Marianne & Leonard, una foto ingiallita del mito di Leonard Cohen e degli anni Sessanta

Il documentario di Nick Broomfield racconta un’epoca di amore libero, paradisi artificiali e isole del Peloponneso. Al centro le figure di Leonard Cohen, artista inquieto ed egocentrico e la donna che fu la sua musa

Marianne & Leonard

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Prima di essere la storia d’amore tra una musa e un artista, il documentario di Nick Broomfield Marianne & Leonard – Parole D’Amore è un racconto in immagini sugli anni della controcultura, sul mito meridiano della libertà e d’una esistenza senza compromessi come la visse, o immaginò di viverla, un’intera generazione alla ricerca di sé stessa.

La norvegese Marianne Ihlen è la moglie insoddisfatta d’uno scrittore che s’è rifugiata insieme al figlio piccolo Axel su di un’isola del Peloponneso, Hydra, nei primi anni Sessanta. Lì si materializza il figlio inquieto d’una benestante famiglia canadese di origini ebreo-russe, Leonard Cohen, con forti ambizioni letterarie. S’innamorano. Lei diventa la sua ispiratrice, “ero una musa greca che sedeva ai suoi piedi”, dice. Lui esaltato dalla dimensione panica, lavora tantissimo ai suoi romanzi.

Erano gli anni in cui un giornalista come Richard Wick poteva arrivare sull’isola con l’idea di rilassarsi per un paio di settimane e poi restarci quattrodici anni, irretito dalla lentezza, dalla vita senza vincoli d’una piccola comunità cosmopolita di espatriati, dalla dolcezza dei paradisi artificiali e dell’amore libero. Come quello della “coppia aperta” Marianne e Leonard: “Qualunque cosa significhi”, chiosa un’amica di quegli anni, Aviva Layton. Anche lei a lungo compagna di un letterato, Irving Layton, commenta definitiva sulla base della sua esperienza che “I poeti non sono ottimi mariti. Non puoi averli tutti per te. Sono creature elusive, sposate con le loro Muse”.

Infatti le cose cambiano velocemente. Il romanzo cui lavora furiosamente Leonard Cohen, il criptico flusso di coscienza Beautiful Losers è un fragoroso insuccesso: “Il peggior libro mai scritto in Canada”, scrive un critico. Dopo un periodo di ripensamento il suo autore, grazie anche a Judy Collins che l’aiuta a superare la paura da palcoscenico, si reinventa cantautore, con la sua voce profonda e seducente e un pugno di canzoni già mature come Birds On A Wire e So Long, Marianne.

I mesi insieme sull’isola diventano settimane e poi giorni, la storia d’amore si spegne e Leonard assapora la sua inattesa seconda vita d’artista idolatrato, inseguito costantemente dalla depressione – “viveva nell’oscurità”, dice il suo chitarrista Ron Cornelius –, gettato a capofitto nel massiccio consumo di droghe e negli innumerevoli incontri con donne adoranti – col senno di poi lui ne parla come di “un film a luci rosse senza romanticismo”.

Marianne & Leonard affascina per la qualità e quantità dei materiali d’archivio su cui Nick Broomfield, che di Marianne fu fugacemente amante, ha lavorato. Che comprendono inediti, riprese in pellicola girate sull’isola dal grande documentarista D.A. Pennebaker, pezzi del film a lungo invisibile Bird On A Wire di Tony Palmer sulla tournée europea di Leonard Cohen del 1972, cui si aggiungono fotografie e le tante interviste dei colleghi e sodali d’un tempo. Il racconto restituisce l’aria esaltante, rilassata e ondivaga d’una stagione utopistica, di cui mostra anche il prezzo: l’internamento in un istituito di Axel, figlio sbandato di Marianne, la tragica fine dei Johnston, la colta famiglia che aveva accolto il giovane Leonard sull’isola la quale, una volta tornata in patria, viene funestata da suicidi e fughe paranoiche nella tossicodipendenza.

Un’immagine degli ultimi anni di Marianne Ihlen

La storia d’amore funge da cornice ma la figura di Marianne resta sfocata, mentre emergono le tappe della carriera di Leonard Cohen, gli anni Settanta dei successi, le esperienze professionali spiacevoli – la collaborazione con Phil Spector –, il percorso esistenziale dei lunghi periodi di ricerca spirituale in un monastero buddista, i rovesci professionali – la ex manager gli sottrae milioni lasciandolo senza un soldo e costringendolo, ormai anziano, a tornare sul palco, baciato da un successo persino più clamoroso.

Il difetto maggiore del documentario sta nel voler trovare a tutti i costi un finale dolciastro e conciliante con tanto di morale. Che starebbe in una lettera scritta da Leonard a Marianne pochi mesi prima della morte di entrambi nel 2016, un messaggio di commiato alla vita e un omaggio a un legame che, nonostante tutto, non si sarebbe mai spezzato. Ma è una aggiunta che sa di posticcio, come quelle riprese, volute dalla stessa Marianne, di lei nel letto d’ospedale negli ultimi giorni di vita, che lasciano una sensazione inopportuna di invasività, poco in linea con un racconto dall’andamento rapsodico ed elusivo. Che funziona meglio come foto ingiallita di un’epoca che, agli occhi un po’ egocentrici e autoassolutori del regista che l’ha vissuta, resta leggendaria.