La ripartenza dopo il Coronavirus è ancora lontana, ma noi iniziamo a pensare al rock’n’roll e ai The Cramps

Quale gruppo, se non i The Cramps, potrà accompagnare il ritorno alla vita, di qualsiasi vita in effetti si tratterà?

Photo by Yves Lorson


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Credo che potremmo e dovremmo iniziare a pensare al rock’n’roll.

Sì, non perché sia in effetti iniziato il nuovo rinascimento, la ricostruzione e quelle stronzate lì, lo sappiamo bene che non è ancora cambiato nulla, ma perché prima o poi, ci auguriamo, non potrebbe che essere così, il nuovo rinascimento, la ricostruzione o quel che è in effetti dovrà esserci, o la definitiva implosione sarà inevitabile.

Credo che potremmo e dovremmo iniziare a pensare al rock’n’roll perché è il rock’n’roll la musica che, storicamente, ci ha accompagnato nel momento della ricostruzione, della ripartenza, quando, cioè, finita la seconda guerra mondiale, l’Italia ha provato a rimettere insieme i cocci, rialzarsi e iniziare a camminare con le proprie gambe.

Ora, chiaro, qualcuno potrebbe ipotizzare, a ragione, che proprio il fatto che sia stato il rock’n’roll, simbolicamente, a accompagnarci nel nostro rimettere insieme i cocci e rialzarci per camminare con le nostre gambe, rock’n’roll arrivato da noi, con la cioccolata, per mano degli alleati americani, Carosone a cantare Tu vuò fa’ l’americano nei primi anni, Celentano a cantare i suoi ventiquattromila baci sulle orme di Elvis e Jerry Lee Lewis quando alla ricostruzione è subentrato il boom, per fare giusto un paio di nomi, attesti che noi sulle nostre gambe non ci abbiamo mai camminato davvero, il rock’n’roll solo ennesimo esplicito simbolo di una colonizzazione che in realtà ha avuto altri e ben più evidenti marcatori, perché noi, la Repubblica Italiana che proprio al centesimo giorno della quarantena andremo a festeggiare, in quel 2 giugno che per altro sarà anche il mio cinquantunesimo compleanno, siamo sin da subito diventati una sorta di succursale americana, non credo siano necessari esempi e aneddoti, ma nei fatti il rock’n’roll è assolutamente la musica che più di ogni altra ben si sposa all’idea stessa di vitalità, di ormoni che cominciano a muoversi, di voglia di evasione, di cambio repentino di corsia, di distanziamento sociale inteso come presa di distanza da quella che è la nostra famiglia di origine, prima forma di istituzione verso la quale ribellarsi per cercare se stessi, e più nello specifico dalla generazione che ci ha preceduto, la musica nata e sviluppatasi come perfetta colonna sonora per celebrare la nascita della gioventù in quanto categoria sociale e, qui so di far felici i contiani in ascolto, oltre che gli adepti di Confindustria, come fascia di mercato.

Certo, parlare di adolescenza e gioventù in questi giorni suona davvero strano, quasi paradossale. Perché se esiste una porzione della nostra popolazione che è stata totalmente esclusa da ogni piano, neanche nominata nei discorsi alla nazione, totalmente ignorata da qualsiasi ipotesi di aiuto economico ma anche semplicemente di supporto, beh, è evidentemente quello dei giovani, dai bambini in su.

Ok, proviamo a lasciare da parte la faccenda della scuola (anche dell’università), faccenda che per altro impatta clamorosamente con il diritto previsto dalla Costituzione all’istruzione e allo studio. Abbiamo una ministra alla quale io personalmente non chiederei neanche di dirmi se sto per toccare la macchina dietro mentre sto parcheggiando, figuriamoci se poteva una tale scappata di casa essere capace di affrontare dal punto di vista dell’istruzione una pandemia senza precedenti. Prova ne è il continuo rimandare decisioni fondamentali, come il decidere quando riaprire le scuole, al punto che a oggi non sappiamo se a settembre si tornerà in effetti a scuola e come, l’affrontare la didattica a distanza come neanche un diplomato a Radio Elettra, nessuna indicazione chiara, si veda la faccenda dell’assenza di rete e di device per una porzione della popolazione, l’assenza di una medesima piattaforma per tutte le scuole, perché è stata sì indicata ma non imposta, con il risultato che ci sono alunni che devono usare piattaforme diverse per materie diverse, all’interno della stessa classe, si veda la faccenda dei voti, delle insufficienze, dei compiti, tutto lasciato al caso, quando forse la sola scelta intelligente, e scuso se ho messo la parola intelligente nella medesima frase nella quale aleggia il nome della Ministra Azzolina, sarebbe stata il chiudere subito l’anno scolastico, lasciando alle singole scuole non il compito di procedere come una Armata Brancaleone verso la fine, quanto piuttosto quello di accompagnare questi mesi di isolamento con qualcosa di più sensato del semplice fare qualche ora di lezione a distanza accompagnata da, penso ai bambini delle primarie, una caterva di compiti che poggiano solo e soltanto sui genitori, a parte l’esempio anomalo di casa nostra, quasi sempre sulle mamme, quelle stesse mamme che, presumibilmente, a lavoro ripreso in sede dovranno mettersi in buona parte in aspettativa per non dover lasciare i figli a casa da soli, bella società maschilista del cazzo che siamo. 

Ok, proviamo a lasciare da parte la faccenda della scuola (anche dell’università), faccenda che per altro impatta clamorosamente con il diritto previsto dalla Costituzione all’istruzione e allo studio, la tragedia, perché di tragedia nella tragedia si parla, è che nei tanti provvedimenti pensati dal Brian Ferry di Foggia, il nostro premier, provvedimenti che forzando la Costituzione, sempre quella, ha emanato sotto forma di Decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, bypassando il Parlamento in barba al fondamento della nostra Repubblica, dei giovani non si è praticamente mai fatta menzione. Si è parlato dei runner, dei cani da pisciare, dei congiunti da andare a trovare, dei party familiari che non si possono fare, degli estetisti e dei centri massaggi, si è parlato di centri di produzione audiovisiva, e qui si potrebbe aprire l’altra partentesi, perché se permetti, per dire, a uno studio di registrazione di riaprire ma non permetti a cantanti e musicisti di muoversi lo studio apre per cosa?, per stocazzo?, si è parlato davvero di tutto, sempre concentrando l’attenzione sull’idea di far ruotare le nostre esistenze solo e esclusivamente intorno al vettore produci-consuma, ma dei giovani, dei bambini, degli adolescenti, nulla si è detto, non solo nulla di sensato, proprio nulla nulla.

Li abbiamo tenuti in casa, cautamente, con senso civico, i miei figli più piccoli, Francesco e Chiara, che come vi ho raccontato hanno avuto l’influenza prima delle chiusure delle scuole stanno in casa da ottanta giorni, senza aver mai messo il naso fuori di casa, abbiamo obbedito alle indicazioni che prevedevano non potessero uscire, perché si è parlato di passeggiate intorno al perimetro del palazzo, con distanziamento sociale del solito metro, ma se si abita, come nel nostro caso, in una zona popolata e semicentrale di Milano tutto diventa vano, l’idea di scendere per fare un giro del palazzo, sapendo di poter con buona probabilità, incontrare altri, per altro con il solo scopo di camminare intorno all’isolato, niente gioco al parchetto che si trova a poche decine di metri dal mio medesimo palazzo, i parchi giochi pubblici sono blindati e tali resteranno, perché mancherebbe l’incaricato di gestirne l’accesso contingentato, e soprattutto nessuna possibilità di incontrare amici, loro che si sono fatti bastare le videochiamate su Whatapp, le poche ore di videolezione, perché se le sommiamo parliamo di meno ore di quelle che avrebbero fatto di lezione in una sola settimana a scuola, niente corsi post-scolastici, niente piscina, niente calcio, niente compleanni di amici, quelli fatti su Zoom dopo un po’ sono iniziati a saltare, perché festeggiare su Zoom va bene a inizio pandemia, poi lo sanno tutti che è un palliativo, anche bambini di otto anni, poi, al dunque, si è ipotizzato quando gli atleti potranno tornare a allenarsi, il Dio pallone sempre a portata di mano, si è aperta la possibilità di andare nelle seconde case, si è parlato di tutto, spesso male, scontentando tutti, si è addirittura chinato il coppino di fronte alla CEI, lo dico da figlio di diacono, ripeto, da ex catechista, ma Cristo santo la messa potevamo anche continuare a seguirla su Facebook, non moriva nessuno, ma loro niente, a casa, a fare la muffa, a lasciare i loro giorni più belli a svilire dentro quattro pareti, gli ormoni degli adolescenti, quegli stessi ormoni che in primavera avrebbero invaso le città, costretti dentro pigiami e vestiti sportivi, roba che quando finalmente finirà il lock down, intendo finirà davvero, non questa robetta che ci hanno spacciato per la Fase 2, e lo dico da ultimi giapponese sull’isola, eh, non da uno che vorrebbe tornare alla vita prima di quanto scienza e buon senso indichi, non so cosa faranno, ragazzi e ragazze, sarà impossibile tenerli a freno, toccherà sedarli pesantemente.

Intendiamoci, non ho nulla contro i runner, i pisciatori di cani, magari con i calciatori sì, ma è altra faccenda, non ce l’ho con i cittadini di nessuna categoria, l’ho ripetuto allo sfinimento, specie quando andava di moda la delazione e lo sceriffismo, e so che ci sono altre, chiamiamole così, categorie che sono state escluse dai provvedimenti, non cagate, non pervenute, penso ai portatori di handicap, agli stessi anziani, cioè a coloro che in teoria questo Coronavirus ha inflitto il colpo decisivo, mortale, ma da padre di quattro figli, da padre di quattro figli che ha dovuto passare un numero consistente di ore ogni giorno, tra le quattro e le sei, dietro alle videolezioni, scarse, e i compiti, troppi, dei propri bambini, e fortuna che in casa abbiamo device per tutti e rete con fibra a due giga illimitata, e da padre di due adolescenti che evidentemente non ne possono più di non sapere come e quando potranno tornare alla vita, perché questa non è vita, e il non sapere quando potranno tornare alla vita è ancora meno vita, perché anche i condannati in carcere hanno una idea di fine pena, e di due bambini che non vedono la luce del sole, se non quella che possono vedere nei balconi di casa, e fortuna che abbiamo balconi in abbondanza in casa, direi che il problema dei minori mi è chiarissimo, e mi sta particolarmente a cuore, tanto quanto, giusto per non dimostrarmi interessato solo al microorticello di casa mia, ma anche al mondo nel quale, generosamente, ho deciso di operare, portando il mio punto di vista a gente che, con buona probabilità, non se lo meritava, mi sta a cuore la sorte del mondo dello spettacolo, a sua volta escluso da ogni provvedimento e da ogni comunicazione del Brian Ferry di Foggia, con giusto qualche big che si è stracciato le vesti piangendo per le maestranze e i colleghi più sfigati, salvo poi continuare a rimanere big, anzi, in molti casi anche a andare al Concertone del Primo Maggio, e tutti gli altri a prenderselo like usual nel culo, senza aiuti, addirittura senza possibilità di accedere ai famosi e vaghi 600 euro dell’Inps, perché per i lavoratori dello spettacolo c’erano vincoli, almeno trenta giorni lavorativi pagati a giornata, che altri non avevano, come se uno non avesse potuto lavorare in un anno meno di trenta giorni e aver guadagnato tanto quanto chi li ha lavorati, penso a chi ha fatto un singolo programma tv, per dire, e ora ritrovarsi senza entrate, nel pensarlo mi guardo allo specchio, ancora una volta il mio micro-orticello, morti di fame destinati a morire ancora più di fame, alla faccia del rock’n’roll da cui ero partito per poi trovarmi a parlare di adolescenti e di giovani.

Discorso, quello del rock’n’roll e dei giovani, che quindi provo a recuperare, perché era quello, in fondo, il filo che stavo inseguendo oggi coi miei deliranti ragionamenti al settantacinquesimo giorno di quarantena o clausura in questo mio settantacinquesimo capitolo del mio diario del contagio.

A breve, spero, a brevissimo, spero ancora di più, avremo bisogno di una colonna sonora da mettere al filmino che ci vedrà finalmente riprendere a uscire, vivere, lavorare, incontrare gente, speso senza mascherine e guanti monouso, comunque non solo e non più dentro le mura di casa.

Il rock’n’roll, ipotizzavo prima, forte anche del fatto che questi giorni di clausura globale, parlo almeno dell’Italia che è il solo paese al mondo a aver adottato un lock down così lungo e duraturo, Wuhan escluso, ma si sa, quella è una dittatura, in Italia in questi giorni di clausura abbiamo potuto riscontrare almeno una parziale estinzione di quella tanta musica demmerda della quale, in tempi non pandemici, mi trovavo a parlare mio malgrado, per altro auspicandone proprio l’estinzione e lavorando alacremente perché questa estinzione arrivasse, dalla trap dei tanti trapper di cui ho anche dimenticato il nome, artisti pret-a-porter, e la parola artista va letta con ghigno sarcastico, che senza poter mostrare mazzette di euro, righe di bamba e bei culi delle tipe sui social sono spariti in uno zot, come nei fumetti dai quali traevano ispirazione, almeno da un punto di vista di caricaturalità, a buona parte della musica itpop, con quelli bravi a esserci ancora, e ci mancherebbe altro, ma gli altri, i cloni, gli imitatori da Tale e Quale Show a essere spariti dalla scena, perché tutti si sono accorti di come il loro essere sciatti non fosse solo una posa, ma uno status quo, per non dire del mainstream, anche lì, pensiamo a che fine hanno fatto tanti di quelli che sono passati da Sanremo o usciti poco dopo, non fatemi citare gli ultimi talent, i tanti attesissimi ritorni, numeri risibili, nonostante in apparenza si abbia molto più tempo libero, numeri risibili figli del fatto che lo streaming è collassato, un numero importante di abbonamenti Premium dismessi dalle varie piattaforme alla Spotify, le radio a perdere quasi il 20% del loro pubblico, perché la gente ascolta musica prevalentemente in giro, in auto, sui mezzi, mica mentre se ne sta a casa, dove invece ricorre ai vecchi supporti fisici, o segue le serie su Netflix, mica va a sentire musica demmerda con lo smartphone, una parziale estinzione della musica demmerda che, provando a allargare lo sguardo a quel che ci attenderà una volta che la pandemia sarà finita o si sarà davvero capito come sia possibile conviverci, avrà un ulteriore giro di vite attraverso una nuova organizzazione del mondo dei live, perché anche lì arriverà la signora con la falce, a casa gli approssimativi e quelli che erano frutto di mode passeggere, spazi più circoscritti pretenderanno una selezione della proposta, infatti, con buona pace di quelli che prima c’erano per grazia ricevuta da parte di case discografiche che, dopo quasi due mesi di latitanza hanno dimostrato la loro inutilità, radio e tv, sempre che prima esistessero davvero nel mondo dei live, e via libera a chi ha sostanza e capacità comprovate, gli unici, in effetti, che possono sopravvivere a una tempesta, si spera.

E rock’n’roll sia, allora.

Esattamente come nel dopoguerra, esattamente come negli anni del boom, quello a cui dovremo in qualche modo iniziare a guardare, magari provando a trarne spunto per ipotizzare percorsi e per evitare di ripetere errori che abbiamo già dovuto pagare cari in passato.

Quindi, siccome andare a pescare nel mare magnum del rock’n’roll è faccenda che richiede tempo e energie, tempo e energie che non ho, per la faccenda del seguire la didattica a distanza cui facevo cenno prima, anche, oltre che per l’evidente difficoltà, mia come vostra, di dover lavorare come niente fosse, seppur nello straniante scenario di non avere uno straccio di idea di cosa ci attenderà domani, e di doverlo fare in ciabatte e tuta da ginnastica da casa, circondati da chi di solito a casa con noi ci stanno in giorni non lavorativi, la famiglia numerosa, nel mio caso, magari nessuno, nel caso di qualche single,  siccome andare a pescare nel mare magnum del rock’n’roll è faccenda che richiede tempo e energie, tempo e energie che non ho eccomi a andare a citarvi come ideale colonna sonora per la ripartenza, la ricostruzione, il nuovo rinascimento, anzi, il Novo Rinascimento, diamogli un nome degno di nota, la musica devastante e punkettona dei The Cramps.

Cosa, infatti, di meglio dello psychobilly di Lux Interior e Poison Ivy, Bryan e Pam Gregory alla sezione ritmica, per accompagnare il ritorno alla vita, di qualsiasi vita in effetti si tratterà?

L’irriverenza delle pose glamour, il lattice e la pelle a fare da sfondo al pari delle stoffe maculate e comunque inferiori in quantità a quanto la decenza prevederebbe, le pennate piene e distorte alla Link Wray date alla chitarra semi acustica, categoricamente una Gretsch Chet Atkins, da colei che, lo dico senza paura di essere smentito, anzi, sfidando chiunque a smentirmi, se capace, è in assoluto l’icona più sexy del rock dalla sua nascita, nei primi anni Cinquanta, a oggi, quella Poison Ivy che ha calcato le scene con sensualità e cazzimma, i capelli rossi cotonati a fare da corona a body e bikini non a caso celebrati nelle loro hit, perché, diciamocelo, Bikini Girls With a Machine Gun, tratto da quel capolavoro assoluto di garage punk psychobilly che è Stay Sick, anno del signore 1990, copertina da urlo, non può che essere la prima traccia di una qualsiasi compilation dei Cramps atta a fare da colonna sonora di questa tanto agognata Fase 3 di qui da venire, ovviamente seguita da altre bombe ai neutroni come Human Fly, Zombie Dance, Fever, Sunglasses After Dark, lei passata come nulla dallo spaccio allo stage, rock ancora prima di fare rock.

Una carica erotica, quindi, che ben si sposa all’altrettanto evidente carica devastatrice che i ritmi martellanti e compulsivi della sezione ritmica ha sempre messo al servizio di canzoni altrimenti chitarristiche, accordi suonati a sei corde, pennate piene e distorte, senza badare troppo ai dettagli e agli abbellimenti, canzoni sporche e cattive, come il rock’n’roll di sua natura non può che pretendere, ma anche lievi e solari come il vento che l’andare sul surf, immaginario messo lì tra le tracce, lascia intravedere, un immaginario, quello di Lux Interior e Poison Ivy, le due anime dalla band scoperta da Alex Chilton dei Big Star, due psicolabili amanti del rockabilly presto passati dall’essere ascoltatori all’essere protagonisti, che attinge per altro a piene mani sia dai classici di Memphis che da certo cinema horror di quelli che si guardavano al Drive-In e da certo soft-porno alla Russ Meyer, il tutto filtrato da attitudine punk e da derive psycho neanche troppo vagamente affini all’epopea di personaggi quali Bonnie & Clyde.

Ecco, diciamo che se le tanti anti-eroine portate al cinema da Russ Meyer hanno in qualche modo finito per ispirare buona parte della nouvelle vague del cinema pulp capitanata da Quentin Tarantino e Robert Rodriguez, al pari di certe dissacranti provocazioni sul sottile crinale del trash praticato da un John Waters, è evidente come l’icona Poison Ivy, ripeto, quanto di più sexy il rock’n’roll abbia espresso in circa settant’anni di storia, pensatela coi suoi babydoll tigrati o con i suoi bikini striminziti mentre suona la sua chitarra semiacustica e rimanete imperturbabili, se ce la fate, uomini o donne che siate, abbia in qualche modo segnato sia il fenomeno delle Riot Girl che buona parte del mondo delle popstar, da Gwen Stefany a Jessie J, passando per Miley Cyrus e la più rassicurante Taylor Swift.

Una eversione curvilinea, nel senso stretto di privo di asperità e spigoli, che è stata e ancora oggi è, The Cramps scomparsi con la morte prematura di Lux Interior, la loro lezione lì a disposizione dei posteri, quintessenza di spirito rock, provocazione mista a graffio, tutto sudore e umori vari.

Certo, se si parla di Cramps è quasi peccato mortale non citare almeno en passant i Tav Falco’s Panther Burns, dove oltre al titolare Tav Falco gravitavano proprio gli stessi Lux Interior e Poison Ivy, in buona compagnia dei soliti Alex Chilton e di Jeffrey Lee Pierce, anima tossica e ubriaca dei tossici e ubriachi The Gun Club, tutta roba da maneggiare con cura, certo, ma talmente carica di energia e pronta a detonare, la linguetta sganciata e lasciata cadere a terra giusto un attimo prima dell’esplosione da far correre l’adrenalina giù per la spina dorsale fino a stringerci il buco del culo, e ditemi voi se esiste altra sensazione capace di farci sentire altrettanto vivi, ascoltate Behind the Magnolia Curtain, anno del signore 1981 per sentirsi addosso tutto il marcio di quelle sessione, l’odore delle paludi come dei vicoli pisciati di Memphis.

Ecco, se devo pensare a che colonna sonora dovrebbe accompagnare il filmino del nostro ritorno in strada, quando e se questo ritorno in strada finalmente arriverà, senza più mascherine e guanti monouso, distanze sociali e paura di contagi, è con la musica dei The Cramps, di Tav Falco e i suoi Panther Burns o dei The Gun Club, o magari, guardando all’oggi, Lux Interior e Jeffrey Lee Pierce non sono più di questo mondo, Poison Ivy si è ritirata e Tav Falco è il solo ancora attivo, seppur ormai sopra i settanta, mi viene da citare quei Kris and Lou che proprio dei The Cramps stanno ripercorrendo le orme al suono del vecchio e sano psychobilly tutto chitarra, basso e batteria, stesso suono malato, stessa iconografia, addirittura stesso lettering, Kris Sinister a cantare e suonare la chitarra, Lou on the Rocks a suonare il basso, fare i cori e metterci la giusta carica di sex appeal e erotismo, la Go Wild di Brando a metterci il marchio di garanzia. Se proprio deve essere rock’n’roll, che sia di quello che ci fa contorcere e sudare.