Un Giorno Di Ordinaria Follia, il film con Michael Douglas è più attuale che mai

Trasmesso su La7 alle 21.15, il film di Joel Schumacher è l’ambiguo ritratto d’una società in cui il maschio bianco di classe media, perduto il suo status, cerca un capro espiatorio. Un film del 1993 che parla all’oggi

Un Giorno Di Ordinaria Follia

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Un Giorno Di Ordinaria Follia è un “test di Rorschach per esplorare i segreti di chi lo sta guardando”, scrisse il critico del New York Times, Vincent Canby. Ci sono film che, indipendentemente dal proprio valore, dicono qualcosa di significativo sulla cultura di cui sono espressione e sul loro pubblico. Ciò vale particolarmente per un’opera il cui protagonista è un individuo qualunque sul quale, fatti gli ovvi distinguo, non è difficile proiettare aspirazioni, ansie e frustrazioni condivise. Un personaggio che, come recitava la frase di lancio di questo film diretto da Joel Schumacher nel 1993, è “un uomo ordinario in guerra ogni giorno con il mondo”.

William Foster (Michael Douglas, perfettamente in parte) è uno dei tanti, nessun segno particolare: camicia bianca a maniche corte, penne da bravo impiegato nel taschino, taglio di capelli militare. È in automobile, imbottigliato nel traffico di un giorno qualsiasi a Los Angeles, in una scena, chissà perché, costruita come un omaggio a di Fellini. Ma non è il preludio a una storia di onirismo metacinematografico. Tutt’altro, siamo dalle parti di qualcosa che pare una riedizione a misura di anni Novanta del Giustiziere Della Notte.

William, una volta sceso dalla vettura e aver detto a un altro automobilista che “sta andando a casa”, prima litiga col gestore coreano di un market che, a suo dire, ci marcia troppo sul prezzo, sfasciandogli il negozio. Poi s’imbatte in due ispanici che cercano di derubarlo, e lui si difende con una mazza da baseball. William vorrebbe soltanto rivedere l’ex moglie (Barbara Hershey) e la figlia, in quella che, dopo la separazione, non è più la sua abitazione, Ma l’uomo, rabbioso e avvilito, si fa risucchiare in una incontrollata spirale di violenza.

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Un Giorno Di Ordinaria Follia fu un successo da oltre 40 milioni di dollari negli Stati Uniti, in cui gli spettatori si riconobbero perché vi videro rappresentati, in forma certo esasperata, paure e umori che appartenevano all’epoca. Ricordiamo che nel 1992 Los Angeles era stata teatro di una rivolta dopo che erano state diffuse le immagini del pestaggio della polizia del tassista afroamericano Rodney King. E l’anno prima una quindicenne di colore, Latasha Harlins, era stata uccisa da una negoziante coreana. L’opinione pubblica era perciò particolarmente sensibile ai temi della violenza e dell’odio razziale e non sorprese l’accoglienza piena di polemiche a un film che raccontava un maschio bianco che si vendicava di latinoamericani e orientali ritratti a colpi di stereotipi.

A osservarlo attentamente però, il personaggio di Michael Douglas resta piuttosto distante dal modello del vendicatore alla Charles Bronson. Non è un fanatico intollerante: furbescamente, per sgombrare il campo da equivoci, Schumacher e lo sceneggiatore Ebbe Roe Smith lo rendono colpevole di un solo omicidio, ai danni d’un neonazista da manuale. Chi è allora William Foster? È un uomo che ha seguito fedelmente il copione scritto per lui: s’è sposato, ha messo su famiglia, ha lavorato per un’azienda missilistica che ha armato patriotticamente il paese contro il pericolo rosso. Eppure invece di dargli una medaglia la nazione l’ha messo da parte, reputandolo obsoleto. Da quel momento il mondo gli crolla addosso.

Un Giorno Di Ordinaria Follia è un film sulla crisi di un maschio bianco. E poiché la storia è raccontata attraverso i suoi occhi – che sono la prima cosa che il film inquadra – il mondo è organizzato sul suo punto di vista. Che è quello del benpensante arroccato sui valori del senso comune e nutrito di pregiudizi che non s’è mai preoccupato di sottoporre all’esame della realtà. Quella realtà che guarda per la prima volta nella sua vita quando decide di abbandonare la prospettiva del finestrino dell’automobile e si inoltra a piedi nella città autentica.

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Non è un razzista: quando arrestano un nero cui la banca non concede il mutuo perché non offre garanzie economiche, William è dalla sua parte. Dalla parte della gente comune e degli sfruttati, senza nessuna pietà per i ricchi che si godono campi da golf sottratti alla comunità in cui, dice, dovrebbero giocare i bambini. Più che un criminale è un qualunquista con un confuso senso di giustizia sociale, incrudelito dal suo fallimento lavorativo ed esistenziale.

William è un sentimentale che rimpiange il 1965, quando le cose avevano il giusto prezzo e le persone erano migliori. In questo, come ha notato Jude Davis che al film ha dedicato un’accorta monografia, “nella sua combinazione di provocazione, ambiguità e incoerenza”, Un Giorno Di Ordinaria Follia fotografa la crisi della (ex) classe media, del maschio bianco americano impovero in una società sempre più multiculturale, squilibrata e divisa – i fili spinati a difesa delle villone con piscina dei chirurghi plastici, nuovi eroi di un paese che s’è rifatto i connotati e ha perso la bussola.

Per questo William desidera tornare a casa, richiamandosi all’ideale d’una nazione che non esiste più. Un percorso non dissimile da quello del poliziotto alle sue calcagna, il sergente Prendergast (Robert Duvall). Al quale manca un giorno per la pensione, che lui ha deciso di andarsi a godere in Arizona, dove spera la moglie riuscirà a riprendersi dal crollo nervoso per la morte della loro bambina. Due maschi bianchi che cercano, ognuno a suo modo, una illusoria via d’uscita che consenta loro di rimettere in piedi il mondo che amavano. Ovviamente è un sogno regressivo, impossibile. Nel quale però non è difficile riconoscersi, sposando la nostalgia per i bei tempi andati più semplici e, sì, anche più bianchi.

Robert Duvall e Joel Schumacher sul set

Un Giorno Di Ordinaria Follia offre una rappresentazione che pare rozza e manichea, ma in realtà è più sottile e ambivalente. Perché se da un lato solidarizza con la tragedia dell’uomo qualunque di cui non mette in discussione gli ideali semplicistici, dall’altro sta attento a non aderire al suo desiderio di vendetta – offrendo il modello di Prendergast, altro maschio bianco in crisi, che però trova una via d’uscita razionale alle frustrazioni.

Attraverso l’ambiguità di un tono né chiaramente pro né contro, il film solletica uno spettatore che condivide gli stessi pregiudizi e soffre lo stesso arretramento di status, cui offre il destro per sfogare istanze retrograde e umori inconfessabili. Anche perché, nel tono sfumato e persino un po’ ipocrita del film, il protagonista ha l’aria smarrita della vittima sacrificale più che del responsabile della violenza. Così il film ritrae i membri di una classe sociale che, di fronte a un mondo sempre più complesso – nel quale hanno perso il benessere così faticosamente conquistato – reagiscono chiudendosi nei confini della paura e dell’intolleranza. Recitando però la parte degli offesi, aggrediti da un indistinto “altro” dal quale sono obbligati a difendersi. In questo senso Un Giorno Di Ordinaria Follia suona oggi più attuale che mai.