La Rai e l’affaire Miss Italia, tra critiche, oscure manovre e buchi finanziari stasera è comunque in tv. Perché?

Ariecco Miss Italia su Raiuno. Da ottant'anni le donnine in mutande sfilano per il piacere di pensionati da divano. Proviamo a ravanare un po' nel marcio del concorsone più amato e odiato della tv


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Non serve essere malfidati, complottisti o leoni da tastiera per sospettare che nel ritorno di Miss Italia 2019 in Rai ci sia qualcosa di strano. La separazione fra la vetusta gara di bellezza e le reti del servizio pubblico era stata concordata nel 2013 con una presa di posizione opinabile, per alcuni, ma comunque più che legittima. Peccato però che quest’anno la prospettiva sembri improvvisamente rovesciarsi, riportando sugli schermi di Rai Uno l’edizione 2019 di Miss Italia.

Non si tratta comunque di un problema di programmazione, quanto piuttosto di un’incomprensibile e francamente inaccettabile dimostrazione di arbitrarietà delle regole. Nel 2013 la Rai – con la Presidente Tarantola, il Direttore Generale Gubitosi e il Direttore di Rai Uno Leone – aveva stabilito di interrompere la produzione del concorso. Alle considerazioni economiche – troppa spesa, poca resa – si erano subito affiancate delle riflessioni etiche più alte: Miss Italia non poteva più considerarsi un riflesso della società, né una valida di forma di rappresentazione dell’immagine femminile. Tesi sostenuta persino da Dacia Maraini, che sul Corriere della Sera definiva la manifestazione un sistema ripugnante che tende a perpetuare la mercificazione del corpo femminile, il suo destino di preda, di oggetto d’acquisto.

È davvero possibile dissentire? Forse sì, per qualcuno. O forse la natura del problema è ancora diversa, perché ad agosto la stessa Patrizia Mirigliani ha annunciato il ritorno di Miss Italia 2019 in Rai durante una puntata de La Vita in Diretta. Qual è il problema? Innanzitutto la trasmissione non era stata inserita nei palinsesti presentati a luglio, e ciò significa che ha potuto bypassare la valutazione del Consiglio di Amministrazione. Difficile capire cosa sia successo esattamente, dato che nel corso delle settimane i commenti di svariate parti in causa hanno evidenziato una forte contrarietà alla decisione. Si è detto che Miss Italia non rientra nella cornice della programmazione del servizio pubblico, che è un programma simbolo dello stereotipo sulla donna, e ci si è chiesti quindi per quale motivo non sia stata presentata e inserita nei palinsesti.

E, ancora una volta, non saranno soltanto i cospiratori incalliti a percepire la stranezza di questa manovra. L’organizzazione e la successiva messa in onda di una trasmissione in Rai, d’altronde, dovrebbero essere sottoposte al parere di un’assemblea, e ciò vale in special modo per Miss Italia. Pare invece che per aggirare potenziali opposizioni si sia approvato il ritorno di Miss Italia su Rai Uno senza consultare il Consiglio di Amministrazione, appellandosi al bisogno di flessibilità. Più che principi da rispettare, insomma, le regole diventano mezzi di comodo da richiamare, piegare o trascurare secondo le necessità del momento.

L’affaire Miss Italia porta inoltre alla luce ulteriori magagne economiche, questa volta esterne alla voce dei costi per la Rai. Se il servizio pubblico deve occuparsi delle remunerazioni del conduttore, del regista e di un autore, a chi spetta spuntare tutte le altre voci? Alla Miren S.r.l., la quale però risulta ancora oggi in debito con il Consorzio Gruppo Eventi del Presidente Vincenzo Russolillo per la produzione delle edizioni 2016 e 2017.

La situazione del Consorzio è senz’altro tristemente nota a molte realtà imprenditoriali che nel corso del tempo si siano trovate a dover lottare per ricevere i compensi dovuti. Il credito richiesto è stato però contestato in sede giudiziaria dalla Miren S.r.l., che già da alcuni anni evidenzia rilevanti problemi di bilancio. Pur non affrontando i dettagli della questione, è inaccettabile che essere remunerati per un servizio già offerto e dei costi già sostenuti diventi così complesso e farraginoso. Ed è altrettanto avvilente che una manifestazione così longeva e celebrata nasconda debiti e oscure manovre dietro una facciata di bellezza e pretese di dar lustro al costume del Paese.

L’intera questione appare quindi un grosso insulto. Innanzitutto un insulto alla trasparenza. Perché è inevitabile sospettare che dietro il ritorno di Miss Italia in Rai esistano interessi nascosti – e potenti, evidentemente –; come giustificare la segretezza, la confusione, il rimpallo di responsabilità degli ultimi mesi, altrimenti? In secondo luogo si tratta di un insulto al lavoro delle società – e delle persone di cui si compongono – che hanno reso concreto e tangibile l’universo-Miss Italia delle scorse edizioni, e per le quali l’onorata tradizione ottantenne della manifestazione non è stata – a quanto pare – una garanzia sufficiente. E poi è un insulto alle donne, considerate sì qualcosa di meglio rispetto all’immagine stereotipata che il concorso prova a darne, ma soltanto per pochi anni. Oppure il 2019 segna il ritorno della figura femminile a mero involucro di bellezza, e tanti saluti ai proclami di uguaglianza ed emancipazione della Rai o di chiunque altro?

L’affaire Miss Italia, in conclusione, oltrepassa così tanti limiti – e tutti così diversi – che è difficile trovare qualcuno che possa non considerarsene colpito. La vicenda è ancora tutta da chiarire, ma il sospetto è che ci vorrà del tempo, che bisognerà insistere, affrontare opposizioni più o meno velate. È importante non desistere, però, e non soltanto per smascherare l’ironico contrasto fra i valori di bellezza propagandati dal mondo-Miss Italia e la bassezza delle oscure manovre che ne scuotono le fondamenta. Altrettanto importante è chiarirne le implicazioni pratiche, e in questo senso i dubbi sollevati da Michele Anzaldi lasciano spazio a questioni ben più spinose.

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