Se è importante ricordare la storia della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo è anche importante riscoprire la storia di Fischia Il Vento, canzone partigiana a tutti gli effetti ma che troppo spesso subisce l’ombra di Bella Ciao.
Chi si trova sulla soglia delle 40 primavere – parola quantomai appropriata il 25 aprile – ha conosciuto gli anni ’90 di Materiale Resistente 1945-1995, la raccolta più indie mai uscita prima in Italia che celebrava i primi 50 anni della Liberazione. Tra gli artisti che parteciparono al progetto c’erano anche gli Skiantos del compianto Freak Antoni e a loro toccò rivisitare Fischia Il Vento. Una versione che ancora oggi passa in sordina, ma che si distingueva per la scelta di non proporre il solito pastone combat-rock, bensì per quel funk audace, forse un po’ troppo azzardato ma comunque originale.
Quando si parla di Fischia Il Vento la questione si fa seria, perché studiosi e musicisti concordano nel riportare che Bella Ciao è un qualcosa che arrivò dopo. La prima era altamente politicizzata, la seconda abbassava i toni e metteva tutti d’accordo. Forse.
La storia di Fischia Il Vento
La storia di Fischia Il Vento è anche un po’ la storia di Felice Cascione, medico ligure detto U Megu che dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, dunque dopo la nascita della Repubblica Sociale Italiana si unì a una brigata partigiana nata da pochissimo tempo nell’imperiese.
Inizialmente i suoi uomini contavano non più di 13 unità e non esistevano ancora canzoni partigiane in senso stretto, tanto che tra le brigate si consumavano vecchie canzoni socialiste e comuniste come L’Internazionale, Bandiera Rossa, La Guardia Rossa e l’anarchica Addio Lugano Bella.
Nel dicembre la sua brigata nell’alta valle di Albenga, e ai partigiani di Cascione si unì Giacomo “Ivan” Sibilla che ancora portava addosso la polvere della campagna di Russia dal 2° Reggimento Genio Pontieri. Nel suo cuore Ivan non portava solo i ricordi della Regione del Don ma anche una lezione appresa dai prigionieri e delle donne russe: il canto Katjuša, scritta proprio nel contesto del secondo conflitto mondiale dai poeti Matvej Blanter e Michail Isakovskij. Nel testo originale si raccontava del dolore di Katiuscia, appunto, che soffriva per la mancanza del suo amato partito per il servizio militare.
Quando Ivan portò il suo ricordo alla brigata partigiana di Cascione, U Megu aveva già abbozzato il testo embrionale di Fischia Il Vento mentre era ancora uno studente di medicina presso l’Università di Bologna. La melodia di Katjuša piacque particolarmente a Vittorio “Il Biondo” Rubicone e a Silvano “Vessilli” Alterisio e così questi ultimi, insieme a Ivan, abbozzarono una prima versione in italiano.
Alla composizione di Ivan, Il Biondo e Vessilli si unì Felice Cascione, e in un casolare del comune di Stellanello i 4 gettarono le basi della prima canzone partigiana ufficiale. Il testo si riadattava all’aria russa di Katjuša ma non ne diventò una traduzione ufficiale in italiano.
Nei mesi successivi Fischia Il Vento divenne oltremodo nota tra le brigate partigiane, e si ha una prima attestazione nel libro del partigiano cuneese Guido Somano, Taccuino Alla Macchia. Il 13 febbraio 1944, infatti, Somano scriveva:
“Camminiamo tutta la mattina prima di riuscire a prendere contatto con Martinengo. I suoi uomini, che dapprima ci hanno guardato con sospetto, ora fraternizzano con noi. Il loro morale è alle stelle. Cantano una canzone che non ho mai sentito e che è bellissima e che dice: ‘Fischia il vento e urla la bufera‘”.
Sarà anche Beppe Fenoglio nel suo libro Il Partigiano Johnny a citare Fischia Il Vento come una potente arma contro i fascisti. Dopo la morte di Felice Cascione, avvenuta per un agguato dei nazisti il 27 gennaio 1944, Fischia Il Vento divenne la canzone ufficiale della Brigata Garibaldi che dopo la morte di Cascione si chiamò Brigata Garibaldi “Felice Cascione”.
Fischia Il Vento o Bella Ciao?
Non deve essere una scelta, ma negli anni gli storici hanno ricostruito l’iter compositivo delle due canzoni della Resistenza e hanno dimostrato che Bella Ciao non è esattamente collocabile nella guerra partigiana.
Il ricercatore Enrico Strobino, citato da Carlo Pestelli nel libro Bella Ciao, La Canzone Della Libertà, definisce Bella Ciao “una canzone gomitolo”, rafforzato dallo stesso Pestelli che la definisce “una sorta di Bignami che racchiude tante cose”.
Più severo è stato l’ex partigiano Giorgio Bocca che, come riporta un articolo pubblicato sul Corriere Della Sera nel 2018, ha definito Bella Ciao con queste parole: “Nei venti mesi della guerra partigiana non ho mai sentito cantare Bella ciao, è stata un’invenzione del Festival di Spoleto“.
Anche Roberto Battaglia, in effetti, nella sua Storia Della Resistenza Italiana ha riportato che i partigiani conoscevano tantissimo Fischia Il Vento ma pochissimo Bella Ciao. In sostanza, le ricostruzioni sulle origini sia filologiche che melodiche della canzone hanno portato a considerarla un incrocio tra il contenuto di Fiore Di Tomba, canto popolare dell’Emilia, e la musica kletzmer del brano Koilen scritto nel 1919 da un ebreo di Odessa residente a New York. Sempre lo storico Pestelli, infine, fa notare che Bella Ciao era nota soltanto tra alcuni partigiani del modenese, del bolognese e delle Langhe piemontesi, ma che divenne oltremodo popolare nel dopoguerra in quanto meno politicizzata di Fischia Il Vento.
La storia di Fischia Il Vento ancora oggi subisce l’ombra Bella Ciao, eppure gli storici e i ricercatori sostengono che soprattutto la prima fosse un vero canto partigiano noto a quasi tutti i combattenti della Liberazione.