stata la malattia, quindi la caduta, a averla riportata in qualche modo al centro di una narrazione che ha funzionato, ma usare una malattia per far funzionare una narrazione, io la vedo così, è una caduta di stile. Non nel caso di Emma, perché la parola stile è decisamente fuoriluogo quando si parla di lei, stavo facendo un discorso in generale.

Ferro è diventato una patetica macchietta, spiace dirlo. Uno che a cadenza biennale, come da contratto discografico, tira fuori un suo problema. Talmente scandita, questa faccenda, da rendere totalmente nulla la potenza della veridicità di quel che sta raccontando. Vero o non vero risulta fastidioso. Risulta fastidioso e, il suo essere piagnone, compiaciutamente piagnone, risulta ancora più fastidioso, almeno in questo Emma è più grezzamente diretta, non ci costruisce su quei teatrini.

Io non bevo, se non raramente e quando le circostanze mi inducono a farlo, quando cioè il mio non bere neanche una birra sembra un atteggiamento spocchioso, di chi non vuole condividere un momento conviviale. Non mi drogo, mai fatto neanche una canna. Non fosse che è Jovanotti mi verrebbe da dire che condivido in pieno il pensiero di Jovanotti, appunto, che sostiene che ogni grammo della sua adrenalina vale più di qualsiasi droga, parafraso. Non bevo e non mi drogo perché non ne sento la necessità, e ho una educazione cattolica che in qualche modo mi ha sempre fatto guardare allo sballo con una dose di senso di colpa supplettivo, quasi fosse qualcosa dalla quale non mi sarei salvato. Ma a vedere lui che sta lì a dire, sono Tiziano Ferro e sono un alcolista, mi viene voglia di andare a passare una serata fuori con Keith Richards, magari pippandosi le ceneri del padre appena morto, e Shawn Mc Gowan, a sputare pezzi di denti marci sotto il tavolo di un pub. Mi viene da rivalutare i Mötley Crüe che si facevano di tutto, droghe e alcool, e passavano da una groupie all’altra, cavoli, il rock’n’roll, gli eccessi, gli stravizi.

Il fatto è, temo, che lo spirito piagnone di programmi come quelli della cosiddetta televisione del dolore, ma anche nella versione più tamarra come C’è Posta per Te della De Filippi, ci abbiano fottuto il cervello. Anche i talent, del resto, stanno provando in tutti i modi a giocare sui casi umani, come se non ne avessimo già abbastanza a portata di mano, di casi umani, magari addirittura non fossimo noi dei casi umani.

La cosa che mi fa sorridere, ma sempre perché sono una brutta persona, è che uno dei momenti professionalmente più difficili di Ferro è avvenuto da Fazio, quello stesso Fazio che sempre si presta a fare da grancassa agli scoop di Ferro e di chiunque altro sia sufficientemente mainstream da rientrare in una sorta di galleria degli orrori a beneficio dell’Auditel e di una narrazione dell’Italia tutta plastificata, omologata e omogenea, stucchevolmente innocua. Era tanti anni fa, e Fazio ha chiesto a Ferro, che all’epoca viveva in Messico, come fossero le donne messicane. Ferro, che ancora non aveva fatto coming out, il libro che avrebbe contenuto quello che era il classico segreto di Pulcinella sarebbe arrivato anni dopo, disse che le donne italiane erano più belle, perché le messicane avevano i baffi, vado a memoria. Una battuta che voleva celare una eterosessualità di facciata e che, anche lì, rientrava in una narrazione fintissima, come se le donne italiane avessero poi comprato i dischi di Ferro non per le canzoni, ancora belle all’epoca, ma per i complimenti rivolti a loro in tv. Il risultato è stato però che le donne messicane, e anche gli uomini messicani, e più in generale sudamericani, si sono incazzati, di brutto. Hanno messo Ferro al bando, e all’epoca Ferro lì vendeva. Lo hanno identificato per quel che in quel frangente era, un italiano che prendeva per il culo esteticamente le donne messicane. Lo hanno identificato come il male, evidentemente i messicani portano rancore, gioco a fare il Ferro che procede per stereotipi. Lui ha dovuto chiedere scusa, duettare non ricordo con chi per chiedere scusa, è andato in un programma tv di un certo prestigio a farsi la ceretta, per chiedere scusa. Ma a nulla è valso. Durante la testa dei morti, avete visto Coco, non fatemi star qui a spiegare di cosa parlo, hanno costruito un enorme pupazzo con le sue fattezze e gli hanno dato fuoco, come se lui fosse il male. Il tutto per aver voluto fare una battuta piaciona, poco credibile. All’epoca io, come tutti gli addetti ai lavori, ma non solo, sapevamo che Ferro fosse gay, ma io credevo, lo credo tutt’ora, fossero cazzi suoi, non certo miei che scrivevo e scrivo di musica.

Vi racconto un aneddoto, non è inedito, se lo conoscete già potete smettere di leggere ora. Credo di essere stato uno dei primi a scrivere di Ferro, ai tempi di Xdono. Ero una delle firme di punta di Tutto Musica, rivista regina del mercato delle riviste musicali, parlo di vendite. Era settembre, inizio settembre. Poco prima di partire da Ancona, le vacanze stavano finendo, ho fatto una cena con un amico gay di lì. Con lui c’erano suoi amici gay di altre parti d’Italia, in città per vacanze. Uno, sapendo che scrivevo di musica, mi ha detto che un suo amico, lasciava intendere fosse un suo ex, stava per pubblicare un singolo per una major. Mi dice il nome. Tiziano Ferro. Sorrido, perché ho già in agenda la data dell’intervista, e per me Ferro era solo un nome, non avevo idea di chi fosse, come tutti. Vado all’intervista e Tiziano si mostra molto abile. Inizia dicendomi che era emozionato di farsi intervistare da me, quello cattivo, lo ero già ai tempi di Tutto Musica. Mi dice di non trattarlo male, che lui è un esordiente. Non lo tratto male. Per dire, so che è gay, ma non me ne frega un cazzo del suo orientamento sessuale, scrivo di musica, non di gossip. Lui questo non lo sa, se legge queste parole lo scoprirà adesso. All’epoca non l’ha saputo, non sono cattivo come mi dipingono. Poi durante l’intervista mi stoppa il registratorino, e mi racconta una cosa riguardo la promozione, e riguardo uno scoop, appunto, che sta per uscire. Non posso raccontarlo, anche è passata una vita, non ho la registrazione. Non è importante. Sono quello cattivo, ma sono anche una brutta persona, ripeto. Scrivo il pezzo, e nello scriverlo racconto tutto, non il contenuto della parte dell’intervista fatta a microfono spento. Quello non potrei farlo. Ma racconto che lui mi ha spento il microfono e mi ha fatto una rivelazione, alla faccia che ero io quello cattivo e lui quello inesperto. Racconto, poi, questo potevo farlo perché era un dato di fatto, che durante il set fotografico, fatto col mio sodale di allora, Luca Del Pia, Tiziano, che indossava un paio di pantaloni di pelle rossi, si è infilato un rotolo di scottex nei pantaloni, perché il rosso sfina troppo. Esce il pezzo, e lui si incazza. Lui però nel frattempo è diventato famoso. Una star internazionale. Il giornale, Tutto Musica, gli offre la copertina. Una mia collega, credo fosse Valeria Rusconi, oggi a Repubblica, lo segue per mezza Europa. Lui la fa girare a vuoto, senza concederle l’intervista. Poi chiede alla mia direttrice, Patrizia Ricci, le scuse ufficiali del giornale, altrimenti non rilascerà l’intervista. Le scuse arrivano. Non da me, ovviamente, dal giornale. Io sono una brutta persona. L’anno successivo, esce Xverso, altro singolo con la X. Il giornale decide, su mia proposta, di affidare il pezzo, l’intervista, a Melissa P, che nel mentre è diventata un caso letterario per il suo 100 Colpi Di Spazzola, libro erotico scritto da una ragazzina. L’idea è mia, e come spesso capita quando c’è un non addetto ai lavori a dover fare un pezzo, vengo incaricato io di scrivere l’intervista. Solo che al momento di accedere nella stanza dove Melissa P deve incontrarlo, io non vengo fatto entrare. Non sono ben accetto. Quindi io resto fuori da una porta chiusa, mentre lui parla con chi poi non scriverà l’intervista, ma si limiterà a firmarla.

Ecco, tra il Ferro bizzoso che si vendica di chi lo ha, ai suoi occhi, bullizzato, e quello che piagnucola dentro il documentario che porta il suo cognome per titolo io, anche perché qualcuno lo ha bullizzzato, non ho dubbi, preferisco decisamente il primo. Meglio stronzo che affiliato a quella che Roberto Hughes ha cristallizzato come La cultura del piagnisteo.

Comunque, lo dico col terrore di leggere prima o poi un contest nel quale si chiede ai partecipanti di proporre quale sarà la prossima tragedia che Ferro ha vissuto da poter utilizzare per il lancio del suo prossimo prodotto, siccome per espiare dalla visione di Ferro mi sono sottoposto a una ennesima maratona a base di Boris, ancora perfetto a distanza di anni, chiuderei proprio con una citazione tratta da quel cult: non ho abbastanza soldi per tutta questa sensibilità, io.