Addio a Luis Sepúlveda, lo scrittore cileno stroncato dal Coronavirus a 71 anni

Lo scrittore, giornalista, sceneggiatore e regista ci lascia dopo una vita trascorsa a narrare il "magnifico esercizio di vivere" e trasmettere il senso dell'attivismo come approccio all'esistenza

Luis Sepúlveda

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È un giorno un po’ più triste degli altri, questo. Il mondo – letterario e non – deve infatti dire addio a un gigante quale Luis Sepúlveda, ricoverato da fine febbraio all’Ospedale universitario centrale di Oviedo e stroncato dal Coronavirus il 16 aprile.

Il suo è stato il primo caso di infezione nella regione spagnola delle Asturie. Lo scrittore era stato messo in isolamento dopo aver partecipato al festival letterario portoghese Correntes d’Éscritas, e da allora gli appassionati sono rimasti in attesa di notizie sul suo stato di salute.

Alcune settimane fa la moglie – la poetessa Carmen Yáñez – è stata costretta a smentire la notizia del coma di Luis Sepúlveda, spiegando come lo scrittore fosse stato sedato dai medici ma mostrasse comunque dei piccoli miglioramenti. Oggi, però, la notizia della morte sovverte ogni previsione di recupero, per quanto lento e faticoso.

Ciò che Luis Sepúlveda lascia dietro di sé è una vita da autentico uomo di cultura. È stato infatti scrittore, giornalista, sceneggiatore, regista e attivista per i diritti civili. Si è separato dal suo Cile dopo i turbolenti anni del regime di Pinochet, ha percorso in lungo e in largo l’America Latina e vissuto nel cuore dell’Europa, da Amburgo a Parigi, per poi stabilirsi a Oviedo, in Spagna.

La sua esistenza è stata caratterizzata da un forte impegno politico e sociale. È stato parte della Gioventù comunista e del Partito Socialista cileno, dell’Esercito di Liberazione Nazionale boliviano, ha dato risonanza alle istanze degli indios Shuar partecipando a una missione dell’UNESCO e documentandone lo svolgimento.

Nei suoi anni europei ha dedicato tempo ed energie a progetti giornalistici e di attivismo sociale, partecipando anche a spedizioni di Greenpeace sullo studio e il mantenimento degli ecosistemi più fragili.

Ogni istante della sua vita, ogni esperienza, fino a quelle più dure e infelici, hanno nutrito una visione dell’uomo quale essere sociale responsabile. Gli individui non esistono in sé e per sé e possono definirsi tali solo se capaci di contribuire a una società retta da principi di convivenza e condivisione.

Siamo esseri umani e questa condizione è determinata dal nostro essere legati alla socialità, alla possibilità di riunirci, ad essere parte di una collettività chiamata famiglia umana. Oggi c’è una tendenza ad isolare l’individuo, a fare in modo che dimentichi la sua socialità, tuttavia io mi oppongo a questo e insisto nella necessità di essere sociali, diceva.

La sua popolarità resta però legata principalmente alla narrativa. Il suo nome si associa in un istante a Storia di Una Gabbianella e del Gatto Che le Insegnò a Volare, il suo romanzo più popolare, dal quale nel 1998 è stato tratto il film d’animazione La Gabbianella e il Gatto, diretto da Enzo D’Alò e cui lo stesso Sepúlveda ha partecipato prestando la voce al poeta.

La sua opera è però ampia e variegata. Il primo bestseller è Il Vecchio Che Leggeva Romanzi d’Amore, cui si ispira l’omonimo film con Richard Dreyfuss, seguito poi da Il Mondo alla Fine del Mondo, in cui si svela la sua esperienza al fianco di Greenpeace.

La profonda eticità del suo essere traspare più che mai anche da Storia del Gatto e del Topo Che Diventò Suo Amico, in cui i diritti fondamentali di ognuno trovano un protagonismo nuovo, e Storia di Un Cane Che Insegnò a Un Bambino la Fedeltà, nel quale emerge prepotente l’amore di Luis Sepúlveda per la smisurata bellezza del mare.

Il Coronavirus potrà essersi portato via uno dei grandi scrittori contemporanei, ma il suo modo di raccontarsi resisterà al tempo e continuerà a incantare intere generazioni grazie a una narrazione profondamente umana, etica e sociale del magnifico esercizio di vivere.