Lavastoviglie degli Anticorpi: la canzone che mi ha fatto sussultare

Dietro l'apparente leggerezza di Lavastoviglie, lo dico senza paura di essere smentito, si cela in realtà un'opera letteraria impressionante


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Nel 1996, ormai una vita fa, ho fatto un’esperienza di quelle che difficilmente uno poi si dimentica. Nanni Balestrini, che all’epoca mi stava introducendo al mondo delle lettere, era il direttore artistico di una bellissima iniziativa che si chiamava Venezia Poesia, e mi chiamò a dargli una mano. Non che avessi qualcosa di specifico da fare, si trattava più che altro di star lì e occuparsi di pratiche anche piuttosto veloci da sbrigare, ma nel mentre avevo modo di assistere a tutta una serie di incontri pubblici e soprattutto incontri privati che mi avrebbero letteralmente aperto gli occhi. Perché l’idea di Nanni Balestrini, uno dei più importanti poeti e narratori del nostro Novecento, tra i fondatori del Gruppo 63 e talmente tante altre cose che faticherei a riassumere qui, in poche righe, era quella di mostrare a un pubblico eterogeneo, quindi non di addetti ai lavori, come la poesia fosse tutt’altro che polverosa e morta, cosa che per altro aveva già fatto coi suoi libri e con tutte le sue attività editoriali e musicali, ma, andando oltre, anche che esistesse una nuova genia di poeti, ancora non decifrati come tali dal sistema accademico, men che meno dal pubblico dei libri. In quell’edizione, infatti, ripeto, parliamo di quasi venticinque anni fa, erano presenti a Venezia Poesia anche Militant A degli Assalti Frontali, voce storica delle posse, ancora appartenenti al passato prossimo, e Lou X. Due rapper che, insieme a una crew proveniente da Marsiglia di cui l’incipiente vecchiaia mi non mi sta facendo ricordare il nome, era lì a portare quella strana forma di poesia che si adagiava ritmicamente su delle basi. Uno potrebbe dire, e sticazzi, sai che novità il rap! Ripeto, parliamo del 1996, non di ieri. Per dire, Quelli che Benpensano di Frankie Hi NRG Mc uscirà un anno dopo. Supercafone di Piotta tre anni dopo. Mondo Marcio e Fabri Fibra, coloro che in qualche modo compiranno il passo decisivo per lo sdoganamento del genere addirittura una decina di anni dopo. Insomma, fidatevi, per quei tempi fu un gesto coraggioso, nonché una scossa. Tra quanti invece avevano un ruolo decisamente più fondante di Venezia Poesia c’era un poeta, non so se già all’epoca intento nei poetry slam, ma da lì a poco sicuramente sì, che di Nanni è stato ben più di un braccio destro, Lello Voce. Con le sue opere ha provato, riuscendoci perfettamente, a mescolare poesia e musica, andando a iscriversi a quel novero di artisti che hanno abbattuto gli steccati, penso a un Gil Scott Heron. Poesia contaminata, musica contaminata, direi se non mi fosse chiaro che in realtà la poesia è poesia anche per quella contaminazione, esattamente come la musica.

Questo piccolo shock personale, considerando che mi ero avvicinato a Balestrini, un po’ ingenuamente, proprio perché attratto da quel suo scrivere in lasse ritmiche, qualcosa che ai miei occhi ricordava, o meglio precedeva, le barre del rap, io che ero in quegli anni di studio sul rap americano, oggetto di una tesi in Storia Americana che non avrei poi mai discusso, mi spinse definitivamente verso la scrittura, e verso una scrittura che si trovasse esattamente a metà strada tra letteratura e musica, non solo come tematiche, per buona parte della mia produzione, ma anche e soprattutto come cifra stilistica.

Nanni Balestrini, purtroppo, non è più tra noi, ma nel tempo, anche grazie a fenomeni che sfociano quasi nel pop come una Kate Tempest, o per restare a noi, di un Murubutu, l’idea di questa commistione è diventata più naturale, quasi quotidiana. Del resto, Lello Voce continua nella sua opera, spesso in compagnia di quel genio musicale che risponde al nome di Frank Nemola.

Per questo quando mi è capitato tra le mani Lavastoviglie degli Anticorpi ho avuto un sussulto. Quasi un’emozione, e sapete quanto io sia restio a parlare di emozioni, non fosse altro perché poi sarei costretto a cercarvi uno a uno e eliminarvi, per non lasciare testimoni di quella che nell’immaginario italico sembra essere una debolezza. Perché dietro l’apparente leggerezza di Lavastoviglie, lo dico senza paura di essere smentito, si cela in realtà un’opera letteraria impressionante, interessantissima.

Faccio una pausa. Perché gli Anticorpi, nel presentare questo loro primo singolo, hanno intessuto una comunicazione che di suo vorrebbe e dovrebbe attirare l’attenzione. Gli Anticorpi, infatti, sono una band virtuale, quando guarderete il video qui ospitato capirete di cosa parlo. Una band che, attenzione, non è virtuale in quanto i membri siano celati dietro nick name o trucchi alla Kiss, ma perché, un po’ alla Gorillaz, i membri della band sono in realtà virtuali, addirittura più di quanti non siano nella realtà dei fatti, e in questo vanno oltre la band di Damon Albarn e soci. Essendo uno dei suoi fondatori un romanziere, la bio della band, come le facce che appaiono nel video e nei futuri video andranno a raccontare, è qualcosa di più simile a un romanzo che a semplice video promozionale. E il mondo che ci arriva dal testo della canzone e dalle immagini del video è quantomai letterario, a tratti fantascientifico, essendo il reale descritto una sorta di accelerazione negativa della nostra quotidianità, con gli apparecchi del nostro vivere che prendono il sopravvento su di noi. Sebastian, Fabiano e Elettra, personaggio quest’ultimo soltanto virtuale, non avendo un corrispettivo reale nel duo maschile che gli Anticorpi anima, danno vita a un progetto assolutamente avant-pop, sulla falsa riga di quella che fu l’opera di Mark Leyner, nella consapevolezza che nella provocazione postmoderna è ancora oggi nascosto uno dei pochi modi per disinnescare l’apocalisse, per anestetizzare, cioè, l’amarezza che l’abissale caduta dei valori che il capitalismo ha vorticosamente portato con sé attraverso una risata squassante, a volte anche scomposta, ma comunque plastica. Un tempo si sarebbe parlato di situazionismo, si sarebbero tirati in ballo Guy Debord con la sua lettura della società dello spettacolo, oggi il rischio potrebbe essere semmai per essere confusi per uno di quei ragazzini che se ne va a X Factor a cantare di Carote, quello sì del tutto inconsapevole di come anche il nonsense avrebbe dei codici da rispettare, non certo da usare bellamente come fossero semplici attrezzi trovati in garage. Maneggiare con cura, si diceva un tempo, intendendo con quello non tanto un monito verso chi ha fatto dell’incuria il proprio modus operandi, quanto un consiglio accorato a seguire fino in fondo le indicazioni scritte sul bugiardino. Le controindicazioni in questo caso non possono indurre sicuramente sonnolenza, ma allucinazioni sì.

E non fosse così potente la canzone, che solo in apparenza può apparire leggera, forse anche trash, ma che nella realtà gioca potentemente con le parole e le immagini, frutto di uno studio non solo musicale, coi rimandi evidenti al kraut-rock, a un post-punk distopico come quello che da noi ha avuto in personaggi quali Ferretti e Zamboni i propri alfieri, e la scelta della cover Curami, nel repertorio della band e nella tracklist dell’album d’esordio, non è certo casuale, e alle più contemporanee derive sintetiche di artisti come Aphex Twin, mi dovrei soffermare sulle fantasiose biografie dei tre personaggi che vedete nel video, gli Anticorpi, appunto. Ma trattandosi solo del primo passo di quella che mi auguro sia una lunga narrazione, preferisco lasciare che la vostra curiosità si appaghi con l’ascolto della canzone. Lavastoviglie, per altro, è solo il primo singolo di un progetto che ha nell’album Vota Estinzione, titolo che lascia intuire come di qualcosa di assai meno leggero di quel che sembra si tratti, e soprattutto nei live della band un suo sviluppo futuro che dovrebbe non lasciarci indifferenti.

Il fatto che gli Anticorpi siano in realtà due uomini neanche troppo giovani non credo sia oggetto di interesse per chi legge, perché il patto narrativo nell’affrontare Lavastoviglie come le future uscite, è quello di fidarsi delle tante fandonie che hanno scritto e preparato per noi. Crediamo a questa band virtuale, allora, e alla loro visione apocalittica del mondo. Crediamo a un uso intelligente dell’elettronica in un’epoca che è riuscita nell’impresa apparentemente improba di far passare l’elettropop per qualcosa di talmente polveroso da suonare ormai antico. Crediamo a un progetto musicale, e già questo dovrebbe farci saltare in piedi battendo le mani, perché oggi ci dicono tutti che il futuro è nei singoli, non certo nei progetti musicali di ampio respiro, come se di colpo in letteratura andassero di moda i racconti invece che i romanzi, per restare nel discorso letterario da cui siamo partiti. Crediamo negli Anticorpi o più semplicemente ascoltiamoli, mettendo via gli occhiali gialli del pregiudizio e quelli rossi dell’ira funesta, e lasciando che il loro mondo futuristicamente color ghiaccio diventi il nostro.