É una mia impressione o la situazione diventa più folle lì fuori? Joaquin Phoenix nei panni di Joker a Venezia 76 ci introduce nel mondo visionario di Todd Phillips con una battuta ad effetto, che stabilisce come l’ordine stia per essere sopraffatto. Gotham City è sull’orlo del precipizio. Basta una piccola spinta.
Erano alte le aspettative per il Joker di Todd Phillips, soprattutto perché portava in scena una rivisitazione dello storico nemico di Batman. In passato, il volto del folle criminale è stato interpretato da attori come Jack Nicholson e Heath Ledger, e nella versione più recente da Jared Leto. Se ognuno di loro aveva un piano ben preciso – distruggere a ogni costo, ribaltare l’ordine – il Joker di Joaquin Phoenix ha tutt’altre intenzioni.
Nelle mani di Phillips – che si è rimboccato le mani per mesi e mesi, riuscendo a convincere la Warner Bros. a sviluppare il progetto – il pagliaccio è il mite Arthur Fleck, un fantoccio timido ma con gravi disturbi psichici, che lo rendono inquietante nella sua risata isterica. Armato di buone intenzioni e desideroso di diventare un comico, Arthur vive la sua esistenza nell’ombra, nella speranza di poter sfondare. Per creare un senso di alienazione con la società che lo circonda, il regista fa uso di ampie inquadrature, spesso con gruppi di persone che in qualche modo estraniano Arthur rendendolo piccolo e insignificante nei confronti dell’energica Gotham City.
La costruzione del Joker procede a ritmo sommesso, lento ma inesorabile. Finché si giunge a un piccolo atto che cambia tutto: mentre Arthur assapora la violenza, il confine tra realtà e fantasia si fa sempre più sottile. Il montaggio sonoro contribuisce a creare un senso di tensione e inquietudine e si ha la sensazione che la miccia stia per esplodere. Ci penserà Murray Franklin (Robert De Niro in veste di spalla), noto presentatore televisivo di Gotham, a contribuire al crollo psicologico di Arthur Fleck, spianando la strada alla sua completa trasformazione.
La forza di Joker sta nella sua immensa quanto complicata psicologia. Non basta dichiararlo pazzo, bisogna anche comprendere le motivazioni che l’hanno spinto a perdere la testa. L’intento di Philips è proprio questo, creare empatia col personaggio. E riesce benissimo in questa missione, trasformando Joker da criminale a eroe/antieroe. Arriviamo a tifare per lui perché il messaggio che trasmette diventa condiviso. Il film, pur prendendosi molte libertà con il personaggio originale, si concede un collegamento con la nemesi di Joker, Batman – appare un Bruce Wayne ancora ignaro del suo destino.
Mentre a Gotham serpeggia il caos, Arthur, che voleva far sorridere la città, finisce per guardarla bruciare in nome di una libertà che lascia molti spunti interessanti. La chiave di lettura offre diverse interpretazioni, e qualcuno guarderà al lato politico, altri vedranno semplicemente una storia di rivalsa di un emarginato in cui chiunque può rispecchiarsi. Il lavoro maggiore spetta però a Joaquin Phoenix, che con Joker a Venezia 76 si guadagna una papabile nomination agli Oscar; dimagrito, ridotto all’osso, l’attore si cala perfettamente nella parte. Per sottolineare la sua prorompente presenza scenica, Philips fa uso spasmodico di pochi colori cromatici: il blu, il rosso e il giallo che riflettono gli abiti e il costume di Arthur e rendono il tutto visivamente angosciante.
Così il camaleonte Joaquin Phoenix si muove a ritmo di musica, trascinando lo spettatore in un viaggio nei meandri della mente umana. Ed è inquietante vederlo fondersi, mano a mano, con il suo personaggio, diventando un tutt’uno con esso fino a condividere la sua stessa geniale follia.