Magari, le famiglie imperfette dell’incerto esordio di Ginevra Elkann

Esce direttamente su Rai Play il film della rampolla di casa Agnelli. Tre figli di genitori separati alle prese con un padre malcresciuto. Buoni gli attori, con Scamarcio e Alba Rohrwacher. Ma il film s’accontenta d’una medietà autoriale velleitaria

Magari

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Magari segna un’altra tappa nelle strategie movimentate della proposta cinematografica post Covid-19, dato che fa parte di un pacchetto di titoli prodotti da Rai Cinema che vedranno progressivamente la luce in anteprima assoluta, e gratuitamente, su Rai Play, una piattaforma la cui offerta sta diventando sempre più variegata e stimolante.

Con la Wildside di Lorenzo Mieli e Mario Gianani quale produttore capofila, Magari è il lungometraggio d’esordio di Ginevra Elkann, cineasta, produttrice, già assistente per Bertolucci e rampolla di casa Agnelli, figlia di Margherita e Alain Elkann. Elemento, quello biografico, non esteriore, dato che per ammissione della regista questo film “si basa sui ricordi e sulla nostalgia”, camuffati e tradotti in una storia familiare (scritta insieme a Chiara Barzini), con al centro tre fratelli dai quindici ai nove anni. E tre naturalmente sono i fratelli Elkann, Ginevra, Lapo e John (quest’ultimo protagonista di un quasi invisibile cameo).

In un’ambientazione da primi anni Ottanta, Alma, Jean e Sebastiano (Oro De Commarque, Ettore Giustiniani, Milo Roussel) sono i figli di due genitori di buona borghesia ormai separati. Vivono a Parigi con la madre francese Charlotte (Céline Sallette), che ha un nuovo compagno ed è diventata una fervente cristiana ortodossa, trasmettendo ai ragazzi lo stesso zelo religioso. I quali devono partire per le vacanze di Natale col padre italiano Carlo (Riccardo Scamarcio), che non vedono da tempo.

Da sinistra, il produttore Lorenzo Mieli e Ginevra Elkann col cast

La bambina soprattutto, che con la sua voce fuori campo funge da narratrice, sogna il rappacificamento tra i genitori, di cui porta sempre con sé delle fototessere di coppia dei tempi belli. Il padre, con le sue incerte ambizioni da regista, è il ritratto del quarantenne irresponsabile e malcresciuto. Infatti, in men che non si dica, per evidenti difficoltà economiche, la settimana bianca si trasforma in una gita a Sabaudia fuori stagione. S’aggiungono alla combriccola un cane che si chiama Tenco e la sceneggiatrice Benedetta (Alba Rohrwacher), la nuova compagna di Carlo. Per i ragazzi la convivenza diventerà un momento in cui riappropriarsi della relazione col padre, condita dai sussulti dell’età, anche erotici per l’adolescente Sebastiano, con l’emersione di malumori, conflitti e prevedibili tenerezze.

Nonostante il plurilinguismo della storia, tra francese, italiano e inglese (a un certo punto a ravvivare la ripetitività del racconto sbuca fuori pure un gigionesco amico americano), Magari è un film marcatamente italiano. Carlo s’inserisce nella galleria dei maschi italiani da cinema, quei finti adulti irrisolti, bruschi e affettuosi, generosi ed egoisti, che nella commedia all’italiana classica avevano il volto di Gassman o Walter Chiari, e che qui hanno le fattezze di Scamarcio, della sua generazione l’attore che più si mette in gioco con personaggi anche sgradevoli (si veda il recente Il Ladro Di Giorni di Guido Lombardi).

È italiano anche il minimalismo insistito di Magari, che accumula brevi sequenze autoconclusive dalla dizione sommessa, che indagano i piccoli sussulti emotivi del gruppo di famiglia. Non lasciandosi scappare luoghi comuni visti troppe volte nei film di casa nostra, dalla partitella sulla spiaggia alla cantata collettiva in automobile, in questo caso addirittura Julio Iglesias. Ginevra Elkann dispone con pudore gli elementi autobiografici, evitando una dimensione apertamente altoborghese. Che però sarebbe stata più interessante da indagare rispetto a questa borghesia anemica, narrata tra freddezze, aspirazioni e inquietudini risapute.

Affidabili i protagonisti adulti, ma è soprattutto l’interazione tra i tre ragazzi a regalare al film una sua naturalezza, grazie pure a qualche soluzione – i sogni a occhi aperti di Alma –, che restituisce un senso di nostalgia e dolcezza autentiche. Magari però non rischia mai, le emozioni sono sempre trattenute, come lo stile del racconto, che non ha il coraggio di deviare dalla compostezza dell’esordio autoriale medio-mediocre, accontentandosi d’una prevedibile cifra malinconica con contorno di mare d’inverno.