Saul Bass, i cento anni dalla nascita dell’uomo che rese i titoli di testa un’arte

Bass è stato il graphic designer più influente della storia di Hollywood. Con lui i credits divennero un film nel film. Emozionanti e dallo stile inconfondibile. Ecco la sua storia. E dieci credits indimenticabili

Saul Bass

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Movie (Title) Mogul: così recitava il New York Times in un articolo del 1957 dedicato a Saul Bass, il figlio del pellicciaio ebreo immigrato di cui oggi ricorre il centenario, essendo egli nato l’8 maggio del 1920 a New York (morì nel 1996). In soli tre anni, dai primi titoli di testa del 1954 per Carmen Jones di Otto Preminger, aveva acquisito una notevole fama legata al fatto di aver trasformato quello che veniva percepito come un noioso passaggio obbligato del film in una inedita forma d’espressione artistica.

Prima di lui i titoli di testa avevano una funzione di servizio, un elenco di nomi con, cosa più importante, il logo dello studio di produzione. Saul Bass intuì invece che i credits potevano, oltre che acquisire una loro dignità estetica, anche diventare un’introduzione al film, del quale prefigurare temi e atmosfere. “Un’opportunità – disse – per creare il clima per la storia che era sul punto di essere svelata”. Aggiungendo, in un’altra occasione: “La mia prima idea rispetto a ciò che un titolo può fare era che definisse il mood e il tema principale del film, esprimendoli in una forma metaforica. L’ho visto come un modo per suggestionare il pubblico, così che quando il film fosse effettivamente cominciato, gli spettatori sarebbero già entrati in risonanza emotiva con esso”.

Saul Bass, gli anni dell’apprendistato

A questo risultato Saul Bass non giunse per una folgorazione improvvisa, ma dopo anni di lavoro nel settore. Appassionato di disegno sin da ragazzo, cominciò a collaborare alla fine degli anni Trenta con della agenzie pubblicitarie, prima a New York, e poi a Los Angeles, diventando a 26 anni, nel 1946, l’art director della Buchanan & Company, che tra i suoi clienti vantava Paramount e United Artists. In seguito lavorò con la Foote, Cone & Belding, consulente della RKO dell’eccentrico miliardario Howard Hughes. Bass ricordava “riunioni” notturne a bordo della limousine del magnate, alla fine delle quali veniva gentilmente scaricato all’angolo di una strada.

Fu allora che cominciò a curare pubblicità e locandine dei film, affinando un’idea di design applicato al cinema. Che risentiva della lezione di György Kepes, un designer ungherese emigrato in America che aveva collaborato a Berlino con Laszlo Moholy-Nagy, pittore e fotografo insegnante alla scuola d’arte e design del Bauhaus. Di Kepes, Bass aveva prima scoperto il saggio The Language Of Vision nel 1944, e poi frequentato un corso. “Non capivo il libro – disse – ma sapevo che era la risposta. Sapevo che era la parola. Era qualcosa di molto vago, per me, molto ambiguo e molto misterioso”. E tuttavia “il suo corso cambiò tutto per me. In un certo senso, stavo cercando di aprire una porta, tirando e spingendo la manopola. Kepes disse: ‘Girala’ e io attraversai la soglia”.

La lezione del Bauhaus

Lo stile di Saul Bass risente dell’influsso del Bauhaus, che rompeva anche con la tradizionale distinzione tra alto e basso, arte e artigianato. Il sottotitolo del libro di Kepes era “Pittura, fotografia e design pubblicitario”: definiva quindi un linguaggio visuale e delle pratiche applicabili trasversalmente a vari ambiti espressivi, anche quelli con finalità commerciali.

Come ha scritto Jan-Christopher Horak nell’esaustivo Saul Bass, Anatomy Of Film Design,Kepes insegnò che il campo visivo di qualsiasi disegno è costituito da oggetti posizionati nello spazio, dove colore, luminosità, trama, dimensioni e relazioni tra punti, linee e superfici creano forze spaziali che interagiscono con lo sfondo”. Il designer deve puntare quindi a riduzione e semplicità: una pulizia formale minimalista, pochi elementi che spiccano sulla pagina, chiaramente leggibili.

I titoli di testa di Quando la moglie è in vacanza, sulla destra, sembrano un omaggio alla pittura di Paul Klee, che insegnò al Bauhaus

Saul Bass & Associates

Quando, nel 1952, si mette in proprio e dà vita alla sua agenzia, la Saul Bass & Associates, Bass applica questa filosofia ai suoi clienti, che non appartengono solo al cinema. Con la sua squadra, nella quale nel 1957 entrerà come segretaria la futura moglie e collaboratrice Elaine Makatura, che negli ultimi anni firmerà a quattro mani col marito i progetti dell’agenzia, Bass si occupa di corporate identity, campagne pubblicitarie, packaging, realizzando anche importanti operazioni di rebranding per aziende come la AT&T.

Nel 1954, come accennavamo, il regista Otto Preminger chiede a Saul Bass di disegnare, oltre al poster, anche i titoli di testa di Carmen Jones. L’intuizione rivoluzionaria del suo approccio gli fece guadagnare una citazione personale sia nei credits “designed by Saul Bass” che nel pressbook del film, nel quale si sottolineava “il design moderno, netto, chiaro, arioso”.  

Saul Bass e la moglie Elaine Makatura

L’exploit da un lato è figlio della creatività del suo autore, dall’altro è la risposta pragmatica alle mutate esigenze dell’industria cinematografica. Nel 1948, infatti, con il Paramount Consent Decree la Corte Suprema aveva rotto il monopolio dei grandi studios obbligandoli ad abbandonare la proprietà delle sale cinematografiche e diffidandoli dal continuare a vendere i film a pacchetti. Ciò vuol dire che la comunicazione invece di puntare sul brand dello studio hollywoodiano, doveva ora concentrarsi su campagne pubblicitarie personalizzate, confezionate intorno all’identità del singolo film. Qui interviene Saul Bass, che trasforma i titoli di testa in un prologo con una funzione, seppure in chiave allusiva, assolutamente narrativa.

Uno stile inconfondibile

Punto di forza lo stile visivo marcato ed essenziale: elementi grafici distintivi, font moderni, stilizzati e di facile leggibilità, approccio geometrico alla composizione, bidimensionalità e movimenti degli elementi su linee orizzontali e verticali, una tavolozza limitata di colori piatti, sfondi quasi sempre monocromi. È una filosofia che mira all’equilibrio e all’armonia, con una spiccata riconoscibilità e contrasti visivi che la rendono di forte impatto. Ne è la dimostrazione l’opera forse più celebre di Saul Bass, L’Uomo Dal Braccio D’Oro: un film sulla tossicodipendenza che viene interpretato attraverso il disegno di un braccio drammaticamente contorto come la vita del protagonista.

L’iconica grafica de L’Uomo Dal Braccio D’Oro

Il problema principale – dichiarò una volta Saul Bass – è che in ogni tipo di design tutti cercano di dire troppo. Invece devi dire qualcosa di semplice, ma che emozioni il pubblico. Io tendo alla semplificazione, punto su una sola immagine potente e provocatoria, che traduca esattamente il concetto che vuoi comunicare e ci faccia qualcosa, spingendoti a esaminarlo. Un concetto che sia abbastanza seducente da trascinarti dentro”.

Saul Bass modula il suo stile sul film da raccontare. Non sempre i titoli di testa grafici puntano sullo stesso rigoroso equilibrio geometrico. Nel caso dei credits di Buongiorno Tristezza (1957) di Preminger, viene abbandona la griglia ordinata, creando un fondale assai più movimentato di elementi disposti in maniera apparentemente caotica, giocati su tonalità malinconiche, tra blu e marroni. In Santa Giovanna (1957), sempre di Preminger, c’è un fondo grigio su cui sono disposti i battagli delle campane di una chiesa, che si muovono secondo il loro caratteristico dondolio, sovrapponendosi gli uni agli altri, senza seguire un ordine determinato.

Saul Bass ha usato anche i cartoni animati, come ne Il Giro Del Mondo In Ottanta Giorni (1956), dei titoli di oltre quattro minuti di durata posizionati oltretutto non in testa ma alla fine, un ulteriore azzardo ben riuscito. Come scrisse un critico, “per la prima volta nella storia del cinema, il pubblico resta volentieri seduto durante i titoli di coda”. Tanti sono poi i credits composti con sequenze filmate, che mantengono il principio di un’idea visiva centrale, ma spesso con una maggiore cupezza drammatica rispetto allo stile energico e scoppiettante dei credits grafici (è il caso dei titoli di film come Il Grande Coltello, Al Centro Dell’Uragano, Operazione Diabolica).

Lavorare coi maestri, da Hitchcock a Scorsese

Saul Bass ha attraversato la storia di Hollywood per cinquant’anni dal dopoguerra in poi. Ha collaborato con grandi maestri, da Otto Preminger a Billy Wilder, da Alfred Hitchcock (per il quale, nel caso di Psycho, fece da consulente visivo e curò alcuni storyboard) a Kubrick e Spielberg (per il primo i credits di Spartacus e il poster di Shining, per il secondo la locandina di Schindler’s List). Fino a Martin Scorsese, che quando lo cercò la prima volta per Quei Bravi ragazzi, disse: “Saul Bass, prima ancora di incontrarlo e lavorarci, era una leggenda ai miei occhi”. Aggiungendo: “Le sue sequenze di titoli sono film in sé e per sé. Hanno la capacità di catturare il tono di un’opera in immagini reali”.

Bass con Alfred Hitchcock

Saul Bass si misurò anche con il cinema, firmando corti, uno dei quali vinse l’Oscar nel 1968, Why Man Creates, e soprattutto un originale lungometraggio di finzione, Fase IV: distruzione Terra (1974), un film di fantascienza incentrato sul confronto tra le formiche e gli uomini, che oggi ha acquisito uno status da cult movie, e nel quale è rinvenibile la sua tendenza alla stilizzazione visiva.

Citiamo ancora, in conclusione, le parole di Jan-Christopher Horak:

Come designer di pubblicità per gli studios, locandine di film, sequenze di titoli e montaggi, spot pubblicitari e loghi aziendali dagli anni ’40 agli anni ’90, Bass ha fortemente influenzato l’aspetto della pubblicità cinematografica e dei film di Hollywood. I poster di Bass e le sue sequenze di credits sono stati estremamente innovativi in ​​termini di design formale, uso dell’iconografia e contenuto narrativo. Il suo lavoro grafico non assomigliava a nessun altro a Hollywood e i suoi crediti cinematografici cambiarono per sempre il modo in cui il pubblico guardava i minuti di apertura di un film. Allo stesso tempo, tutto il suo lavoro legato al film incorporava i concetti estetici dell’arte modernista, traducendoli in nuove forme di comunicazione pubblicitaria e trasformando così delle convenzioni dell’industria cinematografica che erano rimaste relativamente stagnanti per decenni.

Un modello, il suo, che ancora oggi costituisce un punto di riferimento obbligato, cui tanti rendono omaggio. È il caso, volendone citare soltanto uno, dei titoli di testa, ispirati a Intrigo Internazionale, che Steve Fuller ha realizzato per la serie Mad Man, che racconta la vita di un’agenzia pubblicitaria di Madison Avenue negli anni Sessanta. Gli anni in cui Bass stabilì il suo magistero.

Dieci titoli di testi indimenticabili

Carmen Jones (1954), Otto Preminger

I primi titoli di testa in assoluto di Saul Bass. Sull’overture della Carmen di Bizet – importantissima è sempre per Bass l’interazione tra visual e musica – una fiamma rossa, con al suo interno una sottile rosa stilizzata, avvampa muovendosi su di un fondale nero, sul quale compaiono le scritte. L’elemento cromatico, posto al centro del quadro, suggerisce la temperatura emotiva appassionata della storia che sta per cominciare.

2. L’Uomo dal Braccio D’Oro (1955), Otto Preminger

Bass firmò poster e titoli di testa. Il colpo di genio è in quel braccio contorto, quasi spezzato, che suggerisce l’idea della dipendenza dalla droga che ha fatto a pezzi la vita del protagonista, Frank Sinatra. Nei titoli, sul tema jazz sincopato di Elmer Bernstein compaiono su un severo fondale nero delle linee bianche, a figurare l’esistenza bidimensionale del tossicomane Sinatra. Le composizioni di linee accennano a delle figure, forse le scale che conducono all’appartamento in cui il protagonista passa le sue angoscianti giornate, fino a momento in cui, quando la musica è diventata una cacofonia angosciante, le linee si fondono e formano l’iconica immagine del braccio.

3. La Donna Che Visse Due Volte (1958), Alfred Hitchcock

Sulla partitura insinuante di Bernard Herrmann, Saul Bass costruisce dei credits che posseggono lo stile allusivo e opprimente del film. Compaiono dettagli del volto, secondo una cifra costante di Bass: una bocca, in seguito uno sguardo che, con effetto sinistro, non guarda in macchina. Gli occhi prendono poi a fissare la camera, che si concentra sulla pupilla. L’immagine da desaturata che era, si accende di un rosso accecante. A quel punto l’occhio sbarrato sembra preso da un subitaneo terrore. Compare al centro il titolo del film, Vertigo. Un vortice occupa tutto lo schermo, ruotando e mutando continuamente di forma. Siamo già dentro l’atmosfera del film, risucchiati dalla sua ambiguità vischiosa e ossessiva.

4. Anatomia di Un Omicidio (1959), Otto Preminger

Il jazz firmato dal grande Duke Ellington invita Bass a una scomposizione grafica dell’immagine. Appare la sagoma stilizzata di un corpo, una di quelle che la scientifica traccia per terra quando c’è un cadavere, con la posizione della testa reclinata, innaturale. Il corpo si smembra, le parti ricompaiono separate su uno sfondo di un grigio anonimo, accanto ai titoli di testa. Il tutto comunica una freddezza da camera operatoria, ma anche l’idea dei pezzi di un identikit da ricomporre per risolvere l’enigma del delitto, in un courtroom drama che all’epoca fece scalpore per la sua scabrosità. La grafica netta e tagliente di Bass, senza colori, restituisce questa atmosfera ruvida e asciutta.

5. Intrigo Internazionale (1959), Alfred Hitchcock

Altro capolavoro, coi titoli di testa sempre ritmati dalla musica, pure qui di Bernard Herrmann. Scritte oblique, incastrate in una griglia di linee sottili, entrano in campo dall’alto e dal basso. L’inclinazione dà all’insieme un andamento drammatico, instabile, da perfetto thriller. A un certo punto la fitta maglia di linee in dissolvenza si trasforma nella facciata di un edificio su cui si riflettono le immagini di auto in movimento in una metropoli. L’atmosfera e l’ambiente ideale per una spy story contemporanea.

6. Momento Selvaggio (1961), Jack Garfein

Un dramma crudo e claustrofobico, diretto da Garfein, un regista sopravvissuto ad Auschwitz, insegnante di recitazione all’Actor’s Studio. È una storia in cui, per la prima volta, si mostra esplicitamente lo stupro di una donna che poi tenta il suicidio e viene sequestrata da un meccanico in un seminterrato. Saul Bass interpreta questa vicenda cupa e disperante con una sequenza filmata, sulle musiche di Aaron Copland, che dà vita a una complessa sinfonia urbana. C’è l’affastellarsi minaccioso in verticale dei grattacieli, poi le masse compatte degli edifici, quindi le linee dei segnali stradali, sulle quali incombono la folla anonima degli abitanti e il caotico traffico automobilistico. Un taglio insieme astratto e realistico, che restituisce la sensazione di giungla metropolitana spersonalizzante, in cui pure il sole si trasforma in un’aggressiva, ingannevole luce elettrica.

7. West Side Story (1961), Robert Wise e Jerome Robbins

In testa al film l’overture della partitura di Leonard Bernstein, un fondo colorato su cui appaiono delle linee verticali. Solo quando termina la musica, una dissolvenza rivela che esse rappresentano, in forma iperstilizzata, lo skyline di Manhattan in veduta aerea. I titoli di coda mostrano invece i credits su un muro pieno di scritte e graffi, sporco, caotico, come la metropoli in cui si è svolta questa versione urbana di Romeo e Giulietta.

8. Questo Pazzo Pazzo Pazzo Pazzo Mondo (1963), Stanley Kramer

Una svitata, irresistibile commedia a inseguimento che Bass annuncia con dei titoli di testi grafici scatenati e nonsense, con un fondale rosso su cui un omino trasporta un enorme mappamondo dal quale viene inghiottito. Lo apre dall’interno come una scatola di sardine e comincia a disporre confusamente, i nomi dei protagonisti, che mescola più volte per ottenere i nomi gusti. È solo l’inizio di un fuoco d’artificio d’invenzioni visive, che prevedono esplosioni, galline che covano il mondo, palloni, paracaduti, congegni meccanici. La più accattivante invenzione di Saul Bass.

9. Operazione Diabolica (1966), John Frankenheimer

Uno dei vertici creativi di Saul Bass. Il film di Frankenheimer è un thriller fantapolitico su un uomo che assume una nuova identità sottoponendosi a un’operazione di chirurgia estetica estrema. Perciò, sulle musiche dall’andamento drammatico e angosciante di Jerry Goldsmith, Bass inventa dei titoli di testa filmati in cui attraverso l’uso di ottiche deformanti distorce parti del volto umano riprese in primissimo piano, occhi, naso orecchie. Un’alterazione che è sia il segno della manipolazione fisica del protagonista sia dell’ingannevole distorsione percettiva cui è sottoposto, alla fine della quale scoprirà tutta la verità sull’organizzazione segreta cui si è rivolto. Una sequenza inquietante, in un bianco e nero denso e soffocante, come il film cui fa da eccezionale prologo.

10. Un Secolo Di Cinema. Viaggio Nel Cinema Americano Di Martin Scorsese (1995)

Con Scorsese Saul Bass ha avuto un’intensa collaborazione nell’ultima fase della sua carriera, passata attraverso Quei Bravi Ragazzi, Cape Fear, L’Età Dell’Innocenza, Casino. Scegliamo però l’ultimo lavoro realizzato insieme, per il bellissimo documentario che Scorsese ha dedicato al cinema americano. Un film che conferma il suo notevole acume critico da autentico cinefilo, ma che costituisce prima di ogni altra cosa un viaggio sentimentale assai personale. Quindi Saul Bass opta per una soluzione intimista, toccante: disegna semplicemente il profilo di Scorsese in bianco su un fondo nero, i colori del cinema di una volta, mentre i testi compaiono come fossero scritti a mano. L’effetto sonoro della matita mentre disegna e una melodia malinconica al pianoforte di Elmer Bernstein rendono ancora più evidente il tono autobiografico della storia.