Frantic, il film più hitchcockiano di Roman Polański, in bilico tra mélo e thriller

Su Rete 4 alle 21.30 Harrison Ford è il tipico eroe alla Hitchcock, l’uomo qualunque trascinato in un’avventura pericolosa. Ma sotto il film d'azione con intrigo internazionale, c'è un racconto sul desiderio, lo spaesamento, la vertigine. Ottimo Ford

Frantic

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C’è una sequenza di Frantic (1988) in cui più manifesti emergono i debiti di Polański col cinema di Hitchcock. Il dottor Walker (Harrison Ford) è sul tetto spiovente d’un palazzo parigino, sul quale s’è inerpicato insieme a Michelle (Emmanuelle Seigner) per ricuperare una preziosa statuetta. La ragazza scivola, rischia d’inabissarsi nel vuoto, Walker l’afferra, sollevandola a sé. È la stessa dinamica della celebre sequenza del monte Rushmore di Intrigo Internazionale (1959) di Hitchcock, in cui Roger Thornill (Cary Grant) salva la vita a Eva Marie Saint. Solo che in quel caso, nel momento in cui issa la donna, c’è un subitaneo stacco di montaggio e la conclusione di quel movimento si trasforma in Grant che accoglie la donna sulla cuccetta d’un vagone ferroviario riferendosi a lei come la “signora Thornill”.

L’attrazione tra i personaggi nel film di Hitchcock attraverso il cambio di scena si conclude in un finale “rassicurante” con matrimonio (sebbene il regista, per aggirare i divieti della censura aggiunga il finale più impertinente della sua carriera, col treno che s’infila dentro un tunnel, per alludere a quello che il testo non può dire). Quasi trent’anni dopo simili autocensure non sono più necessarie.

Ford e Seigner, in bilico sul desiderio

Polański in Frantic può far chiaramente vedere, lungo la linea dello sguardo che incatena i due personaggi, quanto intenso sia il desiderio reciproco. Il luogo sul quale si trovano, un tetto sommamente insicuro, costituisce una perfetta metafora visiva dello squilibrio, dell’enorme pericolo connaturato all’attrazione. Walker è un uomo sposato, e insieme a Michelle sta disperatamente cercando di ritrovare la moglie, rapita dopo uno scambio di bagagli all’aeroporto, a seguito del quale il medico è entrato fortuitamente in possesso di una valigia che contiene un oggetto che fa gola a un gruppo di terroristi.

Sempre a proposito di Hitchcock, Walker sta vivendo una vertigine multipla (Vertigo è notoriamente il titolo originale de La Donna Che Visse Due Volte). La prima è legata al disorientamento dell’essere a Parigi, città di cui l’americano Walker non conosce lingua, luoghi, abitudini. La seconda è causata dalla drammatica perdita della compagna: impiega del tempo per capire il perché del rapimento, dopo essersi dovuto sorbire anche le ironie dei poliziotti sulla presunta scappatella della moglie. L’incontro con Michelle – il corriere che, senza conoscerne il contenuto, ha trasportato la valigia delle spie – provoca in Walker un’ulteriore vertigine, del desiderio socialmente censurabile per una giovane donna che, inconfessabilmente e proprio nel momento più drammatico, vorrebbe sostituire alla moglie improvvisamente perduta.

Frantic, nella linea del modello che tanto piaceva a Truffaut – secondo cui il grande talento dell’ambiguità hitchcockiana stava nel suo saper girare scene d’amore come fossero di morte e viceversa –, sotto la trama da film d’azione imbastisce un melodramma del desiderio, giocato sulla vertigine, l’insicurezza, la seduzione. Il doppio, come in Hitchcock, la fa da padrone: due valigie, due donne, una canzone duplicata, I’Ve Seen That Face Before di Grace Jones che risuona tanto a Parigi quanto negli Stati Uniti, all’altro capo del telefono nelle conversazioni fintamente rassicuranti tra Walker e i suoi figli.

Walker è l’uomo comune hitchcockiano trascinato in un gioco più grande di lui, capace di trovare le risorse per venire a capo dell’enigma. Ma dove Hitchcock tende all’astrazione geometrica e all’allusione, il cinema di Polański è più esplicito, carnale, come nel seducente ballo tra un confuso Walker e una più consapevole Michelle, un momento in cui mélo e thriller, passione amorosa e tensione si raccordano senza soluzione di continuità.

Polański, Seigner e Ford sul set

In Intrigo Internazionale il viaggio dell’eroe è un percorso verso l’autonomia, col mammone e scapolone Thornill che nell’incontro con una donna misteriosa trova la via verso la maturazione e l’indipendenza affettiva. In Frantic l’itinerario di consapevolezza di Walker è di natura differente. Perché la moglie con cui viveva da decenni era per lui già emotivamente scomparsa nella routine di un rapporto consumato dal tempo. La vertigine di un’altra donna in un altro luogo diventa la forma attraverso cui s’iinterroga sui propri sentimenti tentazioni, alla fine ritrovare la moglie e ritrovandosi. Sapendo però che tutto questo ha un prezzo – il dolore, la perdita – e senza farsi troppe illusioni su un mondo che è impossibile redimere dalla sua bruttezza – il pessimismo legato alle inquadrature dei rifiuti in una Parigi che Polański ritrae senza alcun romanticismo, come un luogo estraneo e ostile.