Il fenomeno Serena Brancale, cantante perfetta, in bilico tra Jazz e canzone d’autore

Ok ho sbagliato e chiedo scusa. L'ho stroncata in passato ma solo gli idioti non cambiano idea. Serena Brancale è un fenomeno di quelli veri, tra cultura jazzistica, voce, bellezza sfacciata, ritmo e acuta ironia


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Solo chi è stupido non cambia idea.

Avrei potuto cominciare così.

Anzi, ho proprio cominciato così. Ma è una falsa partenza. Perché si cambia idea solo se un’idea è sbagliata, non per dar credito a un modo di dire abbastanza stupido. Per dire, sono un convinto antifascista, e non ho la minima intenzione di cambiare idea a riguardo, proprio perché non sono stupido.

Solo che a volte ci facciamo idee sbagliate, e allora, se lo capiamo, se abbiamo la fortuna o il talento per capirlo, credo sia intelligente ammettere di aver avuto un’idea stupida, e esporne una nuova.

A me è successo così.

Non è successo solo una volta, quindi quello che state leggendo non è la cronaca di un cinquantenne che per la prima volta si trova a dover cambiare idea, per altro sottolineando come l’averlo fatto sia indicatore di una certa intelligenza. No, mi è capitato più e più volte, un po’ come a tutti, immagino. Un po’ meno spesso, credo, mi è capitato in musica, in quello che è il mio mestiere. Questo perché in genere scrivo solo di argomenti sui quali pratico una certa sicurezza, e perché in genere sono piuttosto certo di quello che scrivo.

Ora, ne sono certo, ci sarà qualcuno pronto a alzare il ditino, con fare da maestrino, per indicarmi quelli che, genericamente, vengono indicati come miei ripensamenti riguardo determinati artisti. Non mi nascondo dietro un filo d’erba, so bene che il mio nome, la mia firma dovrei forse dire, è spesso associato a stroncature anche piuttosto eclatanti e dirompenti. Lo so perché vedo cosa succede sui social ogniqualvolta ne scrivo una, e so lo so perché me lo dicono costantemente gli artisti che mi capita di incontrare, come anche gli addetti stampa e i discografici. Vengo considerato uno cattivo, per dirla con parole tutto sommato buone. Uno stronzo, credo, volendo abbattere quella patina di ipocrisia. Un sadico serial killer, per usare invece una descrizione un po’ meno poetica. Per questo, se capita che io stronchi malamente qualcuno e poi, magari all’album successivo, che ne parli bene, ecco che tutti, dove per tutti intendo tutti coloro che commentano, che condividono, che ne parlano, a dire che ho cambiato idea su Tizio o su Caio. Faccio due esempi, piuttosto noti. Il primo riguarda Lorenzo Fragola. La faccenda è nota. Anni fa ho accompagnato mia figlia al suo concerto milanese, all’Alcatraz, e mentre ero lì ho scritto un pezzo che è uscito l’indomani. Un pezzo, passati un tot di anni lo posso dire serenamente, di una violenza spropositata. Violenza che per altro raramente utilizzo con gli esordienti. Il fatto era che Fragola era sì un esordiente, ma avendo vinto da poco X Factor era un esordiente con le spalle già abbastanza larghe, credevo, perché quelle spalle erano anche le spalle di Sky e della Sony, che lo spingeva forsennatamente. Lui reagì piuttosto male, criticandomi molto duramente sulle pagine di un altro quotidiano, fatto che tradiva per altro una certa inesperienza, e arrivando a darmi dell’omofobo. Al Festival di Sanremo, pochi mesi dopo, tentai un approccio, non fosse altro perché anagraficamente potrebbe anche essere mio figlio, ma la cosa non funzionò. Anche perché nel mentre stroncai anche quel brano, assolutamente inappropriato.

Quando poi preparò il suo nuovo lavoro, sorprendendomi, mi invitò nello studio di Eros, dove lo aveva registrato, per un ascolto in solitaria. Un modo, immagino, per confrontarsi vis a vis col “nemico”. L’ascolto mi sorprese ancora più del suo invito, perché ravvisai nel suo lavoro una voglia di sperimentare che assolutamente non avevo trovato nelle sue prime tracce. Era una via elegante verso un elettropop che non aveva ancora fatto troppo breccia sul nostro mercato, e la sua voce ben si adattava a quelle sonorità fredde e ripetitive. Insomma, ne scrissi bene. Ma non cambia affatto idea. Il suo primo album continuava a farmi cagare. Il suo live mi ha fatto cagare. Il suo nuovo album mi era piaciuto. Senza dovermi ricredere sulle mie vecchie idee. Lo stesso è successo poi con Levante. L’ho criticata duramente perché, a mio avviso, lei funziona alla grande su Instagram, ma dedica molta più attenzione a farsi le foto che a scrivere e produrre le sue canzoni, col risultato che sta tirando fuori album non all’altezza della sua fama. Lei pure si incazzò, fan tutti così, dandomi del maschilista alla festa di Wired. Ovviamente, come nel caso di Fragola, in mia assenza. Poi la andai a vedere al Teatro Dal Verme, il giorno delle ultime elezioni politiche, e apprezzai molto il suo concerto vagamente folk e acustico. Ne scrissi su Rolling Stone, allora collaboravo con loro, e dissi che continuavo a pensare tutto quello che avevo scritto in precedenza, salvo aver apprezzato quel suo live, così distante dalla produzione dei suoi dischi. Dissi, in sostanza, che ritenevo lei assai più brava a cantare, specie con quei suoni sotto, di quanto non fosse a scrivere canzoni e a farsele arrangiare e produrre da Filippelli, il suo producer. Anche qui si parlò a sproposito di mio ripensamento. Ma io anche oggi ritengo i suoi dischi inascoltabili, nulla è successo nella mia testa, state sereni.

Ho invece radicalmente cambiato idea rispetto a quanto scrissi, ammetto frettolosamente, riguardo Serena Brancale al suo fugace passaggio sanremese.

No, non va bene. Sembro Fonzie che non riesce a chiedere scusa.

Non è vero, non sono stato tanto frettoloso, quanto piuttosto manieristico, e nel mio essere di maniera c’era una certa malafede, posso dirlo serenamente oggi che è scattata la prescrizione a riguardo. Ero quello che stroncava tutti, il cattivo, e stavo tornando a ricoprire un ruolo nel sistema della critica musicale, che avevo fugacemente occupato oltre dieci anni prima. Stroncare anche lei, in gara al Sanremo Giovani 2015 con Galleggiare era una scorciatoia. Come dire, siccome dei giovani nessuno ha memoria dopo il loro passaggio, chi noterà mai che ho stroncato Tizia o Caia?

In realtà, lo confesso, sul momento la canzone mi era parsa, anche lei, di maniera. Una cosa raffinata e jazzata fatta per essere considerata raffinata e jazzata, per di più presentata da una cantante che ostentava una bellezza quasi sfacciata, il che ovviamente non è un male, direi che le mie battaglie a riguardo non solo della parità di genere in musica ma anche della libertà di usare il proprio corpo come cazzo pare loro parli per me, e so anche che quel che appare è che io stia cercando delle giustificazioni, ancora Fonzie qui a non riuscire a chiedere scusa, lettura corretta della situazione. Insomma, la faccio breve, ho stroncato malamente Galleggiare, salvo poi capire, nei giorni successivi al Festival, di aver fatto una cazzata colossale. Di quelle proprio brutte, che volendo potevano anche passare in cavalleria, visto che Serena Brancale era stata eliminata e che in genere chi viene eliminato scompare nel nulla, ma che proprio perché errore bruciante, clamoroso, appunto mi bruciava. Così, questo è scritto nel mio inbox di posta elettronica, provai a ricucire la situazione, cercando di intervistarla, per poterle chiedere scusa di persona e dichiarare urbi et orbi la cantonata presa. Perché Serena Brancale è un fenomeno. Ma un fenomeno vero. E già nel 2015, dopo quella prima cazzata scritta, la faccenda mi era più che evidente. Chiaramente, visto che era stata eliminata, la sua casa discografica non era interessata a farmela intervistare, ormai archiviata. E la cosa finì lì.

Oggi sono in grado di rendere questo mio errore pubblico, e non lo faccio come un Philip Roth che cincischiava e si soffermava sulle proprie debolezze, anche quelle meno raccontabili, per farne poetica. No, lo faccio perché nel mentre Serena Brancale ha tirato fuori un altro album che è un vero portento, e che tutti, ma quando dico tutti intendo proprio tutti tutti, dovreste sentire. L’album si intitola Vita Da Artista, e temo sia uscito solo in digitale. Dico temo perché sapete coma io la pensi riguardo al digitale, e anche perché le foto di copertina, che Serena ha iniziato a condividere su Instagram assai prima dell’uscita del lavoro, sono di quelle che rendono assai chiara la definizione di bellezza sfacciata cui facevo riferimento prima. Vita Da Artista è un po’ la summa di cosa Serena Brancale è, una perfetta cantante in bilico tra jazz, canzone d’autore, e per canzone d’autore intendo quella che il Club Tenco ormai da anni non riesce più a decifrare, infatti Serena, a differenza di un Achille Lauro, non è stata invitata come superospite, e un pop di qualità molto ma molto alto. Serena ha una voce incredibile, capace di accalappiare note apparentemente inaccalappiabili, ma anche di muoversi sul piano della ritmica, parliamo di scat che però è parola e non solo suono, come poche altre in Italia. Come poche altre in Italia anche perché, nonostante io stia scrivendo queste mie parole stimolato a farlo dopo aver assistito a una prova generale fatta al Blue Note di Milano, superospite Fabrizio Bosso, quindi nella patria del jazz in compagnia di un grande jazzista, Serena Brancale è in realtà una cantante pop, con la preparazione di una cantante jazz, e non solo. Perché Serena Brancale usa anche le macchine, la loop station, la tastiera, le percussioni elettroniche, e nel farlo usa la propria voce come uno strumento, mettendo in mostra una capacità canora fuori dal comune, che ben si lega al suo modo di affrontare il palco, (e credo la vita). Seguitela sui social, altroché Levante. Vi sarà chiaro che una delle cifre più evidenti di Serena, più ancora di quella bellezza sfacciata, è una ironia acuta, di quelle che sono così ironiche e acute da ridar vita ex post al postmoderno. Una ironia talmente acuta da, sulle prime, spiazzare, quasi innervosire. Quella stessa ironia la muove sul palco, le permette di diventare un tutt’uno con la musica, con quelle canzoni che lei stessa ha scritto, facendo del suo corpo un ulteriore strumento, visibile invece che ascoltabile.

Ora, qualcuno potrà pensare che queste mie intempestive scuse arrivino proprio perché l’ho vista dal vivo, ma lei è testimone che gliele ho fatte pervenire per tempo, in privato. Ma averla vista dal vivo, seppur nelle prove, mi ha confermato quello che l’ascolto del disco in questione, ascolto che ho tristemente fatto in digitale, io che odio il digitale, porca di quella puttana, mi aveva già abbondantemente dimostrato: Serena Brancale è un fenomeno. Un fenomeno vero. Un fenomeno che dovrebbe diventare mainstream, ne ha le doti e soprattutto le sue canzoni, seppur limitrofe al jazz, sono assimilabili anche da palati poco avvezzi a quei sapori.

Ecco, fossi Giovanni Veronesi, per dirne una, la inviterei fissa al bel programma che sta portando avanti su Rai 2, con Rubini, Haber e Papaleo, Maledetti Amici Miei. Serena impiegherebbe pochi secondi a diventare quella supereroina che, non ce ne voglia Wonder Woman, ancora manca al magico mondo Marvel. Ma visto che probabilmente Veronesi non legge quel che scrivo, andatevela a cercare da soli, sul digitale, prima, e dal vivo, poi, capirete che Serena Brancale è un fenomeno vero. Catwoman scansa