25 Aprile, festa della Liberazione dal Coronavirus? La risposta è 42

Mi è venuto in mente quel genio assoluto di Douglas Adams che alle domande sulla vita, l'universo e tutto il resto faceva rispondere 42 dal Pensiero Profondo


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Visto che oggi è oggi, magari, avrei dovuto dire 25, e tirare in ballo la libertà, ma nulla è più lontano da me, al momento ,che l’idea di libertà, neanche l’idea di salute, per cui niente 25, e niente 75, visto che quest’anno si sarebbe dovuto celebrare il settantacinquesimo della liberazione dal nazi-fascismo.

No.

La risposta è 42.

A sentire le opinioni discordanti, i deliri di chi in teoria dovrebbe, appunto, darci quelle benedette risposte, risposte che sono risposte a domande precise, circostanziate, come, che so?, come cazzo possiamo ripartire tutti quanti, riprendere il lavoro, perché che tutti noi siamo ormai pensati solo come esseri lavoranti ci dovrebbe essere chiaro, ci siamo ridotti in questo cul de sac, parlo soprattutto di noi che viviamo in Lombardia perché Fontana, in primis, e Conte, a seguire, hanno dovuto cedere alle pressioni di Confindustria, è evidente, e del resto i loro in teoria oppositori, penso a Beppe Sala e alla sua #Milanononsiferma e Giorgio Gori e ai suoi seicento esercizi commerciali pronti a accogliere tutti a pandemia già arrivata in città, Bergamo, non sono stati da meno, il lavoro rende liberi, il lavoro nobilita l’uomo, il lavoro ci porta dritti dritti nella tomba, lì ci ha già portato, a dirla tutta, come cazzo possiamo ripartire tutti quanti, riprendere il lavoro, se le scuole restano, legittimamente, chiuse?, perché è evidente che non sarà certo il bonus baby sitter, destinato per altro solo a una piccola fascia di reddito, a risolvere il tutto, chi cazzo aprirebbe le porte di casa a sconosciute e soprattutto chi affiderebbe i propri piccoli a sconosciute che per arrivarci in casa, con buona probabilità, attraverseranno città in mezzi pubblici stipati?, e quella dei mezzi pubblici è altra domanda che vorremmo porre, e che non avrebbe risposta, come tante altre, tutte circostanziate, precise, scientifiche, anche, tutte che riceverebbero la medesima risposta, la medesima risposta valida anche per domande assai più altisonanti, seppur oggi un filo fuori contesto, scollegata dalla contingenza, sempre che possa essere scollegata da una contingenza che ci ha tutti, e quando dico tutti intendo tutto il mondo, reclusi in casa per qualche settimana, mese, noi siamo a sessantadue giorni, per dire, la domanda sulla vita, l’universo e tutto il resto, a quella domanda, quel genio assoluto di Douglas Adams rispondeva con 42, o meglio, alla quale quel genio assoluto di Douglas Adams faceva rispondere 42 dal Pensiero Profondo, il secondo più grande computer di tutti i tempi e di tutti i luoghi, messo insieme dalla razza superpensante di scienziati riunitisi appunto per arrivare a quella risposta, 42, risposta cui seguirà, qui il colpo di genio di Adams, la domanda, perché prima Pensiero Profondo ha tirato fuori la risposta, poi i superpensanti hanno ideato un altro supercomputer per partorire la domanda la cui risposta è 42, e questo supercomputer è, guarda te la genialità e la poesia, la Terra, quel pianeta Terra il cui ultimo superstite, Arthur Dent, protagonista della serie Guida Galattica per gli Autostoppisti, dovrà abbandonare proprio all’inizio del primo volume, eponimo, perché verrà fatta esplodere, bye bye Terra, per lasciare spazio a una autostrada iperspaziale dai Vogon, quando poi sarà evidente a tutti, non si sa bene quali tutti, visto che dei terrestri sarà sopravvissuto il solo Arthur Dent, che i Vogon hanno in realtà distrutto la Terra, il supercomputer capace di produrre la domanda delle domande la cui risposta è 42, solo per parare il culo a un consorzio di psichiatri e di filosofi, più in generale di pensatori, convinti che la domanda e quindi la risposta li avrebbe mandati tutti a casa, una casa metaforica, vien da pensare.

Sto in realtà guardando su “Netflix Dirk Gently, agenzia investigativa olistica” dopo essermi divorato Lylihammer, Ozark, rivisto le prime quattro stagioni di Black Mirror e aver iniziato e per ora mollato lì Sense8, La casa di carta, giunta per noi alla seconda stagione, me la guardo la sera con Marina, quando tutti sono andati a dormire, in tv invece che col tablet, perché durante il giorno la tv della sala è impraticabile, o perché c’è qualcuno che sta studiando, o perché c’è uno dei gemelli che la sta guardando, Francesco che si sta divorando, letteralmente, Adventure Time, Teen Titans Go e Clarence, Chiara guarda prevalentemente film con animali, ma lei passa un sacco di tempo, un sacco del poco tempo che non le occupa la scuola, con una mole di compiti incredibile, mole di compiti che tocca puppare a me, come anche quelli di Francesco, già ve l’ho raccontato, lei passa un sacco del poco tempo libero che le rimane a fare lavoretti, ne sta facendo di bellissimi, con le cose che trova in casa, ovviamente, sto in realtà guardando su Netflix “Dirk Gently, agenzia investigativa olistica”, protagonista quel Dirk Gently investigatore olistico inventato da Douglas Adams, e ovviamente mi è venuta in mente questa faccenda del 42.

Riguardo Douglas Adams ho sempre avuto un sacco di dubbi. Non riguardo i suoi libri, che ho molto amato, ma riguardo l’amore che lo circonda. Intendiamoci, non voglio dire che amarlo sia un mio personale diritto, come certi recensori di magazine di nicchia o di fanzine che ritengono che appena un determinato artista diventi mainstream, e per loro essere mainstream significa spesso superare il centinaio di copie vendute, artisti che passano immediatamente dall’essere Dio all’essere equiparabile alla merda liquida, perché per essere grandi tocca piacere a pochi, spesso a fare questi ragionamenti è gente che nella società viene equiparata a propria volta alla merda liquida, andrebbe capito se c’è una relazione tra come si viene considerati e come si tende a considerare gli altri a partire da un nostro specifico know how, spesso un know how di nicchia, ininfluente, se si parla di numeri, inutile, anche, perché sapere tutto di una nicchia non ha nessuna valenza sociale, sindrome, questa del considerare prima Dio poi merda liquida chiunque esca dalla nicchia, torno a parlare sempre di mie intuizioni del passato, che nell’ormai solito romanzo Anime @ losanghe, praticamente rinchiuso in casa da sessantadue giorni sto parlando più di quello che del Coronavirus, sarà che il Coronavirus ha rotto non poco il cazzo, sindrome che ho chiamato, a ragione, la Sindrome di Rockerilla, perché sono cresciuto leggendo Rockerilla, e ho amato molti dei dischi cui davano cinque stelle, ma ho anche molto amato artisti che per loro diventavano carne da macello una volta superate le famose cento copie, alcuni sono diventati miei artisti di riferimento, ve ne sto parlando spesso in questo diario del contagio in questi miei giorni di autoreclusione, di autoisolamento, di quarantena o come cazzo avevamo deciso di chiamarli, e non voglio cadere nella stessa trappola che io stesso ho provato a indicare, quella della Sindrome di Rockerilla, appunto, non voglio fare lo spocchioso incartato dentro la mia nicchia, ma mi ha sempre molto insospettito questa notorietà da popstar di Douglas Adams, e anche qui torno su un argomento già trattato a Infinte Jest di David Foster Wallace, perché ho sempre pensato, beh, magari proprio sempre no, ma spesso, che chi diceva di adorare la serie Guida Galattica per gli Autostoppisti, in realtà, non la aveva letta, magari ce l’aveva sul comodino, non ne dubito, ma non l’aveva letto e non poteva quindi amarlo, così come capitava in tempo sospetti, cioè intorno alla sua morte, a Infinite Jest di David Foster Wallace, e in quel caso occorreva un comodino spazioso, non perché la Guida Galattica per gli Autostoppisti non meritasse, stramerita, è un libro che va letto e riletto e a ogni passaggio ci si trova qualcosa di nuovo, esattamente come Infinite Jest di David Foster Wallace, quest’ultimo più complesso e letterario, ma così, a occhio, a me tutti questi estimatori di Douglas Adams non mi hanno mai convinto, non fosse altro perché, poi, per contro, la gente tende a guardare in tv roba come Barbara D’Urso o Maria De Filippi, tende a portare in vetta alle classifiche dei libri Fabio Volo, o in vetta a quelle dei dischi gente come Mengoni o quella roba lì, e o chi ama Douglas Adams, e David Foster Wallace, poi non è capace di incidere sulle classifiche, lì murata viva in casa ben da prima della pandemia, a leggere Douglas Adams o David Foster Wallace, chissà se è il medesimo pubblico?, impossibilitati, Infinite Jest è lungo oltre millequattrocento pagine, con note scritte in corpo dieci, la Guida Galattica per gli Autostoppisti, composta dal libro omonimo, da Ristorante al termine dell’Universo, da La vita, l’Universo e tutto il resto, da Addio, e grazie per tutto il pesce e da Praticamente innocuo oltre seicentocinquanta, anche qui, scritto con un corpo minuscolo, parlo del libro che li raccoglie tutti insieme, sia chiaro, immagino manchi poi il tempo di guardare la tv, leggere Fabio Volo o qualsiasi altro libro, ascoltare musica demmerda, oppure, più semplicemente, a un sacco di gente piace citare i libri che considera fighi, così, perché citarli non costa fatica, leggerli, magari, un po’ di più, porta anche via tempo, quindi alla fine Douglas Adams va bene citarlo nel giorno del 25 maggio, il cosiddetto Towel Day, giorno che si festeggia dall’anno della sua prematura morte, nel 2001, pochi giorni dopo la sua prematura morte, avvenuta l’11 maggio del 2001, per la cronaca, Neil Gaiman, l’autore tra gli altri di Sandman, ma anche di Amedican Gods e Good Omens, Benvenuto Apocalisse nella versione libraria italiana, libro scritto in compagnia di Terry Pratchett, entrambi poi divenuti due magnifiche serie tv visibili su Amazon Prime, American Gods e Good Omens, oggi si sarà capito che sono in fase serie tv, Neil Gaiman, autore, tra gli altri, del saggio Questa non è la mia faccia, che vi ho citato ormai tantissimi giorni fa, quando questa quarantena sembrava forse ancora una cosa gestibile nell’ordine delle settimane, non dei mesi, Neil Gaiman il marito di Amanda Palmer, e so che in genere avviene il contrario, si dice Amanda Palmer la moglie di Neil Gaiman, ma nel mio caso ho conosciuto prima lei, ai tempi delle Dresed Dolls, che lui, non mi ha mai preso molto Sandman, e in tutti i casi Neil e Amanda sono Neil e Amanda, o Amanda e Neil sono Amanda e Neil, imprescindibili l’uno dall’altro, esattamente come una coppia dovrebbe essere, Marina e io siamo Marina e io (o viceversa) senza ombra di dubbio, e anche di Amanda Palmer vi ho più volte parlato, anche recentissimamente, Neil Gaiman, quel Neil Gaiman lì, ha scritto un libro molto bello che si intitola Niente Panico- La Guida Galattica per gli Autostoppisti di Douglas Adams secondo Neil Gaiman, libro illuminante sia su Douglas Adams sia su Neil Gaiman, e quindi anche su di noi, leggetelo, come magari vi consiglierei di leggere, in questi giorni di lock down, forse ultimi giorni di lock down, anche Le ultime 5 ore di Douglas Coupland, e se non avete letto anche tutto il resto della produzione di Douglas Coupland, che dire?, avete la mia compassionevole pietà, come Fiskadoro di Denis Johnson, altro autore di cui andrebbe imparata a memoria tutta la produzione, ma che ha in Fiskadoro e in Angeli i suoi punti più alti, leggeteveli, non troverete affatto conforto, vi avviso, sono libri apocalittici e catastrofici, e non certo intrisi dell’ironia di Gaiman e Pratchett nel raccontare la Buona Apocalisse nel loro romanzo, nessun conforto, quindi, ma sicuramente tanta poetica suggestione, va bene citarlo, dicevo, Douglas Adams, nel giorno del 25 maggio, il cosiddetto Towel Day,  giorno nel quale chi lo ha amato e lo ritiene opportuno lo omaggia andando in giro con un asciugamano, oggetto feticcio proprio della Guida, perché, come spiega in un noto passaggio Adams, se un autostoppista viene visto in giro con un asciugamano, nonostante le peripezie cui un autostoppista in giro per le galassie è giocoforza sottoposto, significa che è uno che sa la sua, perché avere ancora con sé un asciugamano comporta, con buona probabilità avere con sé anche altri oggetti di uso quotidiano, che so?, lo spazzolino, e denota comunque un riuscire a rimanere coi piedi per terra in qualsiasi situazione, anche senza più Terra, o citando la frase “la riposta è 42”, come in effetti ho fatto io a inizio di questo sessantaduesimo capitolo.

Non posso nascondermi dietro un dito, giorno dopo giorno mi sto sempre più rifugiando in un luogo apparentemente più sicuro, almeno dal mio punto di vista, un luogo frequentato dai miei ricordi del passato, o dalla versione da me archiviata dei miei ricordi del passato, sempre che esista una differenza di fondo tra le due categorie, frequentato dai miei libri, quelli che ho letto prima che quelli che ho scritto, frequentato dalla musica che amo.

Lo faccio perché, credo, in questa fase di estrema incertezza, con coloro che ci guidano ormai alla stregua degli imbonitori da televendita che neanche più si fanno vedere, e usano i media come grancassa, nessuno sembra più occuparsi realmente di noi, si parla di imprese, questo sì, non si parla di famiglie, si parla di ripresa economica, si fotta il motivo per cui questa economia è entrata in crisi, di colpo si ipotizza addirittura una ripartenza immediata, omogenea, anche se alcune zone non sono mai state toccate mentre altre ci sono ancora sprofondate dentro, tocca produrre, tocca consumare, tocca produrre per poter avere cose da consumare e tocca produrre per potersi permettere di consumare, nella speranza che non tocchi consumarci, lo faccio, quindi, perché in questa fase di estrema incertezza, di disperata mancanza di fiducia in chi ci guida, si fotta l’idea stessa di task force se a farne parte hanno chiamato circa trecento persone, preferisco stare in un posto nel quale sono io a decidere scenografia e trama, le mie parole a avvolgere ogni cosa, come il disinfettante dei sanificatori, veri capi di questo anomalo mondo 2.0.

Per questo, quindi, io, il mio io attuale, intendo, la mia famiglia, i miei cari che vivono a oltre quattrocento chilometri da me, tutti siamo gradualmente spariti da queste pagine, non è mica una questione casuale, non è mica successo, non è mica capitato, come tendono tutti a dire oggi per giustificare quel che hanno o non hanno fatto come avrebbero o non avrebbero dovuto fare, i contorni si sono slabbrati, l’attualità è uscita sempre più di scena, lasciando spazio al resto, quel resto che vi ha inondato su queste pagine in questi giorni, del resto un diario è un diario, se ha lo scopo di fermare sulla pagina le sensazioni oltre che gli accadimenti, e in giorni in cui si vive chiusi in casa sono molto più le sensazioni che le azioni, converrete con me, almeno dopo i primi giorni in cui si è dovuto tutti quanti prendere le misure con la nuova quotidianità che ci avrebbe accompagnato di lì in poi, è ovvio che io debba assecondare quel che sento e penso, fatto, per altro, che avrei fatto in qualsiasi altra situazione, credo ormai vi sia piuttosto chiaro, sono l’autore delle mie parole, il Dio di questo universo.

Il mondo là fuori non mi rasserena, lo lascio appunto fuori dalla mia testa, e quindi da queste pagine.

Quasi che la data del 4 maggio, quella nella quale, in teoria, decadrà il lockdown, l’ipotetica fine della quarantena e quindi anche di questo diario del contagio, mi faccia una qualche paura, che come un carcerato che ha passato troppo tempo dentro le quattro mura di una cella io guardi anche solo all’ipotesi di tornare alla vita di prima con apprensione, ben sapendo, sia io che il metaforico carcerato di cui sopra, che la vita di prima probabilmente non sarà lì a accoglierci, perché se è vero come ha detto Guccini che tutto questo non ci cambierà in meglio, la storia ce lo ha insegnato, è anche vero che i segni di tutto questo lasceranno tracce evidenti, evidentissimi, anche sulla nostra stessa salute, è noto che l’umore incida sulla nostra salute, di questo nessuno dei professoroni che ha pontificato per mesi ha speso una singola parola, figuriamoci se ci sono arrivati quei coglioni che avrebbero dovuto portare la nostra nave in salvo e che invece ci sta evidentemente guidando verso un naufragio certo.

Mi rifugio nelle mie parole, quelle le so usare, le posso indirizzare come meglio voglio e dove preferisco, perché non dovrei farne un rifugio sicuro?

Per dire, non ve l’ho raccontato in tempo reale perché non mi sembrava il caso, arrivavo da pagine dedicate alla scomparsa di Zagor, di Luis Sepulveda, ma sabato scorso è morta una delle sorelle di mia madre, mia zia Teresa. È morta in casa, strozzata dalla colazione, alla sola presenza della badante. Da mesi viveva in casa, allettata dall’incedere della vecchiaia, aveva novant’anni, e soprattutto dalla degenerazione che l’età le aveva presentato come un conto. È morta senza che le sue sorelle, i suoi nipoti, lei che era stata fieramente single tutta la vita, lei che insieme all’altra sorella single, Giuseppina, un tempo vivevano in casa con mia nonna Fiorina, avevano a lungo fatto da collante per tutta la numerosa famiglia, senza che nessuno della sua famiglia potesse salutarla, in vita, né salutarla da morta, senza una preghiera detta in pubblico, senza un funerale, anche. Niente.

Una serie di telefonate fatte al fratello e alle tre sorelle sopravvissute, mia madre è la settima di otto fratelli, sette sorelle e un solo fratello, poi a seguire le telefonate a alcuni nipoti, quelli più vicini, che si sono dovuti prendere l’incarico di organizzare le esequie per come si possono organizzare le esequie in questi strani giorni di isolamento e clausura, Ancona non è Milano, certo, ma le Marche sono state molto colpite dal Coronavirus.

Mia madre l’ha saputo così, al telefono, lei che quest’anno farà ottantatré anni, e così mio padre lo ha detto a me, al telefono, come se il Coronavirus avesse comportato per decreto del presidente del consiglio l’annullamento della morte per come la conoscevamo, non dico avevamo imparato a accettare, intendiamoci, intendo proprio come la conoscevamo, attraverso quei passaggi e quei riti che in qualche modo tentavano, a fatica, di farcela accettare, o quantomeno sembrare familiare, inquadrabile in un linguaggio decifrabile.

Mia zia Teresa ha vissuto una vita intensa, donna non sposata che ha sempre lavorato, che ha molto viaggiato, che ha frequentato una parte di Ancona che il resto della mia famiglia, per lignaggio e blasone, non avrebbe potuto frequentare. È morta a novant’anni quasi compiuti, la famiglia di mia madre è particolarmente longeva, è evidente, una sorella, Paolina, novantaduenne, un fratello più grande di mia madre di un paio di anni, una sorella, Giuliana, di poco più piccola. Tanti figli, i miei nonni, Italo e Fiorina, nati a ogni ritorno dai viaggi in nave di mio nonno, a quei tempi funzionava così.

Anche questi potrebbero essere ricordi nei quali rifugiarmi, non fosse che la fuoriuscita dei miei genitori da queste pagine, come spiegavo sopra, non è casuale, ma voluta. Pensarli da soli, moglie e marito che proprio il prossimo 4 luglio festeggeranno, se Dio vuole, aggiungerebbero loro, i sessant’anni di matrimonio, mia sorella Caterina a oltre mezz’ora da loro, bloccata in casa con la sua famiglia, loro vivono in campagna, loro hanno scelto anni fa di stare isolati, ben prima della pandemia, bloccata in casa però e anche a letto dopo il primo di un paio di interventi al ginocchio, il prossimo dovrebbe esserci fra un mesetto, mio fratello Marco a un paio di chilometri da loro, ma comunque troppi per poterli andare a trovare, e soprattutto con la consapevolezza che un contatto con persone anziane oggi potrebbe essere pericoloso per loro, pensarli da soli in casa, mia madre che non esce addirittura da gennaio, mi immalinconisce, e la malinconia non può e non deve far parte di questo mio diario, non più, così il Dio di queste pagine ha stabilito arbitrariamente.

So che il tempo passa, e che non torna. So che se sto invecchiando io, che ho cinquant’anni, stanno ancora di più invecchiando loro, i miei genitori, che ne hanno oltre ottanta, ma non voglio pensarli lontani, o meglio, non ho voglia di raccontare me che li penso lontani, io li penso costantemente, e li penso costantemente lontani, ma non voglio che finiscano in mezzo alle mie migliaia di parole, perché qui la malinconia non ha libero accesso, non più. Quindi anche la morte di mia zia Teresa, sola in casa, senza un addio, ci ha messo una settimana prima di finire nel mio diario, e lo ha fatto dopo molte più parole spese per parlare del sesso degli angeli, la riposta ufficiale alla domanda delle domande, risposta che è ovviamente 42.

Del resto, l’ho dichiarato sin da subito, tanto per non passare per un intellettualone, sono un intellettuale, non un intellettualone, sono arrivato a parlarvi di Douglas Adams perché su Netflix sto guardando, ho appena iniziato, “Dirk Genlty, agenzia investigativa olistica”, la serie dedicata all’investigatore olistico cui Adams ha dedicato dei libri, in Italia credo ne sia uscito solo uno, prima edito da Leonardo, ai tempi di Marco Tropea, e poi da Feltrinelli, mentre il resto della produzione di Adams è in catalogo alla Mondadori, un po’, mi vanto, e che cazzo, anche grazie a me, ché quando lavoravo alla parte da edicola della Mondadori, Urania, nello specifico, ho notato che il catalogo di Adams era ancora loro, e l’ho segnalato agli Oscar, nello specifico a Antonio Riccardi che degli Oscar era direttore e che quei libri ha prontamente ripubblicato nella collana Piccola Biblioteca Oscar, esattamente poco dopo che avevo segnalato che anche buona parte del catalogo di Kurt Vonnegut era ancora della Mondadori, sempre uscito per Urania, in prossimità di scadenza di contratto, ma l’ho segnalato a Massimo Turchetta, a capo degli Oscar prima di Riccardi, che di lì a poche settimane sarebbe passato a dirigere la Feltrinelli, casa editrice che non a caso avrebbe poi preso tutto il catalogo per la casa editrice di via Andegari, bye bye Kurt, hanno detto a Segrate, Dirk Gently che è appunto un investigatore olistico, non quindi un classico investigatore, e come ha ben spiegato già nella prima puntata l’assassina olistica che si è messa sulle tracce di Dirk, intenzionata a ucciderlo, non faccio spoiler, tranquilli, l’olismo è la fondamentale interconnessione di tutte le cose, sempre per dirla con parole sue, la connessione tra causa e effetto è molto più sottile di quanto tutti gli altri pensino, tutto è caos, ma sincronizzato, la vita si rigira su se stessa continuamente, parole, quelle della killer olistica, che mai come in questi giorni mi sento di fare mie, soprattutto guardando al mio essere scrittore e al mio essere scrittore che scrive un diario della quarantena, del contagio: anche io, come lei, non ho mai sbagliato la mira, non ho mai scritto le parole sbagliate.