Il 13 gennaio 1968 è il giorno di Johnny Cash alla Folsom Prison, il live nel carcere che diventò un disco

In scaletta inserì anche una canzone scritta appositamente per lui da un detenuto


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L’arrivo di Johnny Cash alla Folsom Prison non era una cosa di tutti i giorni. Era il 13 gennaio 1968 e quella non era Woodstock: c’era la sicurezza, ma non pattugliava solamente i punti strategici della location. Le guardie stazionavano in ogni angolo e in ogni ingresso, con lo sguardo rivolto ora al palco e ora al pubblico. Il pubblico non era una folla di appassionati seminudi con un’idea di libertà che di lì a poco si sarebbe rivelata fallimentare. Non c’erano ragazzi e ragazze in stato di grazia e non si attendevano squadre intere di star che avrebbero intrattenuto i presenti dal mattino alla notte.

Non c’erano, soprattutto, luci colorate sul palco e tanto meno ci si accampava sul fango nella totale libertà di muoversi e ballare. Ciò che mancava, quel giorno, era proprio la libertà. Johnny Cash sfidò questo concetto e dopo ripetute e asfissianti insistenze riuscì a ottenere il consenso di esibirsi in un posto esclusivo e inusuale: la mensa di un carcere di massima sicurezza.

36 anni, una chitarra e un elegante abito nero, il cantautore di Kingsland era lì per guardare in faccia i detenuti e offrire loro ben due momenti di gioia: uno show alle 9:40 e uno nell’ora del pranzo, ed entrambi sarebbero stati registrati nel doppio disco Johnny Cash At Folsom Prison.

At Folsom Prison
  • Audio CD – Audiobook
  • Columbia (Publisher)

Nessuna luce colorata dal momento che nella sala mensa di un carcere l’unica illuminazione disponibile era quella della fredda luce al neon e nessun pubblico festante sotto il palco: i detenuti dovevano stare seduti e composti. Le guardie sorvegliavano, e non erano semplici pattuglie presenti in una grande venue per accertarsi che nessuno si facesse male.

Johnny Cash, questo, lo sapeva. La sua casa discografica dovette cedere alle sue pressioni – quando mai un discografico acconsentirebbe a un concerto gratuito all’interno di una casa di detenzione? – e Cash dimostrò di conoscere quel mondo. Il suo passato burrascoso aveva temprato il suo spirito, e probabilmente per questo si presentò al suo pubblico inusuale con un semplice: “Hey! Sono Johnny Cash”.

Tutto doveva essere pacifico e ristoratore. Tredici anni prima aveva scritto il brano Folsom Prison Blues che scelse per aprire il concerto. Tagliente e spudorato, Cash sparò sui detenuti i suoi versi pieni di forza e audacia: “Mia madre mi diceva sempre: ‘Figlio, non giocare mai con le armi’, ma ho sparato un uomo a Reno solo per vederlo morire”.

All’evento parteciparono l’inseparabile June Carter, gli Statler Brothers e la band composta da Marshall Grant al basso, W.S. Holland alle percussioni e Carl Perkins alla chitarra elettrica. Due giorni prima, mentre i musicisti alloggiavano in un motel di Sacramanto, furono raggiunti dal reverendo Folyd Gressett, nientemeno che il cappellano del carcere di Folsom.

Questi consegnò a Johnny Cash un foglietto con sopra scritto il testo del brano Greystone Chapel. Si trattava di una canzone scritta da un detenuto, Glen Shirley, che aveva espresso al cappellano Gressett di recapitare quelle parole a Johnny Cash. Il cantautore scelse Greystone Chapel come brano di chiusura di entrambe le esibizioni:

Il prossimo brano è stato scritto da un uomo che si trova qui, nella prigione di Folsom. L’ho cantata per la prima volta solo ieri sera. Ebbene, questa canzone è stata scritta dal nostro amico Glen Shirley. Spero di riuscire a rendere giustizia al tuo brano, Glen. Faremo del nostro meglio.

Quella di Johnny Cash fu un’esibizione tra simili, in quanto egli stesso aveva provato l’esperienza del carcere e sapeva che quei detenuti non avevano bisogno di retorica né finto amore. Era lì, Cash, per parlare con lo stesso linguaggio e dimostrare che con la musica si poteva davvero fare qualcosa di sensato.

Lo raccontò egli stesso nella sua autobiografia:

Mi trovavo nel mio ambiente naturale, come uno scarafaggio nella stanza di un motel. Mi ha sempre fatto ridere il fatto che a fare crescere la mia credibilità d’artista, al punto tale che la ABC abbia pensato di propormi di condurre uno show settimanale in televisione, sia stato quel concerto in cui io e i prigionieri ci siamo trovati uno accanto all’altro, outsider, ribelli e fuorilegge.

Il live di Johnny Cash alla Folsom Prison è ancora oggi un esempio di uguaglianza, di rottura di ogni barriera tra artista e pubblico.