Rosa Pietra Stella, una storia tutta al femminile per un cinema che scommette sulla realtà

Dal 27 agosto esce in sala il film di Marcello Sannino, la vicenda d'una giovane madre che lotta per la sopravvivenza in una Napoli difficile e scostante. Con Ivana Lotito, Ludovica Nasti e Fabrizio Rongione

Rosa Pietra Stella

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Rosa Pietra Stella di Marcello Sannino ricava il titolo da Carmela, la celebre canzone napoletana di Sergio Bruni e Salvatore Palomba. E Carmela è infatti il nome della protagonista (Ivana Lotito, l’Azzurra di Gomorra La Serie), che ha la medesima fierezza caparbia, “di pietra”, della donna al centro della canzone che, come recitano alcuni versi, “chiagne sulo si nisciuno vede / e strille sulo si nisciuno sente”.

Una durezza, la sua, necessaria per arginare un mondo non accogliente, quello, per usare ancora le parole della canzone, del “vico niro”, il vicolo nero e interminabile, una realtà dolente distesa tra Portici e la Napoli brulicante dell’area della stazione (la stessa che raccontava un notevole romanzo di Ermanno Rea, Napoli Ferrovia), coacervo di storie e vite marginali, tra immigrati alla ricerca di un’occasione e gente pronta ad approfittarne.

Anche Carmela cerca confusamente un’occasione, tirando avanti nei traffici con loschi figuri che fanno affari con i permessi di soggiorno per i migranti. Nel frattempo, nell’immaturità dei suoi trent’anni sbandati cerca di crescere la figlia Maria (Ludovica Nasti, Lila bambina ne L’Amica Geniale) con addosso il monito giudicante della madre Anna (Imma Piro), che ha un passato di fallimenti non dissimili dai suoi.

Prodotto da Antonella Di Nocera, Gaetano Di Vaio e Pier Francesco Aiello rispettivamente per Parallelo 41, Bronx Film e Pfa, con Rai Cinema e la collaborazione della Film Commission Regione Campania, Rosa Pietra Stella mantiene un approccio terso e lineare, senza sovrastrutture e simbolismi. Al suo primo lungometraggio di finzione, Sannino fa tesoro della sua esperienza di documentarista, in particolare di un lavoro recente, Porta Capuana, che indaga esattamente quella stessa area cosmopolita e caotica della Napoli dei migranti, una babele di lingue, traffici, commerci, popoli.

Scritto dal regista assieme a Guido Lombardi e Giorgio Caruso, Rosa Pietra Stella mantiene la protagonista sempre al centro dell’inquadratura, pedinata nel suo inesausto inseguire una soluzione che non giunge mai, costruendo il sentito ritratto di una donna tra slanci e smarrimenti e, allo stesso tempo, la fotografia di un ambiente sociale precario e pullulante di vita. In cui, nella durezza del quotidiano, può capitare il miracolo di una persona buona e disinteressata (e, ovviamente, innamorata), l’immigrato algerino Tarek (l’italo-belga Fabrizio Rongione, volto iconico del cinema dei fratelli Dardenne), che dopo vent’anni a Napoli resta uno sradicato e col quale si potrebbe, forse, immaginare un futuro diverso.

La protagonista nella prima inquadratura di Rosa Pietra Stella posa nuda come modella per gli studenti di una scuola d’arte. Sembra mostrare tutto di sé, e invece è l’esatto contrario, perché Carmela resta un enigma, ritratta in sé stessa, nell’ostinazione d’una solitudine sfiduciata. Dalla quale riesce a sottrarla solo lo sguardo interrogativo di Maria, per la quale Carmela deve riuscire a diventare la donna e la madre che non è mai riuscita ad essere, in un racconto che però non concede scorciatoie.

Rongione, Lotito, Nasti e il regista Sannino sul set

Sannino ha il coraggio di non rendere simpatica una protagonista che ispira solidarietà, ma con cui è impossibile identificarsi per la sua fierezza indisponente, né il film traccia fasulle parabole di redenzione. C’è in Carmela il desiderio del cambiamento, sollecitato dalla responsabilità per la figlia, cui però non corrisponde un contesto che agevoli un’autentica trasformazione. Questo risulta evidente dalla descrizione di una Napoli scostante, fatta di scorci e prospettive limitate, una città spenta di colore grigio (così la vedevano Anna Maria Ortese e anche Walter Benjamin), in cui, per citare ancora la canzone di Bruni e Palomba, il “sole passa e se ne fuie”, senza concedere calore e conforto.

Rosa Pietra Stella racconta una parabola frustrante e disillusa, probabilmente senza sbocchi, ma non indugia nel miserabilismo o nel sensazionalismo. La temperatura resta volutamente oggettiva, sorretta da una scrittura calibrata da cui emerge evidente il senso di partecipazione umana per i personaggi che è nello sguardo di Sannino. La regia però evita, come la protagonista Carmela, di sciogliersi in un’emozione esplicita, e il film resta compresso in un riserbo che lascia nello spettatore un sentimento amaro di inquietudine, nell’assenza di una conclusione che regali una risposta chiara e una speranza cui appigliarsi.