E Poi C’È Katherine, una commedia alla “Il Diavolo Veste Prada” aggiornata ai tempi del Me Too

La stella della tv Emma Thompson tratta i collaboratori, tutti maschi, con distacco glaciale. Quando in redazione arriva una donna, gli equilibri saltano. Una commedia che parla di rapporti tra i sessi, discriminazione e politicamente corretto. Irrisolta, ma acuta

E Poi C’È Katherine

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E Poi C’È Katherine è il titolo italiano ammiccante di una commedia che in originale si chiama, in maniera più secca, Late Night. Perché è di uno di quei talk show da tarda serata della tv americana che è la stella indiscussa da trent’anni Katherine Newbury, sorta di David Letterman in gonnella. Una professionista brillante, feroce, tagliente, dentro e soprattutto fuori dal palcoscenico, dove è il terrore d’una redazione di soli uomini che tiene al guinzaglio con uno stile improntato a efficienza e freddezza.

Katherine ha la fama di essere una donna che odia le donne. Allora per zittire le voci assume la prima tizia capitata in ufficio per un colloquio. Che è Molly Patel, fan dello show di origini indiane che non ha mai scritto un rigo in vita sua, dato che lavorava in un’industria chimica. Insomma, un alieno in ufficio.

E Poi C’È Katherine è diretto da una donna, Nisha Ganatra, regista e produttrice principalmente televisiva. Ma è soprattutto tagliato su misura delle protagoniste: da un lato Mindy Kaling, anche sceneggiatrice, che nel personaggio di Molly ha trasfuso la sua esperienza di comica e scrittrice statunitense nota per le sit-com The Mindy Project e The Office. Dall’altro Emma Thompson, che prima di diventare l’acclamata attrice drammatica che tutti conosciamo condusse anche un programma comico nel Regno Unito.

Chiaramente il film fa subito pensare a Il Diavolo Veste Prada, con al posto della fashion icon Miranda Priestley la non meno glaciale star della tv Katherine. E al centro c’è sempre un confronto tra donne in carriera in cui Cenerentola finisce nella tana del lupo d’un capriccioso “padre padrone” in gonnella. Ma oltre alle similitudini, c’è dell’altro: perché E Poi C’È Katherine è una commedia che parla soprattutto di tutte le forme di discriminazione, e tutte le conseguenti forme di insicurezza, che deflagrano negli ambienti di lavoro fortemente competitivi di società fortemente competitive. Non è in gioco solo il sessismo e il pregiudizio degli uomini verso le donne. Ogni elemento dell’identità, sesso, età, colore della pelle, paese e cultura di provenienza, diventa un’etichetta che viene appiccicata addosso e potenzialmente usata come arma per screditare l’altro.

Katherine, per esempio, è una donna di successo apparentemente inattaccabile. Eppure, come le rinfaccia la produttrice dello show che ha deciso di licenziarla, resta sempre un’inglese in America, che infastidisce per l’aria snob con cui guarda il mondo della tv statunitense e il suo scarso livello culturale – lei vorrebbe intervistare intellettuali, ma gli ascolti in picchiata la obbligano a invitare nello show youtuber la cui fama, per lei, è incomprensibile e inaccettabile. Katherine è anche una 56enne in un mondo che a una donna non perdona di invecchiare o tantomeno di avere una vita sessuale fuori del matrimonio – sarà giudicata anche per quello.

Per Molly è ancora più difficile, parvenu di origini indiane in mezzo a maschi bianchi adulti che la marginalizzano senza tanti complimenti. Entrambe quindi, pur nell’enorme diversità del proprio ruolo sociale, vengono riportate unicamente alla loro identità femminile, in quanto tale obbligate a confrontarsi con un mondo maschile che, sotto la patina formale del politicamente corretto, continua a giocare secondo regole che tendono a marginalizzare le donne. Ed è chiaro che sul film aleggi il peso degli eventi che hanno monopolizzato il dibattito di questi ultimi anni – il movimento Me Too fa esplicitamente capolino nei dialoghi -, influendo sulle relazione tra i sessi dentro e fuori i luoghi di lavoro.

Sotto l’aria ottimistica e sorridente, il film è meno leggero di quanto possa sembrare, alla ricerca di un faticoso equilibrio tra temi e premesse problematiche e uno scioglimento che, come richiede il genere del feel good movie, sia inequivocabilmente ottimista.

A seconda dalla prospettiva da cui lo si guarda, E Poi C’È Katherine o è un racconto intelligente che s’assume il rischio di far ridere – e riflettere – su temi sensibili e controversi; oppure una commedia irrisolta, che sulla carta mette alla berlina l’ipocrisia del politicamente corretto che copre la sostanza discriminatoria dei rapporti umani e professionali, e che poi sfocia in una conclusione conciliante, senza il coraggio dell’affondo satirico, che per accontentare l’esigenza del lieto fine e dei buoni sentimenti recupera proprio la retorica solo formalmente risolutiva del politicamente corretto.