Pugili Fragili di Piero Pelù ci insegna che l’artista intoccabile non esiste (recensione)

Il disco è un'opera da accettare, non un capolavoro: la voce dei Litfiba dimostra di essere libero di fare ciò che vuole


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Da Via De’ Bardi al Festival di Sanremo Pugili Fragili di Piero Pelù arriva come una risultante, un ticket staccato dall’agendina delle memorie per siglare un traguardo, l’evoluzione che per molti artisti è necessaria. Un’evoluzione che non è nel contenuto artistico ma nel modo di muoversi nella carriera, e sappiamo bene che Piero è sempre stata la rockstar italiana che negli anni ha sovvertito regole e modi.

Non lo ha fatto con gli scandali, ma ha scandalizzato i puristi presentandosi ora come coach nei talent show e ora sul palco dell’Ariston per farci capire che quel ragazzaccio con le lunghe basette, il cornucuore, il capello lungo e il torso nudo fa sempre quello che gli pare. Se prima entrava nelle nostre case come l’amico folle con gli stivali, l’accento fiorentino e le manie da intrattenitore di folle, ora è lo zio rock che incendia la festa e dà un senso di libertà a tutto.

Con Gigante ha voluto suggellare i suoi 40 anni di carriera: “Dopo tanti anni di rock’n’roll puoi permetterti di tutto”, e lo ha fatto. Alla sua prima esperienza con un’orchestra ha portato all’Ariston la sua anima rock, ha ridipinto Cuore Matto di Little Tony con i colori del punk-rock e con il registro emozionale che era tipico del nome al quale tutti lo associamo: Litfiba.

Con Pugili Fragili di Piero Pelù scopriamo la sesta opera da solista di un frontman che oggi è una delle voci più autorevoli del rock italiano, capace di trasformare il palco in un’occasione per lanciare messaggi di protesta, sensibilizzazione e trasgressione, ma senza sconfinare nello scandalo. Oltraggioso a volte, forse, ma quando si tratta di invitare il pubblico ad alzare la testa e a usare il rispetto per il prossimo qualche parolaccia scappa sempre.

Abbiamo riso di lui quando fece scoppiare il caso delle matite copiative, lo abbiamo imitato per il suo caratteristico stile canoro e lo abbiamo adorato sin dagli esordi, adottandolo come se fosse un fratello maggiore bizzarro, saggio e provocatorio. A questo giro, diversi anni dopo Fenomeni (2008), Piero Pelù si è preso ancora più libertà e ha messo le chitarre distorte al servizio del beat elettronico, a modo suo.

Pugili Fragili è l’opera che fa storcere il naso, riflettere e scuotere la testa. Chi come il sottoscritto ha quella brutta cosa che ti fa fossilizzare sulla trilogia del potere dei Litfiba non fa che skippare ogni brano, per poi riascoltarlo e cercare di catturare qualcosa di buono. Tanti sono, infatti, i punti interessanti del disco che però non vengono fuori come meriterebbero, nascosti nell’ombra proiettata dalle intenzioni.

Luca Chiaravalli, produttore del disco, ha lasciato la sua impronta pop-rock e l’ha fatta diventare il filrouge dell’intera tracklist: 10 canzoni che vogliono essere rock ma che di fatto sono pop nella migliore accezione del termine, mentre il pogo e il sentimento viscerale del rock fanno da condimento. Dovevamo aspettarcelo, del resto, dopo quella Picnic All’Inferno che punta in alto grazie alla voce di Greta Thunberg ma che non spara lontano.

Picnic All’Inferno apre il disco e coniuga cantautorato, protesta e rock prima di lasciare spazio alla più frizzante Gigante, una leggerezza che a Sanremo ha funzionato nella superficie ma che ci ha restituito l’immagine di un rocker che oggi pensa solo a divertirsi nonostante abbia sempre a cuore i problemi del mondo.

Ferro Caldo cita l’arpeggio di settima di Shine On You Crazy Diamond dei Pink Floyd e lo riforma sul rullante in battere, creando l’atmosfera che è tipica del rock più classico – celebrazione, potenza, caos e Sì! gridati un po’ qua e un po’ là – ma di cui probabilmente oggi non sentiamo più il bisogno.

Pugili Fragili
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Per accettare Pugili Fragili di Piero Pelù dobbiamo dimenticarci che negli ultimi 30 anni il rock è cambiato. Pelù prova, invece, a passeggiare su ciò che è stato cavalcando ciò che oggi è, ma non possiamo dire che riesca pienamente nell’intento.

Riesce a convincerci con la title-track, quella malinconica e saggia Pugili Fragili in cui fa i conti con i suoi anni e la sua generazione per riconoscere il suo ruolo di portavoce, di uomo che ha “fatto cose” e “visto gente” e che oggi proietta sul nostro muro il suo film allegorico. Una ballata, la title-track, in cui scompaiono le chitarre distorte tranne nel canonico assolo, una cosa che in fondo ci si aspettava.

Luna Nuda è quasi dance, e fa un po’ di effetto ricordare che il nome del nostro satellite era anche il titolo del lato A del singolo Luna/La Preda del periodo più geniale dei Litfiba, quando insieme ai Diaframma portarono in Italia la new wave. Luna Nuda è il pezzo frivolo del disco, scritto a 4 mani con Sarcina de Le Vibrazioni ma che ci induce a skippare, e lo facciamo per un motivo: dopo c’è Cuore Matto e possiamo ancora fare le corna per aria. La cover di Little Tony è il punto 0 del disco, un buon episodio di rock vecchio stile che era tipico del secondo tempo dei Litfiba, quello di El Diablo e/o Fata Morgana.

Nata Libera è una ballata in 6/8, introdotta da chitarre pulite e filtrate che fanno l’occhiolino a un Ghigo vestito da cowboy. Le muse di Piero Pelù sono principesse acide ed evanescenti, e lo capiamo in questa storia dark che racconta il femminicidio con gli occhi della follia, un po’ come fecero Nick Cave e Kylie Minogue per Where The Wild Roses Grow. Parla l’uomo nero che possiede e annienta la sua metà, in Nata Libera, ossessionato da quella visione di lei che vuole allontanarsi da lui.

Non ha mai nascosto, Piero, il suo sentimento sul tema della violenza sulle donne, una triste realtà che ancora oggi non trova soluzione. Sul palco dell’Ariston ha esibito il suo nastro per sensibilizzare sull’argomento e lo ha ribadito a più riprese: ecco perché il rock è violenza sono negli occhi di chi non conosce il rock, e non è un caso se proprio il rock si è fatto spesso portavoce di messaggi di pace e uguaglianza.

Fossi Foco ospita Appino dei The Zen Circus e quasi disegna intorno al cantautore un brano che sembra scritto per lui, anche se di sicuro la sua penna avrebbe smussato e definito meglio tutte le dinamiche. Fossi Foco rivisita il sonetto di Cecco Angiolieri per insegnarlo ai giovani con un registro più basso rispetto alla storica versione di Fabrizio De André.

Stereo Santo e Canicola sono gli esempi più rock. Non emergono per genialità né atmosfera, ma si fanno sentire in termini di caos e rumore, con batterie e chitarre distorte ben presenti e dominanti come l’attitudine di Piero Pelù che sceglie di chiudere il disco con la sua impronta più indelebile e scanzonata.

Uno sciamano, Piero, che ancora oggi non è stanco di dominare la scena quando sale sul palco. Dove passa lui tutto si incendia e tutto si autoalimenta, e ciò che ci ha divertito è stato l’ultimo show a Sanremo quando ha giocato lo scherzo della borsetta sottratta a una spettatrice.

Un uomo ancora pieno di energia e positività, Piero, che non è più il ragazzo crepuscolare de La Preda né l’iguana ispirata di Istanbul: non si presenta sul palco barcollante e non mostra il dito medio alla telecamera per fare il cinquantenne trasgry. Piero Pelù è una presenza imponente e quasi ipnotica, che con quel modo di fare un po’ da ragazzaccio e un po’ da maldestro maledetto conquista anche chi non lo conosce.

Perché spendere tante parole su Pugili Fragili di Piero Pelù? Domanda che spaventa e non poco. Pugili Fragili non è un buon album e non è il capolavoro atteso dopo 12 anni di silenzio solista. Il disco è la festa personale di un rocker libero da inibizioni e con tanta voglia di dire ancora la sua sulle donne, sull’ambiente e sulla società, e se questi messaggi sono veicolati dal mainstream la cosa è sempre buona.

Non un disco da ascoltare ma un’opera da accettare: in queste 10 tracce non ci sono i Litfiba e nemmeno il Piero di Bomba Boomerang, non c’è il rock ruvido né la vera “ciccia”. Non sapremo mai, probabilmente, quale sia il capolavoro del ragazzo di Via De’ Bardi, perché Piero ha messo la faccia su tante realtà musicali a partire dalle due repubbliche dei Litfiba che sono quella degli inizi new wave/post punk e quella della seconda era più rock e tamarra, quando aveva adottato lo stile di canto che oggi è un fatto peculiare. Trovare il capolavoro scomoderebbe i gusti, e questo non ci piace.

Oggi Piero Pelù è così: resta umile e ci chiama “ragazzacci”, crea un disco che non ha pretese se non quella di essere una piattaforma dalla quale esprimersi e festeggiare i suoi 40 anni di una carriera che durerà per sempre. Per chi ha seguito Pelù dagli esordi, in pratica, questo disco è la marachella che quando viene commessa dal fratello maggiore diventa importante.

Nessun artista è inattaccabile e per fortuna Piero lo sa, per questo ci offre una tracklist divertente, profonda in due punti, casinista in quasi tutto il percorso e ottima nella scelta del sound. Non nel resto. “Hey! Stai parlando di Piero Pelù, non di (artista trap a caso)”. Appunto, perché ci ritroviamo ad ascoltare questo?

Pugili Fragili di Piero Pelù è un disco consapevolmente mediocre.