Irene Ghiotto vince il premio Anatomia Femminile

Irene incarna alla perfezione il concetto stesso che ha mosso e credo continuerà a muovere, Anatomia Femminile e tutto quel che ci ruota intorno


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Credo che se fossi un tipo diplomatico dovrei dire che ho faticato parecchio a scegliere. Dovrei parlare di tormento interiore, suppongo, descrivere ore e ore passate lì a rimirare una lista lunghissima. Magari dovrei parlare di notti insonni, non fosse che in effetti insonne lo sono davvero, ma chi è insonne ben sa che di notte non si fanno poi questi ragionamenti così lucidi, anzi, si vive in una sorta di bolla in cui fatti non reali si confondono con la realtà, senza contorni e delimitazioni, come quando in passato mi capitava, è successo per anni, di iniziare a pensare di non riuscire più a respirare, e nel momento in cui lo pensavo, zac, smettere di respirare, e dove cominciare a pensare di respirare per farlo, ogni volta che smettevo di pensare a respirare una apnea, come in un incubo, con la sola differenza che da un incubo ci si può risvegliare, magari di colpo, il cuore a mille, senza fiato, appunto, ma se si è svegli, perché insonni, non se ne esce mica, si smette di respirare e basta, fino alla morte, quindi ci si concentra su quello e si passano ore e ore a pensare di respirare, semplicemente per evitare di morire asfissiato, non esattamente un vita piacevole, converrete. E e se non fossi insonne, quindi, dovrei anche tirare in ballo le notti insonni, anche se ora sono terrorizzato all’idea di non riuscire a respirare stanotte, fanculo me e il momento in cui mi è venuto in mente questa faccenda, relegata in un angolo del cervello da un subconscio quantomai amorevole.

Comunque, non vi sarà sfuggito, non sono particolarmente diplomantico, per cui niente cazzate, non ho faticato affatto. Quando ho deciso, arbitrariamente, per una sorta di autoinvestitura dettata dal fatto che io ho dato vita al progetto Anatomia Femminile, e che io ho proposto a Giordano Sangiorgi, patron del MEI-Meeting delle Etichette Indipendenti, di assegnare all’interno della serata denominata Il Premio dei Premi, un Premio Anatomia Femminile, figlio dei tre progetti discografici che portano questo nome, e soprattutto figlio del Festivalino di Anatomia Femminile, giunto anch’esso alla terza edizione, con oltre trecento artiste coinvolte e oltre trecentoventicinque video pubblicati. Ecco, quando ho deciso, arbitrariamente, che a vincere la prima edizione del Premio Anatomia Femminile, premio che consegnerò di mio pugno al teatro Masini di Faenza sabato 5 ottobre, serata durante la quale consegnerò anche il Premio Speciale Indie Music Like 2019, per il suo album Distanza In Stanza a Margherita Zanin, fatto che mi onora, perché trovo la Zanin artista parecchio interessante e perché adoro l’idea di essere stato scelto per premiare una artista donna, io che ho fatto della tutela della parità di genere nella musica italiana una sorta di missione, magari suicida ma pur sempre una missione. Ecco, quando ho deciso, arbitrariamente, che a vincere la prima edizione del Premio Anatomia Femminile dovesse essere Irene Ghiotto non ho esitato neanche un secondo. Come fosse la cosa più naturale del mondo, come se non avessi fatto altro in vita mia che consegnarle quel premio.

Non perché in questi anni di Anatomia Femminile non ci siano state tante altre artiste meritevoli di ricevere un premio del genere, intendiamoci, e col dire questo non sto affatto mettendo le mani avanti, né cercando di riconquistare un briciolo di diplomazia, ahimé, sono cosciente che quando una cosa l’hai detta l’hai detta, anche in questa epoca frammentaria e vaporizzata, dove tutto è valido e il contrario di tutto pure, ma perché Irene Ghiotto incarna alla perfezione, e mai la parola “carne” è stata più coerentemente infilata dentro una frase, il concetto stesso che ha mosso e muove, e credo continuerà a muovere, Anatomia Femminile e tutto quel che ci ruota intorno.

Nelle motivazioni, che prosaicamente sono poi finite nel comunicato stampa diramato dal MEI, dico questo: “è una delle promotrici del progetto Anatomia Femminile, sia nella sua versione online che in quella fisica. Al punto da aver deciso di intraprendere anche con la sua carriera musicale un percorso di enpowerment che l’ha portata a sposare la strada dell’autoproduzione e del controllo totale sulla propria arte. Per di più non dimenticando, nella sua poetica come nel suo immaginario, la centralità del proprio corpo, provando a portare nel cantautorato, perché di cantautorato si sta parlando, una consciousness ultimamente dimenticata dalle nostre parti. Il suo album di prossima uscita SuperFluo è un concentrato di tutto quanto una cantautrice dovrebbe fare in Italia oggi.”, e potrei quindi fermarmi qui, ma credo che non vi sia sfuggito che no, non mi fermerò qui, perché come vi ho ripetuto più volte, se una cosa la posso dire in trenta parole è molto ma molto probabile che provi a dirvela in tremila, per il gusto di farlo.

Intendiamoci, tutto quello che è lì tra virgolette è vero. Irene Ghiotto è un monumento all’Anatomia Femminile, intesa come quell’Anatomia Femminile lì, non quella che si occupa di studiare il corpo. O meglio, è un monumento anche a quella, perché se ascoltate con attenzione le canzoni che compongono SuperFluo, e so bene che per farlo dovrete pazientare fino a fine ottobre, quando il disco finalmente sarà uscito, quindi direi se iniziate con l’ascoltare con attenzione il suo singolo Assurdità, possibilmente anche accompagnato con quel concentrato di genialità che è il video che Irene Ghiotto ha ben pensato di associare al singolo in questione, con tutta quella sequela gioiosa e surreale di animali che si accoppiano, ecco, se ascoltate con attenzione Assurdità e se ascolterete poi con attenzione anche le altre canzoni di SuperFluo, a partire dal prossimo singolo, anche questo accompagnato da un video strepitoso, Preghiera per tutti, non potrete che convenire con me che lei, Irene Ghiotto, e la sua musica tutta è un monumento bellissimo all’Anatomia Femminile, nel senso del cantatuorato femminile e della presa di coscienza di cosa voglia dire oggi essere donna e essere cantautrice, con un corpo, una voce, un talento, insomma, il pacchetto completo. Un monumento, ma di quelli belli belli, non di quelli su cui i piccioni cagano, per intendersi, di quelli che li vedi e resti senza parole, tipo la Sagrada Famiglia a Barcellona, per capirsi, ti emozioni, ti ecciti pure, volendo anche sessualmente, perché siamo fatti di corpi, Irene Ghiotto ben lo sa e le sue canzoni ce lo ricordano costantemente, tutta la sua estetica ce lo ricorda costantemente, sia quella che finisce dentro le canzoni, sia quella che finisce nei suoi video, nelle sue immagini promozionali, nei suoi arrangiamenti curati con una perizia e una eleganza che levati chiunque tu sia che hai provato a pensare per un attimo che quella nota l’avresti fatta suonare a un altro strumento, tutti perfettamente al loro posto. Un monumento che per essere tale, quel monumento lì, ha dovuto far tutto da sola, perché il nostro è un mondo di uomini, lo cantava una vita fa James Brown, figuriamoci se le cose sono cambiati, e perché la discografia è invece un mondo di uomini stupidi, incapaci di vedere la bellezza, o per dirla con Raymond Carver, uno scrittore che, fosse arrivato a pubblicare oggi probabilmente non ce l’avrebbe fatta, per dirla con Raymond Carver nella sua poesia “Voi non sapete che cos’è l’amore”: “Non ce n’è uno di voi in questa stanza che riconoscerebbe l’amore neanche se si alzasse e ve lo mettesse in culo”. Ecco, un verso questo, ci scommetto, che a Irene Ghiotto piacerà molto, perché, se nel mentre avrete già ascoltato e visto Assurdità e se poi ascolterete le altre canzoni di SuperFluo vi sarà più che evidente che Irene Ghiotto, la cantautrice che sabato 5 ottobre al Teatro Masini di Faenza, nell’ambito del Premio dei Primi durante la venticinquesima edizione del MEI-IL Meeting delle Etichette Indipendenti riceverà dalle mie mani il primo Premio Anatomia Femminile, ha una poetica arguta e ficcante, ironica e carnale, provocatrice e empatica. Una artista poliedrica, archetipo della donna multitasking contrapposta all’uomo che riesce a fare solo una cosa alla volta, archetipo, quest’ultimo, che mi manda fuori di testa tanto quanto quello dell’uomo che con trentasette di febbre è moribondo a letto, sia messo agli atti, ma lei, Irene Ghiotto, è davvero archetipo dell’artista rinascimentale che cura ogni aspetto dell’arte, della sua arte, sentitela parlare, oltre che cantare, e capirete quanto nulla di quello che fa sia casuale. Un talento, anche questo, che è figlio del talento stesso, certo, ma anche della necessità, quella dovuta al doversi destreggiare in un mondo sordo, o semplicemente pigramente indifferente. Notate i dettagli delle sue canzoni, i suoni che ha scelto con cura, tutti i suoni, le parole, le armonie che si dipanano traccia dopo traccia, le melodie che ti si inchiodano alla mente.

Lo so, qualcuno pensando a quanto io sai poco generoso nei confronti delle grandi produzioni, anzi, a quanto io sia quasi crudele nell’inchiodarle a una tavola di legno, come certi ragazzi cattivi nei film americani fanno con le lucertole, per farle bruciare dal sole, ecco, qualcuno pensando a quanto io sia sadicamente crudele nei confronti di certi artisti mainstream ultrafamosi, penso a una donna, su tutte, Laura Pausini, o a un Mengoni, per dire, penserà, leggendo queste mie parole, che io sia troppo generoso nei confronti di Irene Ghiotto. Che sia paradossale. A mia volta provocatorio. Ma siete lontani dal vero, miei cari. Tutto quello che ho scritto è vero, ogni singola parola, come ogni parola e ogni nota che Irene Ghiotto ha scritto e canta è vera. Eccessiva, forse, SuperFluo, appunto, ma vera. Come l’amore, quando dentro questa stanza si alza e ve lo mette in culo.