La libertà di essere donna e le stonature di Fabio Volo e Mattia Marzi

Scindere la morale oggettiva dal proprio costrutto è faticoso. Poi se i giovani critici musicali ragionano come alcuni artisti il rischio è grande e l'orizzonte si fa fosco


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Giorni fa sono successe due cose che mi hanno fatto riflettere. Non che ne avessi questo strenuo bisogno, di riflettere, ma è andata così. Nelle stesse ore di un lunedì mattina di settembre, di quelli che qualcuno si affretta a definire il lunedì più difficile dell’anno, come se ce ne fossero di facili, due persone hanno espresso opinioni sul femminile che mi hanno lasciato interdetto. E non solo a me. Almeno nel primo caso. Perché uno delle due persone in questione ha in effetti esplicitamente detto qualcosa sul femminile di quelle che se hai un minimo di senso etico ti si accappona la pelle. L’altra no. Non ha proprio menzionato il mondo delle donne, e implicitamente ne ha negato l’esistenza, andando quindi forse a fare anche peggio, perché seppur molto meno famoso e di conseguenza anche meno letto, ha la stima di addetti ai lavori, me compresa, che con questo pezzo in parte è stata tradita.

Andiamo con ordine.

Fabio Volo ha deciso di iniziare il suo programma a Radio Deejay del lunedì dando del mignottone a Ariana Grande. È di Brescia, ho pensato inizialmente correndo con la mente a quando il suo compaesano Francesco Renga si è incartato parlando della voce sgradevole delle cantanti donne al Dopo Festival, al cospetto di un basito Rocco Papaleo e di un ormai tramortito Claudio Baglioni. Perché Fabio Volo, questo hanno riportato le cronache, ha fatto esattamente la stessa strada di Renga, non si è limitato a dire una stronzata, quando qualcuno, nel caso di Renga tutti, nel caso di Volo la sua collega Viola Afrifa, ha provato a fargli notare che stava pestando un merdone lui, invece di dire “ho scherzato e mi è venuta male” o di inventarsi una qualche scusa plausibile, tipo sono stato posseduto da Diego Fusaro, ha ben pensato di andare oltre specificando il suo, chiamiamolo generosamente così, pensiero. Nei fatti Fabio Volo ha detto che mentre era in palestra, in Australia, se non ho capito male, mentre lui correva sul tapis rulant negli schermi della palestra andava questo video di Ariana Grande che a quattro zampe (parole sue) diceva di volerne sempre di più. Fabio Volo ha usato parole come puttanone, nella declinazione bresciana, ha parlato di introimento, di messaggio negativo rivolto al suo pubblico, di Ariana Grande, fatto di bambine. Ha rivendicato il diritto di fare questo discorso, senza dirlo esattamente così, proprio perché padre di due figlie femmine, con la dichiarata paura che le suddette figlie, vedendo Ariana Grande, lì con la sua faccia da bambina ma vestita da puttanone, le possa indurre a introirsi.

Ovviamente si è scatenato il finimondo. Giustamente. Perché tutti hanno fatto notare che Ariana Grande ha ventisei anni e che se vuole cantare a quattro zampe e dire che ne vuole di più saranno anche affari suoi, di donna adulta e vaccinata. Di più, qualcuno è andato giustamente oltre, facendo notare come Fabio Volo, autore di libri non esattamente profondissimi, e in passato divenuto famoso per aver intervistato nudo Alessia Marcuzzi alle Iene non sia la persona più autorevole per parlare di morale e di sessualità. Alcuni, i più informati, hanno anche cercato di spiegare a Fabio Volo che la canzone cui lui stava facendo riferimento, 7 Rings, non parla esattamente di caxxi, come lui lasciava intendere, ma di successo, di denaro, rovesciando il solito cliché della musica urban, per lo più interpretata da uomini. Una canzone, quindi, che prova a virare al femminile un cliché di successo e di enpowerment, qualcosa di abbastanza vicina al femminismo, verrebbe da chiosare, fatto che renderebbe le già tristi parole di Fabio Volo ancora più tristi. Perché, forse questo è il vero problema di questa parte della vicenda, Ariana Grande avrebbe potuto serenamente parlare di caxxi, non di soldi o successo, senza neanche stare a rovesciare cliché e stereotipi, cosa che in tutti i casi avrebbe fatto anche parlando di caxxi, visto che la musica urban è solita parlare anche di donne in termini non esattamente altissimi, di fighe, appunto, ecco Ariana Grande avrebbe anche potuto parlare di caxxi, standosene a pecora, per usare sempre le parole di Fabio Volo, che fortunatamente si limita a scrivere brutti romanzi e non ha mai azzardato la poesia, e questo non avrebbe autorizzato in tutti i casi Fabio Volo a darle della troia e a dire che le sue figlie rischiano di introirsi per colpa sua. Non siamo neanche in area femminismo, in effetti, ma civiltà, saremo mica noi a dover dire agli altri, nello specifico alle altre, cosa caxxo voglio o non vogliono fare e come si vogliono o non vogliono vestire. Da padre di due figlie femmine e due figli maschi mi spaventa molto di più che le mie figlie incontrino o i miei figli diventino uomini come Fabio Volo che le mie figlie diventino e i miei figli incontrino donne come Ariana Grande. Ma non credo si dovrebbe neanche star qui a sottolinearlo.

Anni e anni di discorsi sul corpo della donna vanificato da quella che Feltri chiamerebbe, legittimamente, l’ora del coglione.

Passo al secondo capitolo di questa triste vicenda. Minore, dicevo, come impatto nell’immaginario collettivo, ma che in qualche modo mi ha forse colpito anche di più, perché a differenza di Volo stimo la persona in questione. Chiaro, lo vedrete a breve, parliamo di un modo diverso di muoversi male nel campo del femminile, ma se a muoversi male è un ragazzo, credo, la cosa è quasi allarmante. 

Andiamo avanti.

Su Rockol esce un editoriale di Mattia Marzi. Lui è un giovane critico musicale dotato di un’ottima penna, recentemente passata anche alla scrittura di libri, a mio avviso non sempre a fuoco nella sua lettura della contemporaneità, ma che almeno in passato mi ha fatto ben sperare. Da tempo si occupa di monitorare, e qui siamo appunto al motivo di alcune mie perplessità, perplessità dovute al suo essere assai promettente ma anche dedito a facezie, la scena dei cantautori indie, il suo ultimo libro, Mamma Roma, parla appunto di una presunta terza scuola romana. Racconta spesso dei nomi che vi possono venire in mente pensando ai cantautori indie della scena romana, nomi che non faccio perché già sto parlando di argomenti abbastanza agghiaccianti di loro, senza bisogno di affiancarci anche una idonea colonna sonora, e lo fa con un entusiasmo che onestamente fatico a capire, avendo appunto io stima di lui e non di questa presunta terza scuola romana. È vero, a volte ha vacillato, almeno rispetto alcuni di questi nomi, anche nell’articolo in questione, che ne ridimensiona decisamente il valore artistico, ma sembra realmente convinto che alcuni di questi cantantini sia destinato a un futuro nel mondo della musica, e questo mi perplime.

Ma non è ovviamente delle convinzioni di Mattia Marzi che voglio parlarvi, pur invitandovi a seguirlo per il suo stile di scrittura, quello sì ancora meritorio. Vi voglio parlare di questo suo ultimo articolo che mi ha lasciato sconcertato. Partendo dall’improvvisa uscita del nuovo singolo di Niccolò Fabi, artista che amo e rispetto alla cui nuova canzone, Io Sono L’Altro, ho già avuto modo di spendere parole cariche di ammirazione, si lascia andare a una sua dissertazione sullo stato dell’arte nel mondo del cantautorato. Nel farlo si gioca la carta della contrapposizione coi rapper, spesso visti e indicati da alcuni come i nuovi cantautori. Anzi, allarga il discorso, contrapponendo i cantautori, quelli del passato, quelli che hanno fatto cultura e controcultura, lo dico con parole mie, ai rapper e anche ai cantanti indie, che lui chiama itpop, dicendo che a entrambi va riconosciuto il merito di aver iniettato sangue nuovo nello show business, ma senza riuscire a dire davvero cose ficcanti, di raccontare l’oggi, il presente, aiutando chi ascolta a decifrarlo. Cita il già citato Fabi, e ci mette al fianco Silvestri, Sinigallia, ma anche Motta, Cremonini, Brunori Sas, Vasco Brondi ex Le luci della centrale elettrica. Dei nuovi include solo Fulminacci, in effetti di altro spessore rispetto ai soliti nomi itpop o indie che dir si voglia. Un discorso che, pensando a quelli fatti in precedenza sui Coez, i TheGiornalisti, i Carl Brave, quasi fa pensare a un ravvedimento, tardivo, ma pur sempre un ravvedimento. Ma che forse è altro, è una sorta di onore alle armi verso chi da anni sta provando a fare resistenza al brutto e al futile.

Tutto condivisibile, quindi, direte voi. Perché inserirlo in un discorso che è partito da Fabio Volo che da del puttanone a Ariana Grande, anzi, da Fabio Volo che da del puttanone a Ariana Grande mentre Ariana Grande prova a spingere le ragazzine che la seguono verso una consciousness al limite del femminismo più spinto?

Semplice, perché nel discorso di Mattia Marzi, discorso che condivido sicuramente rispetto al treno perso dal rap nel riuscire a descrivere l’oggi, ormai tanti anni fa, e che neanche prendo in considerazione riguardo agli indie, a mio avviso del tutto incapaci di raccontare alcunché, al punto che neanche ci starei a perdere tempo, mancano ancora una volta, e totalmente, le donne. Neanche una artista citata, neanche per sbaglio. Neanche di quelle proprio che non può non citare quando parli di cantautorato al femminile, penso a Cristina Donà o a Carmen Consoli, non voglio dire quelle un po’ più di nicchia, sempre che di nicchia si possa parlare per una Patrizia Laquidara o, per venire più vicini a noi, per La rappresentante di lista o Maria Antonietta, e siamo ancora nel minimo sindacale. Faccio tre di tantissimi nomi che potrei fare.

Mi colpisce, ‘sto fatto, perché proprio parlando di Fulminacci Marzi cita le Targhe Tenco, e sia C’È Qui Qualcosa Che Ti Riguarda che Go Go Diva se la sono giocata, in quel contesto. E mi stupisce perché, anche grazie a chi scrive, ovviamente non solo grazie a chi scrive, diciamo da un annetto a questa parte la questione del femminile è diventata abbastanza centrale quando si parla di musica e non menzionare anche artiste donne sembra quasi una presa di posizione, se non si vuole pensare a una distrazione che avrebbe abbastanza del clamoroso. Vogliamo forse dire che Fulminacci abbia fatto per il cantautorato più di quanto non abbia fatto Veronica de La rappresentante di Lista o Maria Antonietta? O che, appunto, Cristina Donà e Carmen Consoli non siano state capaci nel corso degli anni di raccontarci l’oggi quanto Fabi o Silvestri o Brondi o Brunori Sas?

Fermi tutti, non venitemi a citare l’inutilità delle quote rosa, la faccenda del merito, l’arte e caxxi vari. So già tutto, per questo ho citato nomi incontrovertibilmente importanti, autorevoli, che non si possono che citare facendo quei discorsi. E di nomi ne avrei potuti fare molti di più. Detto questo, poi, resto convinto che in un momento delicato come questo anche fare forzature sia necessario, e vadano quindi più che bene le quote rosa, si veda il recente caso del casino fatto per il Concertone del Primo Maggio di Roma.

Sapendo che Marzi segue molto la scena posso dire che è impensabile che non conosca le tante, tantissime cantautrici che stanno contribuendo con le loro canzoni a raccontare l’oggi, servisse qualche nome non avrebbe che da chiedere, il mio numero ce l’ha.

Non vorrei che, a furia di escludere le donne, le donne meritevoli, si parla di musica e di grandi artiste, ma le donne in generale, dal nostro orizzonte ottico, quando poi si tratta di aguzzare lo sguardo si finisca per vedere solo gli uomini. Brutta prospettiva, converrete con me. Brutta prospettiva che affonda le radici nel prato della cultura, temo.

Se anche chi è giovane come Marzi ragiona così il rischio è grande, intenzionalmente o meno, per tutti noi che al futuro guardiamo benevolmente, ormai superati i cinquanta, l’orizzonte si fa fosco. Di Fabi, Volo che guardano alle donne come pezzi di carne, pur nell’inconsapevolezza della propria visione data dal pensarsi dotati di una certa morale, ne abbiamo anche troppi. Del resto chi si emoziona per frasi come “i dinosauri si sono estinti perché nessuno faceva più loro le carezze” anche non pensasse che Ariana Grande è un puttanone ce lo saremmo comunque giocato a monte.

Diverso è per chi ha il compito di provare a raccontarci la musica d’oggi, perché i danni fatti dalla generazione di quotidianisti miei coetanei, i Pool Guys in testa, sono davvero difficili da recuperare, quelli sì a quattro zampe, puttanoni o non puttanoni, e quando qualcuno promette bene ci si aspetta da lui anche troppo.

Quindi, Mattia, mi raccomando, almeno tu non fa’ cazzate, o almeno smetti di farne, sei giovane, fai ancora in tempo.