La Dea Fortuna di Özpetek, un melodramma sui sentimenti e sul tempo che passa

L’arrivo di due bambini obbliga una coppia gay a confrontarsi con una relazione giunta al capolinea. Pur non rinunciando ad elementi tipici del suo cinema, il regista punta su toni più sommessi e sinceri. E firma, grazie anche ad Accorsi e Leo, un film malinconico ed equilibrato

La Dea Fortuna


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La Dea Fortuna comincia con un lungo piano sequenza, che parte da un dettaglio di teschi disegnati su una parete e, attraverso una lunga teoria di stanze d’una casa nobiliare, si arresta davanti a una porta chiusa, dietro cui qualcuno sta gridando. Per Ferzan Özpetek parrebbe quasi un ritorno ai misteri, i fantasmi, i barocchismi dell’ambizioso, sovraccarico Napoli Velata. In realtà dopo il prologo il film muove in tutt’altra direzione. E diventa un racconto di vita quotidiana, il cui pregio maggiore è proprio nella radiografia della normalità di una storia di coppia, senza particolari colpi di scena, mettendo da parte gli intrecci vistosamente romanzeschi su caso e destino.

Arturo (Stefano Accorsi), intellettuale, traduttore e quindi precario e Alessandro (Edoardo Leo), idraulico e quindi benestante, sono una coppia omosessuale di lungo corso, quindici anni di vita insieme. In una delle primissime sequenze si capisce come stanno le cose: Arturo sta riprendendo col cellulare la festa sulla loro terrazza d’una coppia di amici che s’è appena sposata, fino a che nell’inquadratura non finisce Alessandro che, con tutta evidenza, l’ha appena tradito. Gli scricchiolii della coppia diventano ancora più vistosi quando compare Annamaria (Jasmine Trinca), legatissima ad Alessandro e responsabile dell’incontro, e del colpo di fulmine, tra lui e Arturo. Dovendosi ricoverare per accertamenti chiede agli amici del cuore di ospitare per qualche giorno i suoi due figli, Martina e Alessandro (Sara Ciocca ed Edoardo Brandi).

L’ingresso nel loro ménage in crisi dei due bambini ha un ulteriore effetto di detonazione, perché li obbliga a misurarsi con la fragilità e la necessaria sincerità dei propri sentimenti. Sempre avendo sullo sfondo la precarietà della situazione di Annamaria, per una malattia dai contorni non chiari, che crea in loro grande apprensione.

La cornice de La Dea Fortuna recupera lo stile e il microcosmo canonico del cinema di Özpetek: un condominio che è una comunità allargata di amici forte e coesa, i momenti conviviali, le canzoni e i balli sotto la pioggia che sciolgono – o almeno sospendono – drammi e incomprensioni. Da un lato il regista si muove quindi nel perimetro che gli è più noto. Dall’altro però, stimolato da suggestioni sentite e autobiografiche – legate anche alla scomparsa recente del fratello Asaf, cui il film è dedicato – scrive insieme a Gianni Romoli e Silvia Ranfagni una sceneggiatura sommessa, senza leziosità. L’andamento è malinconico, segnato dal tempo che passa e da un forte senso di perdita, come nel personaggio dell’amico affetto da demenza senile (Filippo Nigro), affettuosamente accudito dalla moglie.

Grazie poi alla presenza del personaggio di Alessandro, di diversa estrazione sociale, Özpetek si sottrae almeno parzialmente al consolidato coté altoborghese del suo cinema. Ne esce una storia di amori e disamori che procede come una lenta anatomia dei sentimenti – che Accorsi e Leo interpretano con misura –, ritmata da recriminazioni reciproche, il desiderio di farla finita, le incertezze e i ritorni di fiamma che possono appartenere a chiunque viva insieme da tanto tempo.

Giocato su toni insistentemente minimalisti, per La Dea Fortuna la cosa più difficile è arrrivare a una conclusione, trovata con qualche forzatura nella dimensione fin troppo metaforica del viaggio. Che consente però l’entrata in scena della madre di Alessandra, una Barbara Alberti cupissima nobildonna che vive in una enorme magione decadente (la villa Valguarnera di Bagheria), che riporta il film alla dimensione dark e melodrammatica del prologo. Ed è la scossa necessaria offerta ai due stanchi protagonisti per fare chiarezza rispetto a ciò che vogliono essere per sé stessi e per i due bambini che la dea fortuna ha posto sul loro incerto cammino.