Rimmel di Tiziano Ferro: alla fine del tunnel, le tenebre

Ferro si è perso, da tempo, ma non per questo la deve far pagare a noi; non è che ci serva anche lui che deturpa un bene comune

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Questa è una resa incondizionata.

Quelle che solitamente, nei film di guerra, viene rappresentata con una bandiera bianca, un pezzo di lenzuolo, quel che è, appeso a un bastone che di colpo spunta da dietro una trincea, perché è in una trincea che mi trovo. Gesto al quale, neanche pochi secondi, segue sempre il comparire di due braccia alzate, tremolanti, le braccia di chi appunto si arrende di fronte a un avversario che, è evidente, è molto più forte di lui. La resa, sempre stando a quella narrazione, viene sempre accolta con un silenzio carico di dignità, come se l’ammettere di essere più deboli del proprio nemico sia in qualche modo un gesto eroico.

Questa è una resa incondizionata, ma è una resa differente. Del resto il cinema è finzione, come qualsiasi tipo di narrazione. Sappiamo tutti, la storia è altra cosa, che spesso i nemici, anche quelli che si arrendono, vengono giustiziati sommariamente, un colpo alla nuca, un’impiccagione in piazza, a volte ci si accanisce pure. Siccome non ho intenzione di fare quella fine, capisco le forze in campo ma ho anche un certo amor proprio col quale fare i conti, la mia è una resa che prevede che nel momento in cui i miei nemici si avvicinino, o mi accolgano tra le loro fila, io mi faccia esplodere, come un kamikaze. Se devo proprio morire che almeno sia io a scegliere come, portandomi dietro tutti quanti.

Ora, lo so che parlare di nemici, guerra, trincea e morti in un articolo che andrà a breve a occuparsi di musica è qualcosa che mi resterà attaccato addosso, come la A scarlatta che, cinematograficamente, abbiamo vista cucita sulla gonna di Demi Moore nella trasposizione cinematografica del romanzo di Hawthorne, e se cito questo passaggio invece del romanzo è solo perché mi andava di infilare Demi Moore in un mio pezzo, son fatto così, non state qui a rompere le palle. Uso un linguaggio politicamente scorretto, lo so, come so che usare un linguaggio politicamente scorretto, oggi, è assolutamente sconveniente, perché quell’area di pensiero che un tempo lo avrebbe difeso fino alla morte, area di pensiero nella quale un tempo probabilmente mi sarei riconosciuto anche io, oggi è diventata la sua più strenua oppositrice, libertari e democratici di colpo divenuti bigotti e censori, e anche perché allo stesso tempo sono proprio i censori di un tempo, i fascistelli, i forcaioli, a aver fatto proprie quelle istanze. Solo che a me di quel che succede da quelle parti, e per quelle parti intendo nel comune sentire proprio di chi segue i flussi, frega praticamente zero, e se qualcosa viene considerato disturbante, specie se disturba chi ritengo abbia tradito anche un pensiero che è vicino al mio, non posso che abusare di questo mio diritto di parola, volendo anche forzatamente.

Siamo in guerra. E in una guerra, qualsiasi guerra, ci sono i nemici.

I miei nemici sono coloro che, come chi nei film di Guerre Stellari sono passati al Lato Oscuro della Forza, sfornano con una ostinazione costante, ottusamente costante, musica demmerda.

Ho provato per anni a arginare questa invasione. Contrapponendo come in una sfida a scacchi, a ogni mossa fatta dai cattivi una mossa che riportasse in evidenza il bello, consapevole che in tutti i casi il mio stroncare il brutto avrebbe avuto più evidenza che il mio indicare il bello. Ci sta, il sangue attira sempre più del lindo e pinto, e un fiore che cresce fa meno rumore di un albero che cade, lo potrebbe capire anche Fabio Volo e scriverci su un romanzo. Esce una cagata di Laura Pausini? Ecco che io parlo di Patrizia Laquidara. Biagio Antonacci si incaparbisce a scrivere canzoni post-adolescenziali ora che va per i sessanta? Ecco che dedico uno scritto a Enzo Avitabile. Un colpo su colpo che, lo so, anche in virtù dell’attenzione che la rete mi rivolge per quel mio stroncare i big, i big meritevoli di stroncature, mi ha consentito la libertà di dedicare tanti e tanti scritti a artisti che meriterebbero tutta la nostra attenzione a prescindere. Per non dire della tanta attenzione che ho dedicato a artisti indipendenti, in particolar modo alle cantautrici, il mio progetto Pop Babilonya, appena partito, è lì a testimoniarlo.

Solo che come tutti sono rimasto ferito dal lock down e dalla paura che la pandemia ha generato come un virus altrettanto potente e non meno letale. Ho visto il settore nel quale lavoro, quello musicale, fermarsi, senza tante speranze di ripartire come prima, e nonostante io fossi tra quanti da anni cantavano l’imminente Apocalisse, anzi, nonostante io fossi il solo in Italia a cantare l’imminente Apocalisse, diciamo le cose come stanno, mi sono trovato frastornato nel constatare che in effetti la fine di tutto questo è alle porte del villaggio, gli resta giusto da abbattere le fragili mura di cinta.

Per questo non posso che leggere la sfornata irrefrenabile di canzoni di merda che sono uscite questa estate come un segno divino, la Donna che schiaccia la testa del drago in cielo, i quattro cavalieri, quella roba lì. Troppa musica orribile tutta in una volta. Anche per uno come me, abituato a stroncare pronto poi a contrapporre bellezza, riuscire a arginare il mare di merda che ci stava arrivando addosso è stato impossibile, manco fossi il famoso scoglio battistiano.

Ho evitato di parlarne durante l’estate, poi ho sparato un colpo alla figura, parlando dello scempio di I Love My Radio e dei tormentoni alla Karaoke. Mi ero appellato, povero ingenuo, a una presunta bontà divina, capace di evitarci, almeno per questo funesto anno bisesto, una canzone di Paradiso. Poi è arrivata anche quella, e anche di quella ho parlato. Senza riuscire a arginare il brutto con il bello, come stordito da tanta bruttezza.

Ma siccome sono uno che, quando la gente mi accusa di saper solo parlare male, ci tengo sempre a far notare come in effetti io dedichi molti più articoli al bello di quanti non ne dedichi al brutto, ho subito iniziato a pensare a come reagire, a cosa contrapporre a queste fetenzie. Mi sono messo lì, ho iniziato a pensare a cosa proporre, a che bel progetto dedicare un mio pezzo, a che artista sottoporre alla vostra attenzione, ma come in certi romanzi dickensiani, proprio mentre sembrava che uno spiraglio di luce stesse per trapelare dentro la stanza umida e poco illuminata, ecco che un qualche buontempone ha pensato di farmi un favore sottoponendo al mio ascolto una canzone che, lo confesso, è stato per me la classica goccia che fa traboccare il vaso, il colpo fatale, definitivo.

Pensatemi. Sono qui davanti al mio Pc, tornato a Milano dopo circa un mese e mezzo passato nella mia terra natale, sempre al lavoro, chi come me opera nella comunicazione e nell’editoria difficilmente stacca, ma comunque nella possibilità di andare al mare o a fare una passeggiata in montagna, le Marche offrono tanto, lo dico da marchigiano in esilio, tornato da una settimana che, lo confesso, mi sembra più un lasso di tempo paragonabile a cinque, sei mesi, la stanchezza già sopraggiunta, i volti di parenti e amici che sfumano nei ricordi, l’abbronzatura che sbiadisce, la dieta appena iniziata che sicuramente non contribuisce all’umore. Sono qui intenzionato a scrivere di qualcosa di bellissimo, un raggio di speranza in mezzo a una notte buia, senza luna né stelle, quando aprendo messenger mi trovo davanti il link di un video che accompagna Tiziano Ferro in quella che, giuro, dovrebbe essere una cover di Rimmel, capolavoro del De Gregori che fu.

Ora, partiamo da presupposti che, ormai, lo avrete ascoltato anche voi, lasciano il tempo che trovano. Sulla carta Tiziano Ferro che canta Rimmel di De Gregori è una bomba. Lui ha una voce bella e sa usarla, Rimmel è una canzone che non solo ha superato indenne il corso del tempo, ma dimostra ancora oggi come, quando un artista è in particolare stato di grazia, una canzone possa diventare transgenerazionale, capace di infondere poesia anche in chi non è abituato a prestare troppa attenzione, o per troppo tempo. Metteteci pure che, nel mentre, c’è stata quella cagata di I Love My Radio, dieci cover una più brutta dell’altra, unica eccezione forse proprio la Perdere l’amore di Ferro con Ranieri, seppur Ranieri in quel caso ha dato decisamente la biada al suo più giovane collega, e tutti sappiamo come avere di fianco qualcuno messo peggio di noi ci possa far apparire fighi agli occhi degli astanti, le belle ragazze che viaggiano accompagnate dalle brutte ragazze nei college film americani questo ci hanno insegnato, anche se molto spesso lì sono poi le brutte ragazze a vincere, un colpo di mano ai capelli, sciolti da una improbabile coda, via gli occhiali, e ecco una Charlize Theron laddove prima c’era Gegia, so di essere sgradevole e passibile di accuse di sessismo, ma come su detto, poco mi interessa, qui non può accadere, perché Caruso di Jovanotti è brutta e basta, Mare Mare di Elisa è brutta e basta, La donna cannone della Nannini è brutta e basta, Centro di gravità permanente di Biagio è… beh, ci siamo capiti. Insomma, una bella voce, una bellissima canzone, il paragone con una serie di cover da far rabbrividire Spawn. All’ultimo l’uscita imprevista di Bella d’estate di Mika e Bravi, e tutti già sapevamo che anche Ferro ne avrebbe tirato fuori una versione a breve, cosa potevamo sperare di più?

Ecco, potevamo sperare che, per una volta, Ferro non fosse più l’irriconoscibile tipo che non fa altro che dirci quanto sia felice con suo marito negli ultimi anni, o quello che piange a dirotto sui social perché è morto il suo cane Beau, tutte robe legittime, ci mancherebbe, ma un artista in grado di fare qualcosa di oggettivamente bello. Del marito e del cane, diciamocelo apertamente, ce ne facciamo poco se poi le canzoni diventano esercizi di stile, sterili, e questo è il caso di Rimmel. Perché Rimmel di Ferro, spero che almeno De Gregori abbia già sporto querela, è una cosa inascoltabile, con quella batteria alla We Will Rock You, solo una We Will Rock You senza verve, spompata, quell’apatia interpretativa di chi, evidentemente, non sa più come emozionare, da tempo, l’incapacità di fare propria una canzone che di suo sembrerebbe fornire tutto il kit necessario per essere letta e interpretata bene da un artista di mezza classifica, figuriamoci da un top player. Ferro si è perso, da tempo, ma non per questo la deve far pagare a noi. Già abbiamo parecchi cazzi per conto nostro, non è che ci serva anche lui che deturpa un bene comune.

Per questo ho appeso un lenzuolo logoro a un bastone di scopa, l’ho alzato sopra la trincea, ho alzato le mani e poi, sul più bello, ho deciso che da ora in poi sarà guerra vera, mi farò saltare in aria come un kamikaze. I primi che mi accuseranno di non essere costruttivo saranno i primi a cadere, sappiatelo. Nessuna pietà.

Niente più bello contrapposto al brutto. Non c’è abbastanza bello, è evidente. Quindi solo mazzate su mazzate. Sono sopravvissuto all’acne giovanile e ai calzoni coi risvolti, figuriamoci se cederò prima di essermi portati tutti questi esseri immondi all’inferno con me.