Ancona non esiste! Su Rai5 il documentario su una città “non-luogo”

Anche se presente su un booklet dei Pink Floyd, la mia città d'origine resta una città anonima


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È estate, tempo di relax, facciamo un gioco.

Comincio io.

Ancona non esiste.

Sì, il gioco che propongo è questo. Lasciarsi andare a dichiarazioni lapidarie sul proprio luogo di origine.

Ancona non esiste, e non è neanche questa la dichiarazione lapidaria del gioco, proseguite e capirete.

Parto però da una notizia, perché in fondo questo è un articolotto.

La notizia, almeno per quella piccola porzione di popolazione italiana che risiede nella mia città natale, Ancona, è che Rai 5 ha dedicato al capoluogo marchigiano una puntata di Di là dal fiume, tra gli alberi, a cura di Luigi Maria Perotti e intitolata Il porto di Ancona.

Non una grande notizia, quindi. Anzi, lasciatemi ancora giocare, è una non-notizia.

Siccome, però, nel corso dell’ultimo anno e mezzo, da che cioè scrivo per Optimagazine, volendo degli ultimi venticinque, se vi è capitato di leggermi anche quando scrivevo per la carta e per altri magazine online, vi ho sapientemente abituato a leggermi pur in assenza di notizie, eccomi a parlare di una non-notizia, che per altro ha come soggetto quello che Marc Augé potrebbe serenamente definire un non luogo. La musica, che in teoria sarebbe il campo nel quale mi muovo, vedrete, a un certo punto farà la sua comparsa.

Dicevo, parlerò della non-notizia di un programma dedicato alla mia città, Ancona, che è un non-luogo. Ancona non esiste, appunto.

Mi spiego.

Vivo a Milano da ventitré anni, ormai, e nella stragrande maggioranza dei casi, ogni volta che mi sono trovato a parlare di Ancona con qualcuno, almeno con qualcuno che sapesse di cosa stavo parlando, perché per oltre la metà delle volte ho dovuto specificare che Ancona è a un centinaio di chilometri più a sud di Rimini e che no, Ancona non è in Abruzzo, quella è Pescara, città per altro non popolarissima dalle mie parti, per evidenti questioni calcistiche pregresse, nella stragrande maggioranza dei casi in cui quindi mi sono trovato a parlare di Ancona con qualcuno che sapesse dove si trovava, di più, che ci era anche stato, mi sono sentito dire qualcosa che suonava come “ci sono passato per andare in Grecia”, e ovviamente la parola Grecia può serenamente essere sostituita da Croazia o Albania, non cambiando di una virgola il senso del discorso.

Una sorta di StarGate verso le vacanze al mare, questa è sostanzialmente la mia città natale per la stragrande maggioranza delle persone che ci sono passate.

Un punto imprecisato di Google Maps tra Rimini e Pescara, per tutti gli altri.

Un non-luogo, quindi, sia che si voglia essere filologicamente coerenti con Augè, che nei fatti appiccicava quell’etichetta a quegli spazi nei quali si permane per tempi imprecisati prima di essere velocemente proiettati altrove, tipo gli aeroporti, sia che si usi la falce e si voglia essere, come si potrebbe fare altrimenti con una falce?, tranchant.

Poco importa che Ancona sia una delle città più antiche sorte in Italia, per mano dei greci, e poco importa che sia uno dei principali porti tutt’ora in attività, motivo per cui appunto molti ci passano senza fermarsi, Ancona non esiste, sembra, e non a caso l’autore dello speciale che ha fatto da scintilla che ha fatto partire questo pezzo ne parla come di città misteriosa, di bella addormentata, di un enigma, insomma, come di chi c’è ma non si vede, per distrazione altrui o per propria incapacità di farsi guardare.

Ora, non intendo realmente scrivere di Ancona, tranquilli, non almeno tratteggiandone la storia e indicandone le bellezze turistiche, non è il luogo adatto a farlo, credo, e non credo di averne voglia, ma trovo sia sempre stimolante capire come gli altri ti vedono.

Certo, io non sono in Ancona, vivo a Milano in esilio da un numero consistente di anni e in questo numero consistente di anni ha presumibilmente fatto le sole cose che, immagino, mi contraddistinguano come individuo, parlo di lavoro, certo, di opere, ma anche di vita privata, perché seppur io sia sposato con una donna della mia città, con la quale condivido la mia vita da quando entrambi eravamo residenti lì, è a Milano che “abbiamo messo su famiglia”, a Milano che stiamo crescendo i nostri figli, e a Milano che salvo imprevisti continueremo a farlo nei prossimi anni, quindi confermo, non sono Ancona, ma di Ancona ho scritto in quasi ogni singola opera che ho pubblicato, parlo di libri, è Ancona che ho citato in tutti gli articoli nei quali sono riuscito a infilarla e, in sostanza, credo di potermi definire senza possibilità di smentita sono l’anconetano che ha più di ogni altro portato il nome di Ancona nelle case del resto degli italiani nel corso degli ultimi venticinque anni, suppergiù quanti sono passati da che scrivo, forte di circa un milione e duecentomila copie vendute dei suddetti libri e di oltre cento milioni di click messi insieme coi miei articoli nel corso degli anni. Sono anche un anconetano, ripeto, esule, e chi è in esilio non è mai in esilio a cuor leggero, che ha provato a mettere la sua anconetanità nella sua opera, a breve vedremo cosa intendo.

Che poi l’Ancona di cui io parlo sia o non sia la vera Ancona, sempre che ne esista in effetti una, è altra faccenda, tutti facciamo proiezioni, carichiamo di aspettative, coviamo rancori, non credo sia necessario io stia qui a spiegarvelo didascalicamente.

Nei fatti ero davvero incuriosito dall’idea che qualcuno decidesse di dedicare un programma di circa un’ora alla mia città natale, quella che così tante volte mi sono trovato a cantare, anche forzatamente.

Il trailer del programma, quello che ha girato soprattutto sui social, e dove se no?, e che in qualche modo mi ha messo a conoscenza del fatto che ci sarebbe stato questo programma, parte oggettivamente male. Attenzione, non voglio fare il sapientino, quello che sa tutto lui, non faccio documentari in tv sulle città italiane, non intendo farle, non ho mai scritto un libro su Ancona con l’intento diretto di raccontare Ancona, l’ho sempre fatto parlando d’altro, e quando ho esplicitamente dedicato una mia opera alla mia terra natale l’ho fatto dicendo tra le righe che è da morto che ci tornerei, non da vivo, il titolo Seppellite il mio cuore sul Monte Conero poteva trarre in inganno, ma chi lo ha letto lo sa bene. Solo che dire che Ancona sorge alle pendici del Monte Conero è tecnicamente un errore, e piazzare un errore nei pochi secondi a disposizione per promuovere un programma è una faccenda seria, credo, come di chi prende una gaffe nella sola occasione che ha per dire qualcosa.

Ancona non sorge alle pendici del Monte Conero. Portonovo, che è ancora parte del comune di Ancona è nei pressi delle pendici del Monte Conero, certo, ma la città si sviluppa altrove, in quel gomito che ha ispirato i dori a darle il nome Ankon, “gomito” in greco antico, appunto.

Quando anni fa, ma proprio tanti anni fa, scrivevo per GenteViaggi, la principale rivista di viaggi in Italia quando ancora esisteva questo segmento di mercato, ricordo di aver detto in un mio reportage che Valencia era nella Murcia, un errore grave, gravissimo, esattamente della stessa foggia di chi mi dice che Ancona è in Abruzzo, con l’incredibile aggravante di essere stata fatta da un reporter e di essere finita in una rivista del settore turismo. Errore mio e della redazione che quel pezzo ha passato, a dirla tutta, ma soprattutto mio. Bene, quell’errore è stato oggetto di rimostranze da parte della Comunitad valenciana, che ha scritto una lettera ufficiale al magazine in questione, pretendendo pubbliche scuse. Niente di nuovo, nei fatti, perché da libero pensatore mi è capitato più volte di far incazzare enti del turismo e consolati, rompicoglioni anche nel campo dei viaggi, ma comunque a suo modo un caso diplomatico.

Col che non voglio certo dire che Rai 5 e il giornalista in questione dovrebbero cospargersi il capo di cenere e implorare il perdono, figuriamoci il cazzo che me ne frega, sto esercitando una attitudine che, lo vedrete a breve, è parte del discorso che sto affrontando, discorso che parte dalla puntata di Di là dal fiume tra gli alberi dedicata al capoluogo marchigiano, puntata ben fatta, racconto avvincente seppur in parte di fantasia, a tesi, che per chi come me è di Ancona e ha uno sguardo non campanilisticamente offuscato dall’amore è piuttosto deprimente, va detto, non per colpa dell’autore.

Intendiamoci, Ancona è una bella città, molto bella, e vedere i suoi scorci, i suoi panorami, quella luce che credo si veda solo da quelle parti, quei tramonti, quelle prospettive, angoli noti e anche meno noti agli stessi anconetani, merita la visione, il problema è quel che nel documentario si dice, spesso per bocca degli stessi anconetani.

Il fatto è che Ancona non è affatto, come parte delle dichiarazioni che trovano asilo nel documentario sembrerebbero voler far passare, una città che nasconde le proprie bellezze per una tendenza innata al basso profilo. È vero, le bellezze di Ancona, spesso maltrattate, abbandonate, lasciate andare a male, sono nascoste, ma più per volontà di non condividerle con gli altri che per una innata tendenza alla medietà. Anche a Milano sono soliti dire che le bellezze ci sono, ma bisogna saperle trovare, il che, credo, sia tipico di chi bellezze vere e proprie a disposizione non ne ha, ma nel caso di Ancona non è una questione di difficoltà nel trovarle, non stiamo parlando di cortili, di angoli introvabili, salire sul colle che ospita la cattedrale di San Ciriaco e guardare il porto e la città, il parco della Cittadella posto proprio di fronte, è un esercizio di sfacciataggine che con la medietà ha assai poco a che spartire. La difficoltà che un turista si troverebbe di fronte se mai, magari arrivato in stazione e diretto al porto, per imbarcarsi, troverebbe nel salire su quel colle, parlo di mezzi pubblici, certo, ma anche di indicazioni, di servizi che troverebbe lungo la strada, di bar, di ristoranti, quella sì che ha a che fare con la volontà della città e dei suoi cittadini di tenere quel tesoro nascosto agli altri, come di chi ha un dolce particolarmente buono in frigo e tende a tenerlo occultato allo sguardo dei suoi ospiti per poterselo gustare con calma una volta che la casa sarà rimasta vuota.

Non è mica un caso, per dire, che facendo proprio il motto “nessuno è profeta in patria”, la mia città abbia deciso di dedicare al solo poeta anconetano riconosciuto a livello nazionale, Franco Scataglini, una vietta della zona commerciale senza neanche un numero civico, sorte che immagino toccherà anche a me, quando appunto il mio cuore verrà seppellito sul Monte Conero, come da me indicato nell’omonima opera (ho già espresso il mio desiderio di ricevere il regalo la Torre di Portonovo, anche da queste pagine, non credo serva tornarci su, chi deve sapere sa).

E non è neanche un caso che, quando anni fa, quasi venti, osai raccontare Ancona e Portonovo, la località marina che, quella sì, sorge nei pressi del Conero, parte del comune di Ancona, sulle pagine di GenteViaggi, un servizio importante, nel quale mi inerpicavo in un ardito parallelismo tra la mia città natale e la sua baia e San Francisco e la Bay Area, invece di ricevere, che so?, il Ciriachino d’Oro, encomio cittadino col quale l’amministrazione tende a celebrare i propri figli più meritevoli, un invito a cena in un qualche ristorante affacciato sul mare, ho tirato su una bella secchiata di critiche anche aspre, accusato io di aver fatto troppa pubblicità a una location di cui solo gli anconetani avrebbero dovuto godere.

Ancona non è una bellezza nascosta perché di basso profilo per sua scelta, mi spiace contraddire la critica cinematografica a capo della Marche Film Commission che, parlando di Ossessione, La ragazza con la pistola o La stanza del figlio invoca un film capace di cantarla adeguatamente e renderla donna (renderla donna?), Ancona è una bellezza nascosta perché chi dovrebbe accendere i riflettori su quelle bellezze ha deciso, cito il Vangelo, per tenerle nascoste sotto il moggio, se non addirittura per sotterrarle, come i talenti dell’omonima parabola. Del resto, anche questo viene detto, seppur così, di sfuggita, l’anconetano è solito paragonarsi alle crocette, mollusco di mare piuttosto diffuso sulla costa, insieme al “mosciolo”, la particolare cozza che cresce solo alle pendici del Conero, duro fuori e tenero dentro.

Come a dire, siamo ruvidi, ostici, difficilmente avvicinabili, ma dentro abbiamo un cuore grande. Bello, figuriamoci, ma un cuore nascosto dentro una corazza alla lunga smette di battere, fatichiamo a respirare con le mascherine, figuriamoci come può sentirsi un cuore dentro una corazza.

La verità è che ai miei compaesani di far conoscere agli altri la propria città non frega nulla, non a caso il documentario in questione è di un marchigiano, sì, ma di San Benedetto del Tronto, e probabilmente anche degli altri stessi non frega nulla, da alcuni passaggi trapela una certa sprezzante asocialità esibita anche con vanto, così come è altrettanto evidente che ci sia uno sguardo sarcastico verso tutto e tutti che ci spinge, mi ci metto anche io, perché il mio stile è decisamente figlio della mia terra, a guardare il mondo dall’alto al basso.

Le grotte, tipiche costruzioni che sorgono sul mare proprio al centro di Ancona, sono una rarità che chiunque metterebbe in evidenza, invece gli anconetani se le tengono per sé, non sia mai che qualcuno le conosca e ne possa godere. Portonovo è una bellezza mozzafiato, come faceva notare l’ex assessore Luccarini, seppur in mezzo a un profluvio di parole vagamente monicelliane, al punto che Andrej Tarkovskj qui troverà Dio, mentre girava il suo Nostalghia, e Guy de Maupassant deciderà di chiudere da queste parti il suo L’uomo senza qualità, ma se provi a far sapere ai turisti che esiste sei un traditore, uno che svela un segreto degno di diventare oggetto della prossima stagione di Big Little Lies.

A questo va aggiunta una certa inedia, la poca voglia di confrontarsi, di rimboccarsi le maniche, se si pensa a come gli esercenti del centro hanno preso, a suo tempo, la notizia dell’arrivo in città delle navi da crociera, più una scocciatura che avrebbe costretto loro a tenere aperto magari a ora di pranzo più che una incredibile opportunità di guadagno. I turisti che si aggiravano per il centro con le saracinesche abbassate, in effetti, hanno dimostrato come anche in quel caso il carattere locale abbia vinto sulla logica.

Quando anni fa c’è stata una bella iniziativa che ha visto riuniti in un incontro pubblico alcune eccellenze cittadine che risiedono altrove, tutte abbiamo rivolto un nostalgico appello perché la città si apra davvero, la smetta di respingere, provi a farsi patrimonio culturale e geografico. Un appello che ancora oggi è rimasto inascoltato, la voce che grida nel deserto, i profeti non più in patria che in patria continuano a essere visti anch’essi come qualcosa di cui non fare cenno (questo, però, temo sia un tratto provinciale non solamente locale).

Abbiamo, questo dicono le cronache, uno dei sindaci più popolari di Italia, quella Valeria Mancinelli balzata agli onori delle cronache per un premio, quello di Miglior sindaco del mondo, che onestamente è una onorificenza non esattamente ufficiale. Una amata in città, immagino, io vivo a Milano, anche per aver ridato lustro a alcune parti da tempo lasciate a se stesse, come il Porto Antico, sarebbe bene, quindi, che il sindaco Mancinelli si occupasse di lavorare su quelle asperità, quelle sì reali, di cui l’architetto Mangialardi parla all’inizio della puntata, quell’arrivo in città reso ostico dall’urbanistica. L’idea che le periferie siano così sgaruppate, per dire, vanifica non poco l’attenzione dedicata al centro, un po’ come uno che avesse una dentatura perfetta, smagliante, ma che andasse in giro vestito di stracci. Vedere la zona vicino al Duomo, dove un tempo sorgeva un noto bar, abbandonata a se stessa ferisce il cuore, poi, è ovvio, i turisti fin lassù non ci arrivano, lo abbiamo detto prima, ma quei pochi che ci riescono si trovano di fronte un percorso marcio, non certo di quelli da immortalare in una fotografia, come invece un luogo tanto bello e con un panorama del genere meriterebbe. Sapere, di questo il programma si occupa a lungo, forse, che tutta la zona del porto è stata resa off limits agli anconetani, fatta eccezione per quella del Porto Antico, con quelle orribili reti a dividere l’area gestita dall’autorità portuale, è un’altra aberrazione su cui si dovrebbe lavorare subito, adesso. A proposito, è questa la tesi dell’autore del documentario, che Ancona e gli anconetani abbiano un problema col mare, che il mare, in sostanza, sia stato negato alla città, da dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Non sono d’accordo, ma apprezzo il racconto, ripeto, ben fatto.

Nulla può fare, invece, il sindaco o chi per lei, per cambiare la mentalità ostile dei miei concittadini, quel misto di supponenza e sarcasmo che, presa a piccole dosi, può anche far sorridere, quel “sta ‘nel tuo”, “stai nel tuo”, esibito come un motto rende bene l’idea, ma che alla lunga ci rende tutti ostili, altro che crocette dure fuori e tenere dentro.

Checché ne dicano quelli che in città si spendono per la cultura e per provare a evidenziare le eccellenze locali, Ancona resta il non luogo di cui sopra, la città scelta da Nanni Moretti per il suo essere così bella ma anche così anonima, quella nella quale si passa per andare altrove, si guarda di sfuggita dicendo, mi sa che è bella, Ancona, mentre la nave si allontana al largo del porto.

In poche parole, Ancona non esiste.

Guardatela, questa puntata di Di là dal fiume, tra gli alberi dedicata a Ancona e al suo porto, vale la pena specie per chi, magari, passato di qui nulla di tutto questo ha visto, perché era di fretta e perché nessuno glielo ha fatto vedere, gli ha suggerito di farlo. Non prestate troppa attenzione ai dettagli, è un racconto e come tutti i racconti mischia i propri ingredienti per portare a un risultato finale, non certo per gli ingredienti in sé, perché decidere di raccontare Ancona passando da un armatore, Rossi, da una skipper, per altro sua figlia, da chi gioca a canoa-polo o come cazzo si chiama quello sport lì, per chi autodefinisce influencer forte dei suoi quindicimila followers, beh, lascia abbastanza il tempo che trova (e quello che avete letto, sappiatelo, è esattamente un concentrato di sprezzante spirito anconetanissimo messo qui a vostro uso e consumo).

Chiudo, non prima di aver detto che la risposta alla domanda che tutti voi vi starete ponendo, “ma chi cazzo glielo ha fatto fare, a Michele, di scrivere un articolo così spigoloso nei confronti della sua città natale e dei suoi abitanti?”, “chi ti ha spinto a azzardare l’ipotesi che Ancona non esista?”, risposta che ovviamente è 42.

Chiudo, quindi, citando di sfuggita la musica, aspetto che giustamente è rimasto periferico nel racconto del documentario di Rai5.

Anni fa, nel 2014, è uscito il nuovo album dei Pink Floyd, che in realtà era un vecchio album dei Pink Floyd. Non è importante. Al suo interno, nel booklet, compariva una mappa delle Marche, nello specifico della riviera anconetana. Un fatto che non è certo sfuggito agli occhi degli anconetani, non fosse altro perché il nome dei Pink Floyd è sufficientemente roboante da destare meraviglia per qualsiasi cosa che li riguardi. Inizialmente si è ipotizzato si trattasse di una precisa volontà di David Gilmour, notoriamente appassionato del Mar Mediterraneo, una casa nell’isola di Rodi, meta raggiungibile attraverso viaggi di un paio di giorni in nave, partendo proprio da Ancona. Qualcun altro, invece, ha ipotizzato che a spingere verso Ancona fosse stato Richard Wright, da sempre molto legato alla Farfisa, la fabbrica che un tempo ha regalato al mondo intero i soli organi in grado di competere con i più rinomati Hammond. Entrambe le tesi sono poi state fugate da Aubrey Powell, lo storico grafico della band inglese, il quale ha seraficamente spiegato che mentre stavano lavorando all’artwork dell’album gli è capitata tra le mani quella vecchia mappa francese, gli è piaciuta e l’ha proposta alla band, che ha accettato di buon grado di inserirla nel booklet.

Nessun tesoro nascosto da scoprire, quindi, anche in quel caso, magari la prossima volta…