Ho fatto ascoltare il primo album dei Led Zeppelin al mio nipotino di 8 anni

Osservare un bambino al suo primo ascolto delle terzine di Bonzo fa strano, ma diventa difficile quando bisogna spiegargli il blues


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A mio nipote, probabilmente, piace il primo album dei Led Zeppelin. Dico “probabilmente” perché Giorgio ha 8 anni e sono dell’opinione che chi si deve affacciare per la prima volta all’opera di Robert Plant, Jimmy Page, John Bonham e John Paul Jones debba partire dai brani più mainstream. “Led Zeppelin” e “mainstream” stridono un po’, forse, perché quest’ultima parola viene avversata dal pubblico rockettaro più fedele, ma stiamo parlando di mio nipote al quale, con fatica, sto insegnando i canoni del rock. Sono partito dai Nirvana e dai Beatles, ma non posso tralasciare le terzine di Bonzo e tanto meno la sporcizia chitarristica di Page. 

Giorgio – che voglio salvare dalla trap – rimane colpito dall’intro di Good Times Bad Times e gli spiego che tutto questo avveniva nel 1969, quando dalle ceneri dei New Yardbirds nascevano i Led Zeppelin, forse inconsapevoli che un giorno avrebbero scritto la storia. Una storia per la quale dobbiamo fare focus sulla performance di Bonzo e sul suono della chitarra di Page: il primo riesce a mitragliarti il petto con quella cassa che rimbalza su se stessa facendo una gargantuesca pernacchia ai drummer che usano il doppio pedale – sì, Bonham aveva soltanto un pedale e una cassa – mentre il secondo ha scelto di amplificare la sua chitarra con un Leslie, un amplificatore che veniva impiegato esclusivamente per gli organi Hammond. Il risultato sta tutto nella struttura: precisione militaresca, groove e amplessi sonori

Babe I’m Gonna Leave You conquista il marmocchio con i suoi arpeggi e con le schitarrate frenetiche dell’acustica di Page, perché tutta l’inquietudine di Robert Plant si colloca nei singhiozzi percussivi, ma per fargli capire cosa si cela dietro You Shook Me devo parlargli di Willie Dixon e della passione che i Led Zeppelin avevano per il blues. La chitarra segue la linea vocale e per questo gli cito l’esempio di Jimi Hendrix, ma è troppo presto per parlargli di sensualità. Ricorro, dunque, alla parola “dolcezza” e passo a Dazed And Confused: “Non senti questa dolcissima lentezza?”, lui annuisce e gli spiego che quello è il blues: “Sono canzoni d’amore un po’ particolari. Diciamo che sono più lente perché così si capiscono bene le parole”. Dazed And Confused è il brano del basso pulsante di Jones e della chitarra di Page suonata con l’archetto di violino.

Led Zeppelin I era il primo album di Robert Plant e soci, una band che mio nipote può aggiungere alla sua collezione dopo i Nirvana e i Beatles, una triade che lo aiuterà a crescere e a farsi un’idea dei nomi migliori del rock che abbiano mai toccato la Terra. Gli parlo di John Bonham, quel batterista autodidatta che conferì più dignità al suo ruolo seguendo l’esempio di Keith Moon degli Who e dal quale partirono fenomeni come Dale Crover dei Melvins, Dave Grohl dei Nirvana e di cui, in Italia, troviamo esempi in Luca Ferrari dei Verdena e Francesco Valente del Teatro Degli Orrori

“Un giorno ti farò ascoltare Moby Dick, gli dico, perché Moby Dick è il manifesto monumentale di Bonzo, la sua performance più esemplare, specie quando lo sentiamo picchiare le pelli con le mani. L’eredità sonica di Bonham, tuttavia, sta tutta nell’esplosione del suo riff di batteria di Good Times Bad Times: il primo album dei Led Zeppelin parte col botto, con un Bonzo in piena forma che dà una lezione a tutti quelli che verranno dopo. Anche a Giorgio, che oggi impara che il rock è una lezione di tecnica, sentimento e intuizione.