Benigni a Sanremo sorprende la platea con un inno al desiderio e all’amore carnale (video)

Roberto Benigni offre a Sanremo una parentesi di senso d'inattaccabile purezza, uno sguardo alla vita spogliata delle distorsioni e di qualsiasi malizia

Roberto Benigni a Sanremo 2020

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Non stupisce, ormai, che la presenza di Roberto Benigni a Sanremo – o ad altre trasmissioni Rai – sia scandita da un fiorire di critiche e riflessioni varie. Al netto di ogni considerazione sul suo generoso cachet, però, resta l’esibizione di un uomo di spettacolo sempre sul pezzo, intenso, capace di polarizzare il consenso della platea alla sua consolidata maniera.

L’arrivo di Benigni a Sanremo è segnalato dallo scoccare delle 22:55, da scrosci di applausi, bande musicali e ore già trascorse fra i concorrenti in gara e gli ospiti internazionali. La riverente accoglienza di Amadeus è l’inevitabile avvio di una comparsata che è una vera e propria manifestazione della Benignità che tanti italiani amano, e che forse altrettanti contestano.

Anche quest’anno Roberto Benigni porta a Sanremo l’esilarante bagaglio comico delle apparizioni precedenti – l’incontro coi Soliti ignoti di Pippo Baudo, ad esempio – come pure inevitabili menzioni di Federico Fellini e Alberto Sordi. L’attualità, invece, si fa spazio solo per pochi istanti con sottili richiami a infelici uscite salviniane, dal citofono ai pieni poteri.

Ma la visita di Benigni a Sanremo è più che mai una lettera d’amore al Festival e alla sua lunga storia, un susseguirsi di anni al quale l’attore lega infiniti ricordi personali carichi d’affetto. Un affetto che raggiunge l’apice nel presentare al pubblico una meraviglia dell’umanità, Il Cantico dei Cantici.

E così si svela l’oggetto del suo intervento, di una prova che colpisce allo stomaco l’ingessata prevedibilità di una serata sonnolenta. Il pubblico dell’Ariston e gli spettatori a casa riscoprono dunque ciò su cui l’artista sceglie di far luce, la vetta della poesia di tutti i tempi, la prima canzone scritta nella storia dell’umanità, un testo così bello da esser diventato sacro.

È un Cantico dei Cantici-show, ma è anche e soprattutto un inno ai baci, all’intreccio dei corpi, all’erotismo e alla sensualità. Un messaggio così fisico, così potente, racconta Benigni con sguardo rapito, da costringere a interpretazioni allegoriche per trovar posto nella Bibbia.

Siamo al mondo per amare, commenta, per amare di un amore erotico che fa più paura di guerre e violenze. Siamo al mondo per dar corpo a un sentimento che rappresenta tutte le coppie che si amano e tutte le persone che amano. E nel silenzio – entusiasta? Rispettoso? Oltraggiato? – dell’Ariston, l’emozione del suo tono concitato e della sua interpretazione accorata raccontano di un uomo interessato alla condivisione estatica, non alla polemica.

È un po’ uomo e un po’ bambino il Benigni che a Sanremo sceglie di arrivare al cuore di un’esperienza umana fondamentale. C’è l’uomo nella decisione ferma e, sì, sfrontata di portare al Festival il gergo del sesso senza pudici fronzoli. C’è il bambino nella libertà da un pudore che è l’inevitabile peso del farsi posto del mondo.

Difficile definire inappropriato il frutto di una riflessione così candida. Perché, ancor più che in passato, Roberto Benigni offre a Sanremo una parentesi di senso d’inattaccabile purezza, uno sguardo alla vita spogliata delle distorsioni e di qualsiasi malizia. Il suo, in fondo, resta l’animo di un bambino ancora capace di stupirsi, di gioire del bello, e di volerlo condividere. E tanto basta.